Visitare la Casa Museo Hendrik C. Andersen in Roma è più che trovare l’opera del pittore e scultore norvegese. Significa camminare dentro la storia di una famiglia, quella dell’artista, penetrare l’intimità domestica, vedere stanze che evocano storie passate, scoprire una piccola storia dell’arte tra le pieghe della storia stessa di Roma.
La collezione del museo consta di circa 700 opere, tra sculture in gesso e bronzo, dipinti e grafiche. Molte di esse sono parte del progetto «World City», l’utopia di una città moderna delle arti e delle scienze promossa da Andersen con la pubblicazione del volume «Creation of a World Center of Communication».
Su comunicazione, memoria e intimità domestica si innesta quindi «Sintattica. Claudioadami / Luigi Battisti / Pasquale Polidori», la mostra curata da Francesca Gallo col patrocinio della Facoltà di lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, ospitata al Museo Andersen in questi giorni e fino all’11 Ottobre 2015. Ma si tratta di più che ospitalità. Tre artisti, con diverse opere site specific, si confrontano direttamente con gli spazi della casa-museo, in particolare con la trama delle vite che la abitarono.
Al piano terra, nell’atelier di Andersen, ovvero una selva di gessi preparatori per la Città Mondiale della Comunicazione, Claudioadami interviene con Qual è la parola, l’installazione che riprende l’omonima ultima poesia di Samuel Beckett. «Smania, smania di, di, qual è la parola…» è l’incipit della sincopata opera del poeta irlandese: il testo è frantumato e ogni parola proiettata sulla parete, isolata, casuale, incoerente. Solo così è possibile concentrarsi su ogni singolo elemento grammaticale, invasivo nello spazio reale e volatile sul piano concettuale. Il senso ultimo del testo risulta maggiormente dissolto, la scrittura si riduce a elemento grafico: se ne distingue la forma ma sono perduti i legami sintattici.
Nello stesso spazio irrompe anche Bozzolo, di Luigi Battisti. Un pilastro del museo è stretto in una grossa matassa di fili di lana rossi. Nell’armonia generale dei toni dell’ambiente, pressoché bianco per le pareti e per i gessi presenti, irrompe il rosso vivo dell’installazione. Il filo come strozzatura e interruzione è anche promessa di nuova vita, «gravidanza del pilastro» (1), come afferma l’artista stesso. Ma natura del filo è anche legare, collegando elementi architettonici e scultorei.
Straniante e poetica è l’opera di Pasquale Polidori nel grande salone del piano terra. Didascalie dell’utopia e della vita (2 cantate) è l’installazione sonora che anima i due busti di Olivia Cushing e Henry James, rispettivamente cognata e amico di Andersen, con due musiche composte in collaborazione col compositore Riccardo Samaritani. Il testo cantato altro non è che quello delle didascalie relative alle due sculture. Sperimentale e inaspettato è il risultato dell’opera, che intreccia saldamente le vite di chi visse i luoghi della casa con la musica, l’arte visiva e la riflessione sul linguaggio storico-artistico. Da un lato la separazione dal campo della museologia, o meglio la sua rilettura, dall’altro un nuovo inaspettato accordo tra opera, luogo e parola.
La riflessione di Polidori sulla comunicazione della parola continua al piano superiore, col progetto Forma Manifesta. Giosuè Carducci. Egli ricorre nuovamente al mezzo tecnologico proiettando su una parete il video HD di un’acrobata che recita, mantenendosi in equilibrio su un piedistallo con altrettante figure acrobatiche, le rime del Carducci. La recitazione del testo è spezzata in una serie di parole, così come il fiato della ginnasta. Lo sforzo della performance è lo stesso del visitatore che assiste e attende di raccogliere pazientemente gli elementi verbali per riappropriarsi del senso, ora sfuggente, di una poesia ben nota. Il progetto si declina in più opere: come la serie di stampe plotter su carta, nelle quali le figure acrobatiche sono ora segni grafici; o i 9 libri del Carducci tagliati e incorniciati, a ricordare concretamente il taglio della continuità del testo appena operato.
Sintattica è comunicazione, dialogo, rilettura, passione filologica e straniamento concettuale. Il medium tecnologico interviene mescolando ulteriormente i linguaggi espressivi, accrescendo le relazioni tra opere appartenenti a contesti diversi, rivelatore di ulteriori possibilità connettive. La mostra è una riflessione sullo spazio, il tempo, le pause, le storie, l’assenza di ciò che è perso e la memoria di ciò che rimane. Che sia la vita di un personaggio, di un progetto o di una parola poco importa: più della forma visibile dell’oggetto conta il legame fra le cose o la fine di esso, l’esplorazione del nesso e la scoperta di un nuovo mezzo per manifestarlo.
(1) Sintattica. Claudioadami / Luigi Battisti / Pasquale Polidori. Opere in mostra nelle parole degli autori. Testo in distribuzione in mostra.
SINTATTICA. Luigi Battisti / Claudioadami / Pasquale Polidori, a cura di Francesca Gallo, 28.05 – 11.10.2015, Museo Hendrik Christian Andersen, Roma
immagini (cover 1 ) Claudio Adami, Qual è la parola, 2015, programma sviluppato per scheda raspberry, proiezione (foto Lavinia Della Bruna). (2) Claudio Adami, Pagine di nero, 2014, inchiostro di china su carta, misure variabili (foto Srdja Mirkovic). (3) Luigi Battisi, Regola, 2015, matite colorate su carta, trittico, ciascun elemento cm 75×105 (foto Srdja Mirkovic). (4) Luigi Battisti, Ninfee, 2014, acquerello su carta, dimensioni variabili, ciascun elemento cm 75×105 (foto Srdja Mirkovic). (5) Pasquale Polidori, Fracta (Forma Manifesta: Carducci), 2015, stampa plotter su carta, 3 elementi, ciascuno cm 100×400 (foto Lavinia Della Bruna). (6) Pasquale Polidori, Forma Manifesta: Giosuè Carducci, Rime nuove, 2014-15, video HD, prima parte 19’44’’, seconda parte 12’27’’ (foto Tommaso Zijno).