Verba Volant, scripta manent di Guido Segni è lo special project #12 realizzato per il banner di Arshake per proseguire un’indagine che da anni impegna l’artista sul fronte delle diverse (e contraddittorie) realtà di Internet, con particolare attenzione al loro impatto sociale. Dopo The Artist is Typing[1](2016), dove la scrittura in tempo reale dell’artista sullo schermo traghettava un momento intimo nella dimensione pubblica del suo divenire, con Verba volant, scripta manent, accende di nuovo i riflettori sul linguaggio e lo localizza in una zona liminale tra oralità e scrittura, tra sfera intima e pubblica, un confine di cui il lavoro rende percepibile simultaneamente l’esistenza e il suo sfumare nel nulla, un confine tanto sfocato quanto lo è quello tra materia fisica e digitale, tra natura e artificio.
La locuzione latina verba volant, scripta manent, è ripresa nel titolo, ma è anche protagonista del lavoro e si materializza scolpita sulla lapide digitale che il codice informatico concretizza su Internet con tutto il ‘sapore’ della sua fisicità. Verba volant, scripta manent è un antico proverbio ormai entrato nell’uso comune che significa: le parole volano, gli scritti rimangono.
Anche questo detto, nel tempo, ha adottato significati ambivalenti, ora conferendo vantaggio all’indelebilità della parola scritta, ora alla velocità di diffusione del linguaggio parlato e alla sua facile ritrattabilità. Ora, il linguaggio scritto in una forma ‘orale’, per come questo si è configurato con Internet, e in particolare nei social media, ‘vola’ sulle strade liquide. Un’azione virale, voluta o casuale, che lo faccia rimbalzare da un sito ad un altro potrebbe renderlo indelebile. Le parole ‘incise’ sul marmo della lapide, sfuggono all’immortalità e all’immobilità compressa nel gelo del marmo, e spiccano il volo nello spazio di Twitter[2], dove anche il piccolo uccello, logo e icona simbolo del social media, esce dall’ovattato embrione digitale e torna alla sua vita naturale. Per capire come, bisogna mettersi in ascolto e sintonizzarsi sulle armonie dissonanti delle frequenze digitali.
Guido Segni è uno degli pseudonimi dietro cui agisce l’autore, nel tempo attivo come Dedalus, Guy McMusker, Angela Merelli, Anna Adamolo, Guy The Bore, Umberto Stanca, Silvie Inb, Fosco Loiti Celant, Guru Miri Goro, Leslie Bleus, Luther Blissett, per operare all’intersezione tra arte, poi, internet culture e data hallucination. Artista e pubblico, memoria e obsolescenza, materia effimera e mercato, pubblico e privato, che in Internet si ritrovano spesso a coesistere con modalità paradossali, sono alcune sfaccettature della cultura digitale in cui Segni si immerge per analizzarla a 360° e restituirla con un fare performativo che innesca meccanismi e dinamiche che proseguono nel tempo.
Guido Segni sfugge così ogni categoria prestabilita, a volte anche la tecnologia stessa. L’estrema cura dei dettagli e la semplicità del suo lavoro alza il sipario su di una fittissima rete di riferimenti incrociati che dirottano l’attenzione sulla cultura tecnologica per come è veramente, la spogliano dal velo dell’assuefazione. Il linguaggio, che con Verba volant, scripta manent è contenuto e contenitore del progetto, è uno strumento indispensabile per Segni in tutti i suoi lavori, fondamentale tanto quanto lo è uno scalpello per uno scultore. Questo era vero anche per la sua celebre performance algoritmica che il titolo definiva A quiet Desert Failure[3], impresa titanica di digitalizzare il deserto del Sahara, fotografato metro per metro, reso pubblico su Tumblr[4] e destinato a completarsi nell’arco di cinquanta anni, un lasso temporale che non lascia nessuna garanzia di poter utilizzare le stesse tecnologie per catturare e leggere i dati. Ma Internet is not Forever [Internet non è eterno][5], come titolava la bi-personale di Guido Segni e Luca Leggero, dove la versione precedente di Verba volant, scripta manent è stata presentata per la prima volta (Verba volant, 2016). Se questo si avverasse, se Internet sparisse dalle nostre vite, la scansione del deserto di A Quiet Desert Failure, così come le ‘parole volanti’ di Verba volant, scripta manent, evaporerebbero nel nulla, e con loro, la magnifica capienza mnemonica che la cultura orale aveva conferito all’uomo, ora ‘sedimentata’ nei meandri e nel flusso dello spazio liquido.
[1] Guido Segni, The Artist is Typing, progetto online a cura di Filippo Lorenzin per Storage Un.it, project space di Arebyte Gallery, Londra
[2] Twitter è una rete sociale creata nel 2006 dalla Obvious Corporation di San Francisco che fornisce agli utenti, attraverso l’omonima piattaforma, una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo con lunghezza massima di 140 caratteri (nel 2017, alcuni paesi hanno allungato la capienza a 280 caratteri).
[3] Guido Segni, A Quiet Desert Failure, presentato per la prima volta nel Padiglione virtuale (in)exactitude in science, curato da Filippo Lorenzin e Kamilia Kard per «The Wrong- New Digital Art Biennale», 2015
[4] Tumblr è una piattaforma di micro-blogging e social networking che consente agli utenti di creare un blog dove pubblicare contenuti multimediali.
[5] «Segni Leggeri. Internet non è per sempre», mostra di Guido Segni e Luca Leggero, a cura di Alessandra Ioalé, Galleria Bag, Parma, 29.04 – 28.05.2016