Dialettica del Controllo. I limiti della sorveglianza e pratiche artistiche del filosofo Stefano Velotti è un breve saggio, rielaborazione della conferenza tenuta il 26 settembre 2015 al Teatro Metastasio nell’ambito del Forum dell’arte contemporanea italiana al Centro Pecci di Prato. Il saggio mantiene il tono orale e lascia spazio all’‘ascolto’ di un ragionamento da leggere tutto di un fiato, un esercizio di visione che oscilla dal particolare all’universale, che attraversa generi e tempi, che affonda le radici nella storia dell’Umanità.
Il titolo ci suggerisce subito il soggetto: non il ‘controllo’, bensì la ‘dialettica del controllo’, la «coincidenza oppositorum – come spiega subito l’autore– la coincidenza tra il più stretto controllo e la più allarmante perdita di controllo». «Tale coincidenza – prosegue Velotti – non è una cooperazione tra opposti, ma tra due poli che si sono scissi. (…) Invece di cooperare, l’uno o l’altro polo si alternano incessantemente nello stesso spazio e nello stesso tempo, occupando tutta la scena, degenerando ‘dialetticamente l’uno nell’altro».
Dopo aver attraversato ‘La sorveglianza come ambiente naturale, il nostro ‘doppio’ digitale e l’epidemia delle valutazioni’, Il sogno della modernità (e il nostro sonno agitato senza sogni), il caso e la responsabilità, nei rispettivi capitoli, Velotti si sofferma sulla asimmetria che esiste tra controllo e non-controllo, non potendo realizzare quest’ultimo in alcun modo che non sia intenzionale (e quindi, in qualche modo, controllato). Prosegue allargando ulteriormente il campo visivo alla cultura e all’arte, considerando anche i parametri a cui fanno riferimento le loro rispettive scale di valori, sempre più legati a: ‘ritorno economico, copertura mediatica, numero dei visitatori, indotto’.
Quella di Velotti non è una posizione che intende escludere arte e cultura dall’economia, piuttosto favorire il «loro fiorire o estinguersi in base ad altri criteri». Ora, dopo aver ripercorso l’arte e le sue condizioni antropologiche, il trasformarsi del suo significato nel tempo, dopo aver constatato la necessità costante di sintonizzarsi con la dimensione del senso, come comun denominatore di tutti i tempi, Velotti posa lo sguardo sul modo di fare arte – o meglio – «sulle condizioni generiche che vengono mobilitate nell’attività artistica – creazione, partecipazione o fruizione che sia», condizioni che affondano nelle origini dell’uomo. Qui è «inscritta una cooperazione tra controllo e non-controllo di noi stessi, del mondo e degli altri». Ecco come un’indagine su un tema specifico, come potrebbe essere quello del controllo, non può prescindere dal suo relazionarsi con il suo opposto, così come dalla nostra esistenza nel mondo. «Chiarire, che ‘siamo già da sempre immersi in un mondo di cui siamo parte e che ci sfugge, con tutte le interazioni che ci trasformano e insieme lo modificano», significa darci gli strumenti per osservare in modo diverso qualsiasi cosa, che si tratti di controllo, di arte o di cultura in generale, ovvero ragionando su piani e tempi di versi, sul loro intrecciarsi e interagire tra loro, e con il nostro esistere nel mondo. Velotti si addentra dentro le pratiche artistiche e ne riemerge per rimettere a fuoco il suo obiettivo sulla ‘dialettica del controllo’ che ‘il laboratorio artistico’ aiuta ad individuare diventando «termine di paragone utile a diagnosticare meglio il presente, o a creare ‘zone liberate’ che inneschino processi in cui quel tessuto lacerato a cui ho accennato possa cominciare a rigenerarsi». Ad una lettura, come quella da cui è nata questa recensione, tenuta quanto più neutra possibile, se ne possono elaborare numerose altre con i molteplici spunti, collegamenti e stimoli che il saggio intreccia, stemperati dalla semplicità e dalla linearità della scrittura, pensata per essere ‘ascoltata’.
S. Velotti, Dialettica del Controllo. Limiti della Sorveglianza e pratiche artistiche
Castelvecchi, Collana i Timoni, Roma 2017