Lo spazio liquido e fisico sono ormai due mondi convergenti, inscritti in una griglia infinita di connessioni sistemiche intrecciate con le info-strade invisibili dell’informazione (comprese quelle dei social network) che delineano nuove mappature, reali, a modo loro tangibili. Viviamo all’interno dell’immagine, acquisiamo quindi un punto di vista interno.
L’arte digitale ha da sempre contribuito a restituire consapevolezza del mondo per come questo è modellato da Internet e dai suoi sistemi di comunicazione. Alcune produzioni artistiche ci hanno aiutato ad avvicinarci ai grandi cambiamenti dello spazio, alla loro liquefazione nella dimensione temporale e al loro indirizzarsi verso nuove tipologie di percezione. Tutto questo comporta una rivoluzione nel concetto stesso di realtà, una realtà in buona parte strutturata e materializzata nel codice informatico.
L’avvento della realtà virtuale aveva slittato i nostri corpi in uno spazio altro dal nostro. Questa esperienza interpone il nostro corpo al di qua e al di là dello schermo, in forma più semplice attraverso il computer e in forma più complessa attraverso la realtà immersiva della CAVE. Lo Sketch pad realizzato da Ivan Sutherland per scopi militari negli anni Sessanta è un antesignano di questo spazio liminale che si interpone tra mondi e che nella più moderna delle configurazioni può essere individuato nel desktop che la Apple ha disegnato con la grafica GUI perché determinate icone (che richiamano immagini comuni alla nostra esperienza fisica) attivassero codici informatici prefigurati per dare l’input alle corrispondenti funzioni (cestino, etc.).
La realtà della CAVE ha portato ad una esperienza immersiva dello spazio fisico. Il lavoro di Charlotte Davies, Osmose, ci aveva immerso nell’ambiente virtuale attraverso un head mounted glass. L’ambiente in cui si trovava proiettati era costituito dall’osmotico sovrapporsi di una sfera di immagini sull’altra.
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Questo significa calcolare esattamente il tempo delle immagini spaziali per poterle sovrapporre nello stesso momento. Ci si trovava di fronte a due gruppi di testi: 1) le 20.000 linee di codice di programmazione che producono il lavoro. Dall’altro lato c’è una stanza piena di frammenti di testo che spesso compaiono nello studio della natura, della tecnologia e del corpo. In alcuni momenti compariva il codice binario in primo piano rendendo visibile il piano dell’illusione percettiva che ci restituiva l’impressione di immersione.
Usciamo dall’esperienza immersiva e facciamo uno zoom out sull’idea di visualizzazione dei dati in termini spaziali e sulla loro parallela concretizzazione di spazi di dati, di interfacce sempre più sensibili, archivi architettonici che ci permettono di navigare grandissime quantità di dati informatici, di raggrupparle, di renderle agibili.
Per visualizzare questo aspetto prendiamo in considerazione un lavoro di ART+COM, una società che lavora con il design di new media installations and di spazi (data visualization) collaborando con aziende, accademie e istituzioni (rappresentando quindi un tipo di ricerca non unicamente confinato all’arte ma espanso in un range molto vasto di interessi che si intreccia con l’attualità e con le necessità espresse nel contemporaneo digitale.
Ryde the Byte (1999) ricostruisce la struttura di internet visualizzando la traiettoria di pacchetti di dati individuali mandati dal luogo di mostra ad un’altra location nel globo. Su di un display LCD i visitatori scelgono uno tra un numero predefinito di pagine internet. I dati vengono inviati e il loro viaggio visualizzato nel loro tragitto sovrapposto alla sagoma terrestre. Il sito selezionato appare alla fine del viaggio. Man mano che questi tragitti vengono tracciati nel corso della giornata la struttura di internet si manifesta in un intreccio sempre più aggrovigliato che ricopre la superficie terrestre.
Ciò che di invisibile si sovrappone al paesaggio, e ne delinea quindi il profilo (un profilo in continua trasformazione) può essere a volte riproducibile solo all’interno del suo stesso mondo, quello che si biforca tra reale e virtuale, quello che la liquidità dello schermo può, eventualmente, rendere percepibile attraverso la sua stessa materia e forma, una forma liquida, mutabile, concretamente effimera.
I parametri di giudizio su cosa sia reale o meno sono stravolti dalla provenienza di un paesaggio già sottoposto ad un processo di mediazione e di elaborazione algoritmica dell’immagine. La sua stessa angolatura è fermata nell’autorialità del software che guida l’occhio della comunicazione determinato a delineare il profilo di un paesaggio che si imprime e inscrive nella trascendenza del suo messaggio. Tutto si muove all’interno dell’immagine, la dimensione che abitiamo, al crocevia tra visibile e invisibile, non più «impressa» ma «espressa» come interfaccia.
Lo spazio è riconfigurato all’interno dell’immagine, strutturato in un meta mondo che si è concretizzato come nuova realtà e caratterizzato dalla simultaneità di molteplici tempi e spazi multipli che coincidono con l’immagine (immersa nella realtà virtuale, estesa in quella aumentata e così via, funzionando all’interno di un intreccio interminabile di contaminazioni tra cose e generi.
immagini (cover 1-2): Christa Sommerer & Laurent Mignonneau, «The Living Room», 2001, photo via (3) Ivan Sutherland working with Sketchpad. (Source: Wikipedia Commons) (4) Char Davies, «Osmose», you tube video documentation, ART + COM, Ride-the-Byte (© Art+Com. Photo: Paul Thompson).