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Marco Cadioli - The Whirlpool
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Home News Focus

Studio Azzurro e il Museo della Mente

Michela Ruggeri by Michela Ruggeri
19/04/2018
in Focus
Studio Azzurro e il Museo della Mente

sentire voci

Si entra nel Padiglione 6 dell’Ospedale Santa Maria della Pietà, ora Museo Laboratorio della Mente, con una sorta di velata inquietudine, la stessa con la quale la società stentava – e probabilmente stenta ancora – ad approcciare il disagio mentale come crisi dell’individuo, fastidiosamente alieno alla società, utilizzando più spesso l’emarginazione come soluzione.

Ma se la memoria dell’antico «Hospitale de’ poveri forestieri et pazzi dell’Alma città di Roma»  era legata alla coercizione e alla reclusione, l’itinerario museale è una sorta di percorso catartico, liberatorio sia per il visitatore che per l’Istituzione stessa. In una duplice contrapposizione rivive la storia «delle prassi istituzionali e delle pratiche anti-istituzionali […], processo dialettico di decostruzione  della geografia delle costrizioni spaziali, fisiche, psicologiche, sociali e di ricostruzione della soggettività» (Depliant del Museo della Mente)

«Entrare fuori, uscire dentro»  è il leit motif  dell’allestimento museale ideato da Studio Azzurro, un principio che mira ad accorciare la distanza iniziale tra osservato e osservatore, paziente e «sano»,  infine tra violenza e cura. Il ribaltamento dei ruoli, l’avvicinarsi costante degli opposti, è senz’altro l’esperimento più riuscito del Museo, che abbatte finalmente i muri dell’isolamento illustrando il caos dell’incomunicabilità, restituendo dignità all’individuo ghettizzato col suo reinserimento nella società e avvicinando quest’ultima alle esigenze della malattia mentale.  Non stupisce che ciò gli sia valso il premio ICOM 2010 quale «Museo dell’anno per l’innovazione e l’attrattiva nei rapporti con il pubblico».

l'istituzione chiusa

Un connubio perfettamente riuscito di elementi e luoghi reali, come gli studi medici, gli abiti, gli arredi, gli apparecchi di diagnostica, l’apparato documentario di foto, regolamenti e registri, e la realtà aumentata, che proietta sull’ambiente circostante le testimonianze vive di uomini e donne che hanno fatto la storia del manicomio. Le installazioni interattive, poi, puntano alla comprensione della differenza dei modi di sentire, disintegrando e poi ricostruendo le relazioni degli individui tra loro e dell’individuo con se stesso. Vedere, parlare, ascoltare diventano improvvisamente azioni stranianti per il visitatore, che sperimenta la personale crisi della propria immagine e voce. La difficoltà percettiva creata dal non riconoscersi più riconcilia empaticamente con ciò che era inizialmente percepito come diverso. Tutto il corpo è chiamato a riflettere stando seduto o in movimento su tavoli e sedie che una volta erano usati dai pazienti.

Infine anche l’anonimato della miriade di persone che vissero davvero quel luogo di infamia e di pietà, si interrompe. Emergono, con il loro nome e cognome (possederli è il primo salvacondotto che legittima l’identità), i pazienti Fernando Oreste Nannetti (NANOF), Gianfranco Baieri e Lia Traverso, con le loro storie di lotta per l’affermazione del sé. La parola, negata in tutte le esperienze di reclusione e violenza, cede alla pittura e al graffito, ovvero allo sguardo, la propria funzione di attestazione dell’esistenza.

Da ‘Istituzione chiusa’ a ‘Fabbrica del cambiamento’, le ultime sale del percorso raccolgono la documentazione della metamorfosi. Interviste agli ex «guardiamatti» e brevi video dagli anni ’60 a ’90 ricostruiscono la storia del manicomio e della liberazione finale. Uno scorcio dell’Italia nel pieno fermento culturale, nella quale idee e valori operavano il innovamento della società, dai primi esperimenti di Franco Basaglia all’istituzione delle comunità terapeutiche.

inventori di mondi

L’ancestrale paura di guardarsi allo specchio, lo scandalo del diverso, il senso di smarrimento nei momenti di crisi e i pericoli dell’incomprensione sono solo alcune delle questioni che accomunano cosiddetti folli e normali, che il Museo Laboratorio della Mente riesce a mettere in campo con straordinario successo. Esso offre la sua cura, ovvero quegli accorgimenti finalizzati alla riabilitazione/comprensione di problemi. Il padiglione-museo persegue tuttora il suo ruolo elettivo: «prendersi cura» della comunità.


Il Museo della Mente si fa promotore di numerose attività culturali. Tra i prossimi eventi segnaliamo:
venerdì 28 marzo: Archimisti Ensemble, concerto,  (A.Vivaldi, Concerto in sol magg. RV151; G.Ph. Telemann,  Concerto in sol magg. per viola e orchestra; F. Geminiani,  «Follia», Tema con variazioni dalla Sonata Op.5  N°12  di A.Corelli, G.F. Haendel, Concerto grosso Op.6  N°1. Sabato 5 Aprile, Il gesto perduto di Eric Hebborn. Storia e Mito di un falsario, racconto di Claudio Rampini e musiche di Riccardo Savinelli. Auditorium Paolo Rosa. Museo Laboratorio della Mente. Piazza Santa Maria della Pietà, 5, Roma.

immagini
 
(cover, 1) «Il tavolo». Ponendo i gomiti sul tavolo (emettitore sonoro) e le mani sulle orecchie il visitatore sentirà delle voci. «Dimore del corpo», Sala 4 del Museo Laboratorio della Mente. (2) «L’Istituzione chiusa», Sala 6 del Museo Laboratorio della Mente. (3) «Inventori di mondi». L’allestimento museale, i video e l’opera graffitica riprodotta su pannelli di Fernando Oreste Nannetti (NANOF). Sala 5 del Museo Laboratorio della Mente.
Tags: arsbodybody poetryinteractivememorymultimediaMuseo della MenteperceptionStudio Azzurrosynesthetic
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