Il Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, che si è concluso da poco a Terni, si è dimostrato un terreno fertile per la fioritura di installazioni temporanee, spazi di co-creazione e di confronto, performance teatrali e musicali e laboratori didattici che hanno permesso di ridisegnare «i rapporti di prossimità, il senso del bene comune, del noi, e dell’abitare insieme in uno spazio che diventi pubblico e del pubblico» (Di Pietro, Organtini). Lo slogan del festival, come close, si è quindi rivelato un invito a entrare in contatto con l’arte, avvertita come vaccino indispensabile per risvegliare le coscienze umane abituate alla distrazione, per immunizzarle da quel guardare senza vedere già evidenziato nel corso del XIX secolo da Henry David Thoreau. Appello che è stato fiduciosamente accolto non solo dagli abitanti del luogo, ma anche da un pubblico internazionale, che ha assistito alle varie proposte mostrandosi intenzionato a ricucire quel traumatico scollamento avvenuto tra arte contemporanea e società.
Un’esperienza vissuta ad esempio da chi ha preso parte alla performance partecipativa The end – Terni, nata dalla collaborazione tra il collettivo milanese Strasse e la regista olandese Lotte van den Berg e realizzata a partire da una rilettura del cinema indagato nel suo essere forma d’arte spettacolare e popolare. L’operazione, articolata in tre momenti scanditi da orari predefiniti, spinge a riflettere sull’idea di fine e sul concetto di trasformazione che porta con sé per poi trascenderli e schiudere una moltitudine di interrogativi inevitabilmente correlati all’uomo colto nella sua dimensione interiore, nel suo aprirsi all’altro e nel suo rapporto con l’ambiente circostante e con le nuove tecnologie. Venti spettatori vengono condotti e abbandonati in tre scenari quotidiani dove, immobili nelle posizioni pensate per loro, assistono a tre diversi finali.
Un segnale sonoro sancisce il termine della fine: i partecipanti si voltano, attendono qualche secondo e si disperdono. Ciò che resta è un’esperienza di visione individuale e di condivisione plurale, che parla con linguaggio cinematografico rifiutandone però tutte le mediazioni e le strumentazioni tecniche. Una riduzione che solletica il cervello dei partecipanti e di tutti coloro che casualmente ne risultano coinvolti, riuscendo a dare origine ad un rapporto di partecipazione tra arte, territorio e società.
immagini: (cover 1) Museum of the moon – night (2) Museum of the moon – day (3) The End, posizioni.