Cosa significa parlare di Umanistica Digitale, Informatica Umanistica, o qualsivoglia si definisca nell’incontro tra linguaggio informatico e discipline umanistiche? Questo è un tema che già da qualche tempo ha incubato un nuovo filone di letteratura.
Un libro uscito in questi giorni per la collana Oscar Mondadori, tradotto e adattato da Matteo Bittanti dall’originale pubblicazione del MIT (2012), affronta la questione proponendosi come approccio alla ricerca rivoluzionario, anticamera di una nuova era per le accademie ma anche guida alla visione del mondo odierno. «E’ un approccio globale – si annuncia nella prefazione – trans-storico e trans-mediale alla conoscenza». Così cinque accademici visionari, Anne Burdick, Johanna Drucker, Peter Lunenfeld, Todd Presner, Jeffrey Schnapp, escono dai «recinti» dell’Accademia, per allargare lo sguardo oltre i confini disciplinari, dove potersi instradare verso la prospettiva di un nuovo modo di «fare» cultura. Il volume, proseguimento di un Manifesto pubblicato nel 2009, si costituisce come un progetto sperimentale, teorico e pratico, un «metalogo», un dialogo che assume la forma di ciò che si discute. Se la discussione nasce dalla crisi profonda delle discipline umanistiche negli Stati Uniti, questo tema è -deve essere – particolarmente caro all’Italia.
Umanistica_Digitale mette sul tavolo strumenti possibili per sfruttare l’enorme potenziale del mondo digitale a beneficio della qualità e della rimessa in circolazione della cultura umanistica, destinata ad essere tutt’altro che obsoleta. Perché questo avvenga, bisogna andare oltre il trasferimento meccanico della cultura nella dimensione digitale. E’ necessario, piuttosto, adattarla, interpretarla, elaborarla, renderla viva attraverso i molteplici canali a disposizione, far sì che instauri un rapporto osmotico con l’ambiente tecnologico. Si tratta, quindi, di un’umanistica «generativa» che prevede «cicli rapidi di prototipazione e analisi; la volontà di accettare la possibilità del fallimento nei processi produttivi; la presa di coscienza che ogni ‘soluzione’ genera a sua volta nuovi problemi e che questo meccanismo produce esiti positivi anziché negativi».
Premessa fondamentale è considerare l’umanistica digitale non come una disciplina, ma come una «convergenza» di discipline, nonché promuovere la tecnologia da «mero» supporto a complice di nuovi modi di produrre conoscenza attraverso nuove «logiche creative». Entrano in gioco altri compiti e competenze. Tra queste, la «curatela», che comprende anche la delicata scelta dei dati conservare; l’«analisi», spesso legata alla visualizzazione dei dati; l’«editing» che diventa un gesto «produttivo» e «generativo» e il «modeling», ovvero il «dare forma» ad un argomento sfruttando anche lay-out, tipografia e format a favore dei contenuti. Nel titolo Umanistica_Digitale, per esempio, la continuità dell’umanistica con il digitale prende vita nell’impiego del simbolo tipografico « _ » che tiene le due parole ben strette tra loro. Il design, inteso anche come progettazione in questo nuovo approccio conquista, quindi, un ruolo centrale così come anche il «gioco», dove l’esperienza contribuisce al processo di conoscenza.
Tutto questo significa allargare lo sguardo, iniziare a «percepire» una realtà, dove si intrecciano reale,virtuale, tecnologia, comunicazione, linguaggio e quanto più rientri nelle griglie dei nuovi ecosistemi tecnologici. Il design, per esempio con l’elaborazione visiva dei dati in interfacce, conosciuta anche nella pratica di data-visualization, contribuisce ad intercettare e visualizzare geografie nascenti, nate dalla sovrapposizione con le architetture invisibili dei dati, così come seguirne i continui cambiamenti. E’ in questa molteplicità di canali e di raccordi che si devono rileggere tutte le singole discipline e tecniche. Piuttosto che pensare alla fine della stampa, bisogna ricollocarla all’interno di un più largo intreccio di modelli ibridi di comunicazione che superano – questo sì – la produzione di cultura su base «esclusivamente» scritta e stampata.
Le discipline umanistiche sono storicamente radicate, lo dice la parola stessa, nell’ uomo e nella condizione umana. L’uomo è ancora al centro di tutto. La questione è capire cosa si intende per «centro» e cosa per «tutto». Ci si muove, infatti, in una dimensione spazio-temporale policentrica e ubiquitaria dove la tecnologia, da «estensione dell’uomo» è ormai scritta anche nel codice genetico. Questo manuale empirico, destinato alla ricerca e al mondo accademico, diventa guida a tutto tondo, ausilio per assestare i nostri sensi, quelli che ci servono per vivere nell’ambiente tecnologico nel quale siamo immersi, per poterne prendere i comandi e poterlo finalmente navigare in maniera consapevole, per poter mettere a fuoco quella «non definibile sensibilità meccanica» (Dorfles,1965) che ci permette di entrare in sintonia con la tecnologia e trasformarla da carnefice in complice.
Anne Burdick, Johanna Drucker, Peter Lunenfeld, Todd Presner, Jeffrey Schnapp, Umanistica_Digitale, (traduz.italiana) Bittanti M., Mondadori, Oscar saggi, Aprile 2014 (Digital Humanities, MIT Press, 2012). Questo articolo è apparso per la prima volta sull’inserto cultura del Sole 24ore con il titolo «Ri_creazione digitale».
Immagini
(cover e 1) RomeLab, gruppo di ricerca multi-disciplinare guidato da Chris Johanson, Classics and Digital Humanities, UCLA University, Los Angeles (2) Digital Humanities, cover dell’edizione americana (The MIT, 2012) (3) Visualizzazione di contenuti emozionali estrapolati dal 650.000 tweets nell’arco dei 30 giorni che hanno seguito il terremoto, lo tsunami e il disastro nucleare in Giappone (11 marzo – 11 aprile 2011). Progetto collaborativo, guidato da Todd Presner – Direttore del Digital Humanities Program presso l’UCLA University di Los Angeles (3) Umanistica_Digitale, Mondadori, 2014, cover edizione italiana.