“Alle soglie del Duemila, la fotografia sembra aver finalmente trovato la sua vera vocazione – così recita la quarta di copertina dell’ultimo libro di Luca Panaro, critico d’arte, già da diversi anni impegnato in una ricerca attenta all’incontro tra fotografia, video e new media. Panaro legge coraggiosamente questo cambiamento della fotografia come un passaggio evolutivo, una ‘liberazione dalle sovrastrutture culturali impostegli dagli stessi fotografi’, se pur legata agli aspetti comportamentali a cui è destinata, ovvero la condivisione sui social, e – in generale – sui canali di informazione. Essa [la fotografia] – prosegue Panaro nel suo libro – grazie all’uso sempre più massiccio di smartphone e app dedicate, ha completamente modificato la sua natura pur mantenendo sorprendentemente la sua pratica, preservando quindi la sua struttura senza riserve”.
Dei molteplici cambiamenti della fotografia Luca Panaro stringe l’obiettivo sulla nuova iconografia che sembra spostarsi da una visione prospettica ad una bidimensionale, dove ritrovare una dimensione non-narrativa che penetra il dettaglio e lo trascende per entrare nella sfera universale, proprio come era accaduto con la visione microscopica in grado di raggiungere il mondo molecolare dove ritrovare la struttura del macro-universo. Della radice antropologica legata all’uso dei social (soprattutto quelli in voga al momento, Instagram e Tumblrs) se ne era discusso con il lungo saggio del teorico dei nuovi media Lev Manovich che della relazione tra fotografia e social ne faceva soprattutto un’analisi antropologico-statistica.
Ora, Panaro, senza distaccarsi dall’aspetto antropologico, sposta l’inquadratura della sua attenzione sull’aspetto iconografico, fa lui stesso un close up sulla fotografia e sulla società che la produce. Dalla sua ricerca, negli ultimi anni attenta alle immagini che circolano sui social, con spirito da archeologo, ne ricava un’iconografia che risulta concentrata sui dettagli, sulle superfici, quelle della cartografia che delinea il suo profilo nella composizione di fogli di carta da lucido accartocciati (C.F. Baczynsky), quella delle tracce biologiche lasciate sui telefonini dalla gestualità quotidiana (S.Bergantini), quella ricavata dal close-up di oggetti di tutti i giorni (M.Cremonesi), quella dei paesaggi cromatici che prendono forma dalla liquefazione di immagini della cultura popolare giapponese dei fumetti (T.Ruff) e così via. I 36 artisti, selezionati tra italiani e internazionali, affermati ed emergenti, sono stati chiamati a sostenere e a rappresentare la tesi di questo cambiamento. Interessante, nella selezione delle opere, la scelta di includere quelle di artisti che lavorano anche in analogico, come David Benjamin Sherry che, per il suo Astral Desert, attraversa il deserto dello Utah in Nevada e New Mexico con la sua attrezzatura, e Davide Tranchina che sviluppa le immagini scattate delle sue 40 notti a Montecristo nella sua camera oscura, con l’antica tecnica del cliché verre.
Non solo, lo sguardo si posa anche su artisti che fotografano i processi, come la polvere e la sporcizia che si depositano sui fogli di pellicola del Dust Collector di Giuseppe De Mattia, o quelli prodotti dalla lente dell’acqua in movimento, come nella serie Untitled (Raimbow Waves) di Taisuke Koyama che, ri-fotografa la stampa a getto d’inchiostro di un arcobaleno immersa fra le onde della costa di Shodoshima Island. Questo un assaggio per elencare la varietà di angolature con cui Panaro guarda all’iconografia moderna del dettaglio, un’iconografia in cui includere i processi di realizzazione e, senz’altro, quelli di distribuzione, come esplicitamente ci mostra l’attitudine fotografica di Enrico Smerilli che realizza le sue immagini con spirito one shot, unicamente pensate per essere postate sui social e titolate con hashtags, simboli o emoticons. Tutto, poi, si ricongiunge nella superficie della ‘condivisione’ da cui prende forma la società contemporanea e i suoi nuovi modi di essere e di vedere. In questo ricongiungimento torna il titolo «Un’apparizione di superfici» ripresa dal filosofo coreano Byung-Chul Han con cui descrive la società contemporanea.
Ora, dobbiamo forse ancora prendere tempo prima di sentirci sicuri di poter dire che questo passaggio della fotografia sia una ‘evoluzione’ nel senso positivo del termine. La fotografia si trova certamente già da tempo in un passaggio epocale, lo stesso che riguarda l’uomo e che ancora con difficoltà riusciamo ad inquadrare lucidamente e a metabolizzare. Il saggio si propone coraggiosamente come strumento per riflettere. Anche il libro sembra essere fatto con una sorta di spirito del tempo. E’ un saggio molto agile, anche nella lettura. La scelta delle opere e anche l’idea di tenerle separate in una sorta di appendice compilativa che segue il testo critico, si rivela poi utile per ragionare su diverse possibili letture con cui ricombinare le opere al testo e riflettere sui nuovi cambiamenti della fotografia trasformandoli in possibili scatti sulla società attuale.
Luca Panaro, Un’apparizione di superfici, APM edizioni, Carpi (Modena) 2017.
Il libro sarà presentato presso il DUST Space a Milano, 16 novembre, 2017, ore 19.00
immagini: (cover 1)Luca Panaro, «Un’apparizione di superfici», cover (2) Giulia Flavia Baczynski, «Carta fisica della terra #10», 2015-16. Stampa digitale fine art, 120×90 cm. Courtesy Fonderia 20.9, Verona (3) Enrico Smerilli, «#oil», 2015. Fotografia digitale, 26×19 cm. Courtesy dell’artista