Giulia Cotterli entra nelle stanze di «Young Italian Artists, archivio in progress che vuole dare spazio ai protagonisti dell’arte under 35, concepito da Antonello Tolve e curato con Elena Giulia Rossi. Ci avviciniamo al suo lavoro accompagnati dalla sua Ode alla lentezza.
Sono quella che in inglese si definisce una slow learner, letteralmente: qualcuno che impara lentamente. Sono una persona bisognosa di tempo, che non ha mai avuto abbastanza fiato per correre tre giri di campo e che doveva fare delle pause per riprendere fiato.
L’artista – come Charlie Chaplin in Tempi moderni – è diventato un ingranaggio, parte del sistema dove non gli è più concessa la lentezza, dove la riflessione deve essere pari al tempo di produzione, veloce, a volte sistematica, che soddisfi una richiesta sempre più alta e disparata.
Ma oggi il tempo sembra essersi fermato e nel bel mezzo del secondo giro di campo ci troviamo a respirare affannosamente per capire cosa fare. Oggi il mondo mi assomiglia un po’ di più: è paralizzato, è costretto a riflettere.
Nonostante questo, dentro i nostri studi ci affanniamo per trovare la giusta opera da esporre appena tutto sarà finito, ci sfiniamo di telefonate e e-mail per ricordare al mondo che esistiamo. Ma questo è il tempo di lodare la lentezza: di riappropriarci dei nostri spazi, dei nostri tempi, di dedicarci a quelle letture che abbiamo accatastato nelle nostre librerie, di guardare i film che avremmo sempre voluto vedere, di riflettere su dove stiamo andando e sul perché lo stiamo facendo, di non concentrarci solo su quello che accade fuori ma anche su quello che accade dentro.
Lavoro sempre con le spalle alla finestra, non curante del mondo che si muove fuori, con lo sguardo rivolto verso la mia libreria dove ci sono non solo libri ma anche cartoline, piccoli oggetti della mia vita, fotografie significative. Lavorando mi accorgo di dover accendere la luce quando ormai il cielo si è fatto scuro e mi ritrovo a disegnare quasi al buio. La notte mi è stata cucita addosso già quando avevo cinque anni. Look I’m the one who fucks the stars prende spunto da quando durante la recita dell’asilo ho dovuto interpretare la notte. Ero nelle ultime file, senza neanche una battuta, a fare da sfondo a qualcuno più bravo e con più fiato. Quel determinato ruolo è diventato parte della storia della mia vita; la notte entra ed esce da me, le stelle scappano e rimane solamente il buio che un giorno prevarrà sulle stelle che si affannano per brillare.
Tu guardi il cielo, le costellazioni, ma puoi guardare anche il buio che le circonda. E lì riscoprire nella penombra il valore delle cose essenziali, riscoprire di essere splendidamente lento e sprofondare nel buio per finalmente ritrovarti.
Giulia Cotterli