Con una autocritica e autoanalisi, Iacopo Pinelli entra a far parte del progetto «Young Italian Artists. Racconti dall’arte contemporanea», spazio dedicato ai protagonisti dell’arte under 35, concepito da Antonello Tolve e curato con Elena Giulia Rossi.
Credo che lavorando sull’io si possa comprendere meglio se stessi sia nell’agire individuale che in quello collettivo. Ciò che più mi interessa sono le problematiche sociali, politiche e relazionali che ci accompagnano nella vita di tutti i giorni.
Una delle mie prime ricerche effettuate in detti ambiti è stata quella sulla «tensione», facendo emergere le trasformazioni indotte nell’uomo dalle tensioni attive nella società contemporanea, scavando nelle problematiche sociali e relazionali che inducono disagio, angoscia, emarginazione, autoesclusione. La ricerca intrapresa è approdata all’analisi della perdita dell’inconscio.
Da qui è nata la serie di lavori denominati Corpi defunzionali dove ciò che conta non è la storia sentimentale che l’oggetto può raccontare, ma l’operazione di spiazzamento, di alienazione graduale dell’oggetto, di privazione del suo valore d’uso e, quindi, di assunzione di un significato altro. Un viaggio metaforico che mette in relazione l’assuefazione e il distacco di emotività, di confronto e di partecipazione alla realtà, enfatizzato dalla immedesimazione del corpo nell’oggetto, di corpi d’esistenza che non svolgono più alcuna funzione, che rimangono inermi, passivi, impossibilitati a reagire alle condizioni e alle questioni del tempo presente.
Attualmente sto lavorando ad una serie di opere intitolate Strutture, conseguenza naturale dei precedenti studi sulla defunzionalizzazione e smaterializzazione oggettuale. La serie di lavori di cui mi sto occupando prende in considerazione l’architettura attraverso gli scritti di Jacques Derrida e la riproduzione di materiali edili. Le strutture che realizzo sono scheletri di edifici, trasparenti fantasmi di architetture incompiute, rovine erette a monito della fragilità umana e delle sue opere. Costruzioni anonime e senza tempo, sgomento e vuoto sono le sensazioni che inducono. La completa assenza di forma sottesa alla bellezza propone l’idea della solitudine di un insieme concepito per sorreggere con vigore, ora costretto all’inattività. Mi riferisco all’architettura non intesa come tecnica delle costruzioni ma come elemento con cui indagare metaforicamente e filosoficamente la condizione umana così come aveva fatto Derrida teorizzando il decostruttivismo. Una destrutturazione delle esperienza umane finalizzata a portare alla luce quegli scheletri che fortificano la struttura e le fondamenta che la sostengono, nascoste ma essenziali. Ma anche le «strutture portanti», in realtà, hanno una loro intrinseca fragilità.
Iacopo Pinelli, Aprile 2020