Siamo lieti di pubblicare, con il permesso delle autrici, il testo che accompagna la mostra-rassegna Zone di Contatto presso AOC- Associazione operatori culturali Flaminia 58 che ripropone il lavoro di artisti che raccontano, interpretano, documentano, descrivono e colgono sul fatto altri artisti, qui nelle parole del testo critico delle curatrici, Silvia Bordini e Diletta Borromeo.
Tra opacità e trasparenza, come in un gioco di rimandi, una decina di artisti raccontano, interpretano, documentano, descrivono e colgono sul fatto altri artisti. Utilizzano il film e più spesso il video, impugnano la telecamera come in un reportage, un gioco, un esperimento, un’indagine. Sono diversi per formazione, età, esperienze e intenti ma tutti legati tra loro da una rete di rapporti che si rimandano con leggerezza. Ritrarre l’altro riverbera una serie di coincidenze e fa emergere differenze, specificità, linguaggi. È un modo di estendere lo sguardo che appartiene al paradigma del divenire delle immagini, da sempre peculiare del fare arte e tanto più con la complessità dei dispositivi di riproduzione «tecnici», fotografia, film, elettronica e digitale, come si analizza e si ripete, da Walter Benjamin a Nicolas Bourriaud. L’arte ha sempre guardato all’arte, tra appropriazione, riproduzione, citazione, contaminazione, omaggio, rimediazione e postproduction. Il fulcro è proprio la relazione, il processo in cui l’artista si rappresenta come spettatore di un altro artista, si inventa come continuatore e fa dell’altro artista un pubblico da coinvolgere. Una zona di contatto.
Verifica incerta, realizzata da Gianfranco Baruchello e Alberto Grifi nel 1964-65, è un esperimento dedicato a Marcel Duchamp. Una gran quantità di pellicola dei film hollywoodiani degli anni Cinquanta viene messa alla prova da mesi di smembramenti e tagli al montaggio, con salti e ripetizioni, fino alla dispersione di un qualsiasi senso. Le uniche riprese di Baruchello sono quelle della figura iconica dell’amico Duchamp avvolto nel fumo del sigaro, che fa capolino tra un taglio e l’altro, quasi a ricordarci che il germe di quest’opera è il ready-made. Una sperimentazione scanzonata, come Gioco di Giosetta Fioroni, protagonista Pino Pascali ritratto in una sorta di rito primaverile en travesti insieme agli amici, non impedisce che gli stessi autori siano consapevoli del medium e distinguano i linguaggi. «Non faccio un film perché un mio quadro rappresentava questo insieme di oggetti e inserisco gli oggetti nel film, non ha senso. Le due cose devono essere complementari, non possono sovrapporsi», dirà Baruchello nel 1968. Alcune esperienze producono un riverbero: l’indagine che Fioroni compie nell’intimità dell’amico Umberto Bignardi e di sua moglie nel video Coppie, dove la ricerca della bellezza si mescola a un ché di voyeurismo, può essere fonte di ispirazione per la performance La spia ottica, progettata per il «Teatro delle Mostre» nel 1968, di cui la stessa artista scrive: «Vi sono due momenti che si fondono in uno. L’esperienza di chi guarda e il comportamento della donna che sa di essere guardata».
L’elemento comportamentale è molto rilevante nel video SKMP2 di Luca Maria Patella, dove Pascali è uno dei protagonisti. La sua presenza e la sua fisicità «primordiale» esibita bucano lo schermo della camera di Patella, ma più tardi, nel 2003, quando l’autore televisivo Marco Giusti concepisce uno speciale su Pascali, negli spezzoni di SKMP2 rielaborati insieme ad altre opere, scenografie, animazioni e il Pulcinella, si crea una vertigine creativa. Si sovrappongono le trasformazioni di Pascali, l’occhio analitico di Patella e la narrazione di Giusti, il quale procede a salti, tagli e ripetizioni che – contrariamente alla distruzione del significato operata nel montaggio di Verifica incerta generano un ritmo e un senso circolare che chiude il racconto. Se per alcuni le esperienze con la telecamera si rivelano transitorie, Mario Schifano invece resta, si potrebbe dire, ossessionato dal video, di cui non potrà fare a meno, sia in quanto regista dello strumento, sia come fruitore del monitor TV, che riprende nei suoi stessi video.
La sua visione è un flusso continuo e quotidiano di immagini di vita, in parte raccolto nel film Mario Schifano Tutto, che rivela il suo lato umano, spesso eccessivo ma sincero, anche nei riguardi dei suoi compagni di strada e del loro lavoro, che condivide. Nel brano di Mario filming Franco Angeli, mentre quest’ultimo disegna la falce e martello sul prato, Schifano sembra lasciare spazio alla sacralità dell’opera in divenire. I video di Fioroni, Patella e Schifano confermano un sentire collettivo, l’esigenza degli artisti di riprendersi fra loro, attratti non solo dal nuovo mezzo che consente di documentare, ma anche dal desiderio narcisistico, amplificato dalla telecamera e dal gioco di equilibri fra l’artista che produce l’immagine e l’artista che può diventare materia e specchio per l’altro.
Il guardare e il guardarsi, i temi del ritratto e dello specchio, il riverbero dell’immagine, coinvolgono l’artista anche attraverso le opere di altri, citate, manipolate oppure fuse in un nuovo lavoro come Foot Print, ideato da Mario Sasso nel 1989 con le musiche di Nicola Sani e concepito per le prime trasmissioni Rai-Sat nel 1990. Il videotape mostra le immagini di città e regioni raggiunte dalle riprese del satellite, in una nuova prospettiva che immagina una sintonia tra le forme dei territori e quelle degli artisti che li hanno abitati. Impegnato su piani contigui tra la videoarte e la pittura, Sasso sente l’urgenza di «riscaldare» la tavolozza dell’elettronica, un linguaggio fino a quel momento considerato freddo. «Sono un pittore che a un certo punto ha incontrato l’elettronica», dichiara. Così, dai reticoli dell’immagine satellitare, emergono le opere di Lucio Fontana, Piet Mondrian, Giuseppe Capogrossi, Alberto Burri, Marc Chagall, Osvaldo Licini, come «incarnazioni» dei territori di appartenenza. Per il tramite degli artisti, la forma e la sensibilità cromatica si tramutano in materiale espressivo, cui si sovrappone la stratificazione operata da Sasso.
Mariagrazia Pontorno, collaboratrice di Sasso all’inizio della sua formazione, si cimenta nella rappresentazione di Passa Dentro, un lavoro collettivo di David Tremlett. L’occasione, nel 2000, è un progetto in collaborazione tra il Palazzo delle Esposizioni e l’Università La Sapienza, in cui gli studenti sono partecipi di una grande opera da realizzare negli spazi di Tor Bella Monaca. Lo stesso video, realizzato da Pontorno insieme a Federico Vuerich e Luca Morazzano, con le musiche di Sani, è frutto di un lavoro a più mani. Ancora una volta le sovrapposizioni di più visioni ed esperienze generano un cortocircuito creativo attraverso lo sguardo del videomaker: si sofferma sull’interazione di Tremlett con i ragazzi, scandisce il tempo del lavoro in fieri, presenta in un tutt’uno il ritratto dell’opera e dell’artista, lascia una propria memoria, scegliendo di seguire la sinuosità delle linee che segnano il movimento della composizione pittorica, linee che nel video sembrano correre veloci e leggere. Francesco Vaccaro sottopone alla lente del tempo e della memoria i ritratti di artisti e scrittori. Nelle piccole effigi degli scrittori del Novecento e nei video in cui «insegue» il lavoro degli artisti, la memoria sembra passare attraverso le fattezze, il corpo e il movimento. Racconta i momenti del suo procedimento creativo: «dopo l’incontro e la nascita dell’interesse per il lavoro segue la fase, molto bella, delle riprese nello studio dell’artista, dove ciascuno lavora per conto proprio e io assisto in rigoroso silenzio alla creazione dell’opera. Poi, la fase del mio montaggio, nel mio studio, in cui attraverso le immagini raccolte, cerco di costruire un racconto poetico».
Con empatia Vaccaro cerca reciprocità in una corrispondenza interna. Nelle riprese è accurato, segue gli artisti da molto vicino osservandone la manualità, i dettagli, i gesti, si focalizza sul lavoro in sé e sugli oggetti peculiari. Non sembra compiere un vero rispecchiamento, piuttosto da questi lavori pare estrarre piccoli indizi che divengono nutrimento per sé stesso. In tal modo riesce a cogliere gli aspetti più sensibili delle opere: la manipolazione degli inchiostri mutevoli e l’essenza materiale della carta in Elisa Montessori (2003); la cancellazione della parola rinchiusa e ulteriormente negata in favore di una dimensione più intima, meno plateale, se possibile ancor più minimalista, in claudioadami notes (2005); i Corpi Estranei di Bruno Lisi (2009), che sembrano generati da cellule organiche e dal segno vitale che percorre l’opera tutta, dai filamenti dei metacrilati alle pitture dei filiformi colori vibranti.
Silvia Bordini e Diletta Borromeo
«Zone di Contatto», a cura di Silvia Bordini e Diletta Borromeo, AOC F58 – Galleria Bruno Lisi, Roma, 07.03 – 25.03.2022
immagini: (cover 1) Mario Sasso, «Foot Print», 1989. storyboard (2) Marcel Duchamp in Gianfranco Baruchello Alberto Grifi: «Verifica incerta», 1964-65, video still (3) Pino Pascali in «Gioco» di Giosetta Fioroni , 1967. video still (3) Mario Schifano Mario Filming Franco Angeli, 1968. video still (4) Mario Sasso, «Foot Print», 1989. video still Piet Mondrian (5) Mariagrazia Pontorno, «Passa Dentro Un’opera di David Tremlett», 2000. video still (6) Francesco Vaccaro, « claudioadami notes», 2005. video still.