Due le immagini frequenti nelle esposizioni di questo autunno londinese, per lo meno quanto alle mostre e alle opere che ho visitato e/o che mi sono parse interessanti e comunicative. Il circuito chiuso e lo specchio. Installazioni ad ingranaggi e meccanismi circolari o che la ciclicità del gesto e della pratica richiamavano; ambienti che ci fanno da specchio, in cui si vorrebbe forse evitare di identificarsi, ma a cui è inevitabile sottrarsi. Olaf Nicolai (Galerie Eigen + ART, Berlin), Rosa Barba (Giò Marconi + Meyer Reigger), Oscar Murillo (David Zwirner, NY-London), Rafael Lozano Hemmer (CarrollFletcher, London), Steve Bishop (Supportico Lopez, Berlin) per i primi. Cory Arcangel (Lisson Gallery, London Milan Ny Singapore), Ed Fornieles (Chisenhale Gallery), Lizzie Fitch e Ryan Trecartin (Zabludowich Collection, London), Laure Prouvost (Mot International, London) per gli ambienti distopici o utopici in cui rifletterci.
Probestueck di Olaf Nicolai (1962, Halle, vive a Berlino) è la traduzione sonora di moduli architettonici, è la voce chiusa di un soprano e un controtenore chiamati ad interpretare acusticamente e fisicamente alcuni grafici modulari, quadri che evocano le facciate a finestre del monastero Domenicano Sainte-Marie de la Tourette vicino a Eveux-sur-l’Arbresle, a cui lavorò il musicista Iannis Xenakis inserendosi in un’architettura disegnata da Le Courbusier. La voce disegna spazi circoscritti, definiti e disegnati secondo precisi calcoli di proporzione fra moduli, che rimandano alla struttura architettonico-musicale del pezzo d’orchestra per 61 musicisti firmato da Xenakis, Metastaesis.
Nello stand allestito da Giò Marconi e Meyer Reigger, Rosa Barba, attraverso pellicole cinematografiche 35 mm e relativi proiettori, ci racconta la ciclicità della materia, le tracce che il passato proietta su un presente capace a suo modo di intercettarle, di ripeterle nella differenza. Sui nastri sono dipinte lettere, che girando divengono parole colorate.
Slittamenti di dimensioni temporali e linguistiche, confluiscono in un presente eterno e in uno spazio indefinito, portando a riflettere sulla dimensione della ciclicità di eventi e soggetti e, quindi, sull’infinito. Quell’infinito contenuto nell’urna di Steve Bishop (1983, Toronto, vive a Londra), che, nello stand di Supportico Lopez, gira ad una velocità tale (3500 giri al minuto) da sembrare ferma. Urna come simbolo di memoria e di vite passate, che tutto il tempo e tutto lo spazio contiene e ripresenta, ad ritmo instancabile e inafferrabile.
L’installazione Pan-Anthem di Rafael Lozano Hemmer (1967, Mexico City, vive a Montreal) presso la galleria CarrollFletcher crea l’immagine di una morsa stretta e interminabile fra l’anelazione alla libertà e gli investimenti nazionali a scopi militari. Un muro di speakers, suddivisi in base ai capitali nazionali investiti in armi, si attivano all’avvicinarsi dello spettatore, riproducendo coralmente gli inni delle diverse nazioni. I diritti dei cittadini costretti e stretti da un’economia bellica. E il cerchio rimane chiuso, ancora.
Esprime bene la catena del lavoro, Oscar Murillo (1986, La Paila, Colombia, vive a Londra) affrontano la schiavitù dei lavoratori delle fabbriche di cioccolato in Colombia, in un’installazione a molti monitor, ognuno dei quali rimarca la permanente alternanza fra i ritmi della strada e quelli dell’industria, in un rimbalzo senza sosta. Un cerchio nel quale si abita e ci si identifica, a malincuore e dispetto, soprattutto.
Sono i video di Cory Arcangel (1978, Ny), a proporci realtà liquide che si sdoppiano e liquefanno: opere che appartengo alla serie LAKES, video meditativi a schermo piatto, ottenuti utilizzando lo Java Applet «Lake effect» reso popolare negli anni ’90, che produce appunto l’effetto del riflesso dell’immagine nel lago. E di rimando, in chi osserva. L’artista sceglie soggetti popolari (pizza, occhiali da sole, una ragazza con la torta nuziale) nella loro veste kitsch, facendoci interrogare sul modo compulsivo di fotografare e archiviare immagini e soggetti senza alcun valore, se non per la celebrazione dell’attimo.
Alla Zabludowicz Collection, Lizzie Fitch (1981, Indiana, vive a Los Angeles) e Ryan Trecartin (1981, Texas, vive a Los Angeles) trasformano lo spazio della galleria in un mondo post-umano. Tappeti, specchi, divani su cui sdraiarsi e riflettersi nei personaggi dei film presentati, protagonisti di un ambiente ridotto a misura di videogames, ragazzi universitari che divengono animazioni evolute dei loro stessi esperimenti, abitanti di un mondo fra il post umano e il post mediale. Ragazzi che parlano della Rete alla Rete, sottoposti e vittime di incessanti stimoli esterni che entrano nei loro spazi quotidiani, si sovrappongono alle loro volontà, negano la privacy e ogni libero arbitrio. Priority Innfield (in corso fino al 21 dicembre) è l’espressione di quello che Trecartin chiama «transumerismo», ovvero modo di vivere e l’estetica dell’età del’informazione. Il che ci pone una serie di questioni e allarmi sul tema dell’identità post internet, delle sue plurime dimensioni e sulla bassa ricchezza di questa cultura pop del web. Un po’ come la Pinterest Reality che Ed Fornieles ha realizzato alla Chisehale gallery, uno spazio domestico (invaso chiaramente da molti monitor, che si affiancano a letto, tavolo etc..) in cui una serie di performers attivano l’esposizione con azioni quotidiane, come dormire o messaggiare in un continuo bilico fra l’essere offline e online, fra la banalità dei movimenti e un distopico riflesso in essi.
Nella videoinstallazione Grandma’s dream di Laure Prouvost (1978, Lille, France. She lives in London), premiata nel 2013 al Turner Prize, l’artista, e il pubblico con lei, si proiettano nei sogni e nelle sofferenze della nonna. Un sogno capace di creare un’atmosfera sospesa e assolutamente incantata: cieli abitati da nuvole fertili di frutti, arte concettuale come pane quotidiano, telefonate con esseri superiori etc Un’atmosfera che, mentre ci seduce, ci costringe a ripensare ciò che nella realtà confondiamo come sogno tecnologico, all’amore e alla delicatezza che nel quotidiano ci mancano, come antidoto alle paure a alle lotte. Una voce suadente, come spettro dei nostri desideri. Suoni fra il lirico e lo stridente. Immagini fra l’etereo e il pop. Voci sincopate e suoni aspri ad accompagnare immagini di fobie e violenze. Sovrapposizione di piani, montaggio veloce e camera che segue i movimenti del nostro occhio durante il sonno. Il compito dell’arte è sempre stato quello di offrire delle lenti di ingrandimento sulla realtà. E ora che si sono evidentemente date svariate forme ai limiti dello spazio fisico e dello spazio sociale della rete, quali saranno gli sviluppi nell’arte e, soprattutto, nella società?
immagini (cover) Rosa Barba, Color Studies, 2013. 2 x 16mm film projectors, 2 x 16mm films, screen. each film: 2:00 min. Ed.: 3, II (1) Laure Prouvost, Grandma’s Dream, 2013 HD Video 8:55 min, installation view, courtesy of the artist and MOT International London and Brussels (2) Olafur Eliasson, Probestueck, courtesy Galerie EIGEN + ART Leipzig/Berlin (3) Rosa Barba, Boundaries of Consumption, 2012. 16mm film, modified projector, film canisters and 2 metal globes.Ed.: 3, I (4) Steve Bishop Holding Pattern, 2014 , nickel plated PVC, motor, melamine faced chipboard (5) Rafael Lozano-Hemmer, Pan-Anthem, 2014, 300 speakers with built-in sound playback, power supply cables, ultrasonic range finders, IR sensors, steel (6) Cory Arcangel, LAKE series, installation view, Lisson Gallery booth at Frieze, 2014, image courtesy Lisson Gallery (7) Laure Prouvost, Grandma’s Dream, 2013, Turner Prize 2013, courtesy of the Artist and MOT International London and Brussels.