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Home News Focus

Art & Globalization. Cultivating Humanity

Ripensare la globalizzazione partendo da un nuovo umanesimo

Valentina Gioia Levy by Valentina Gioia Levy
10/07/2018
in Focus
Art & Globalization. Cultivating Humanity

Il programma promosso dalla piattaforma Arts & Globalization, creata nel 2015 da Rikke Jorgensen, si è concluso domenica 1 luglio con la presentazione nel foyer del teatro Garibaldi del progetto Migrant Resources dell’artista danese Kenneth Balfelt realizzato insieme al ghanese Kwame Aidoo. Le due giornate precedenti, il 16 e il 17 giugno avevano visto susseguirsi, sulla Piazza Magione di Palermo, in collaborazione con lo spazio Kaoz, una serie di performance, workshops, interventi di arte partecipativa e conversazioni con artisti e curatori provenienti da vari continenti, tutti chiamati a portare un contributo al dibattito sulla connettività globale e sulle sfide a cui si trovano confrontati oggi artisti e istituzioni.

In linea con il tema guida di Manifesta, quello della coesistenza e del giardino planetario in cui i semi della conoscenza si mescolano producendo fiori e frutti sempre nuovi, dal programma Art & Connectography sembra essere emersa una volontà di ripartire dall’essere umano e dal significato di connettività come interrelazione tra il singolo e la collettività, oltre i confini politici, le bandiere, i falsi miti e le identificazioni semplicistiche alla ricerca di una natura più profonda dell’interazione che trova le sue fondamenta all’interno dell’essere umano. Lo spirito di queste intense giornate si potrebbe tradurre come un invito a coltivare l’umanità e con essa nutrire gli aspetti emozionali e relazionali dell’esistenza.

Tra le installazioni effimere in piazza Magione, “The Identical Look-Like” una bandiera di coriandoli del belga Gery De Smet che riproduceva lo stemma della Sicilia nel X secolo identico a quello attuale delle Fiandre e un’altra bandiera, ma fatta di sabbia dalle varie tonalità che richiamano i colori della pelle umana dal beige chiaro al bruno intenso, del duo danese Hesselholdt & Mejlvang. Come per un mandala tibetano le artiste hanno realizzato l’opera e appena terminata l’hanno cancellata rimescolandone in un unico vortice linee e colori. Sempre nella piazza Magione, Romina De Novellis ha fatto realizzare con la tecnica tradizionale dell’infiorata siciliana una campana, come nel gioco omonimo che i bambini tracciano a terra con i gessetti colorati. Ogni casella riportava il nome di uno dei paesi da cui provengono migranti, rifugiati politici e richiedenti asilo, mentre alla fine del percorso la casella Europa marcava l’approdo sperato. L’artista è rimasta seduta in silenzio nel mezzo della campana, finché l’infiorata, questo mare simbolico di fiori colorati, non si è richiuso intorno a lei.

l sino-malese H.H.Lim ha ideato invece l’installazione interattiva “The Mental Trip”, un percorso labirintico formato da due quadrati concentrici di circa 13×13 metri che il pubblico scopriva portare ad un punto morto solo una volta entrato. L’installazione di H.H.Lim è stata teatro di una gara proposta dall’artista indiano Manohar Chiluveru che utilizza il gioco come un’opportunità per creare forme di interazione sociale. La gara dell’uovo e del cucchiaio è un gioco importato in India durante la colonizzazione inglese e diventato estremamente popolare nel sub-continente all’inizio del XX secolo. Manohar Chiluveru ha condotto una gara senza competizione in cui tutti i partecipanti avevano indosso magliette su cui era scritto il nome di un valore universale come la solidarietà, la pace, l’amore per la natura, una non-gara simbolo di riconciliazione tra passato e presente.

Lisa Batacchi ha presentato invece Heated Oracles, un progetto di arte partecipata realizzato in collaborazione con gli abitanti di piazza Magione, un laboratorio di cucina in cui i bambini e i ragazzi si sono impegnati a realizzare dolci della tradizione siciliana simbolo dei numerosi apporti culturali confluiti nell’isola nel corso dei secoli. Ripercorrendo la storia di alcune ricette locali e di come queste si siano formate o trasformate a seguito di eventi esterni come guerre, rivoluzioni e migrazioni, sono state individuate ricette, storie e forme di biscotti. Ogni partecipante ha scelto le sue così da poter comporre e lasciar poi traccia del proprio percorso. Dalla domanda iniziale (chi sono?) si svela poi nella traccia la risposta dell’oracolo (dove sto andando?). Ogni carta testimonia quindi anche l’atteggiamento dell’individuo rispetto alla vita.

Anche l’artista franco-camerunese Beya Gille Gacha ha presentato un progetto di arte partecipata in collaborazione con gli abitanti della piazza in cui ha preso i calchi delle mani di tre persone che diventeranno parte della sua serie di sculture Stolen Hands. Nel lavoro di Gacha il corpo e le sue componenti sono sempre rivelatori di tracce invisibili di vita, di gioia, ma anche di sofferenza. Il corpo porta i segni della nostra memoria intima, ma anche di quella storica collettiva e mantiene impressi i segni di ciò che gli altri hanno lasciato in noi. La mano ricorda all’artista le atrocità commesse in Congo in epoca coloniale sotto il re Leopoldo II quando era uso amputare le mani degli schiavi per punizione, ma è anche la parte del corpo attraverso cui avviene il primo contatto tra due persone ed è quella che si tende in segno di accordo e riconciliazione.

Anche il lavoro di Stefano Cagol, parla di questa traccia che il passaggio dell’uomo e delle sue interazioni con gli altri e con i luoghi lascia dietro di se. The Body of Energy è un progetto in più tappe in cui l’artista ha filmato con una telecamera ad infrarossi le tracce di calore rilasciate da una serie di persone. Il risultato di questa documentazione è stato proiettato nella serata di sabato su uno dei palazzi di piazza Magione. Mentre all’interno dello spazio Kaoz, insieme al video Looking for Donkey (2009) di Nanna Debois Buhl, artista danese che si interessa da anni agli effetti sulla fauna e la flora di fenomeni come migrazione e colonialismo, il collettivo giapponese Chim Pom ha presentato una video installazione con la documentazione prodotta dall’intervento Black of Death (2013) in cui hanno assemblato, tramite un apposito dispositivo audio di richiamo, un numero impressionante di corvi sul cielo di Tokyo e all’interno della no-enter zone di Fukushima.

Tra i progetti speciali oltre al già citato Migrating Resources di Belfat e Aidoo, un’investigazione sulle comunità di migranti nella città di Palermo, il duo Hesselholdt & Mejlvang ha realizzato The Invisible Territory, un intervento invisibile nella cucina di un ristorante nei pressi della piazza Magione. Allo spegnersi delle luci le pareti bianche si rivelano coperte di scritte fluorescenti, una raccolta inquietante di commenti e frasi di haters che le due artiste hanno raccolto sui social networks. L’installazione di Nasr-eddine Bennacer Journeys Into the Future Through the Sea of the Past curata da Sumesh Sharma e realizzata con tende da campeggio come quelle in cui si trovano oggi a dormire centinaia di rifugiati e richiedenti asilo in Francia ha trovato spazio sulla facciata esterna di Kaoz. L’ultimo special projects, Radyo Vagabondo degli americani Richard Fleming e Jake Nussbaum invitati da Valentina Gioia Levy a creare una stazione radio sulla piazza Magione. Oltre a seguire il programma di Art & Connectography, i due artisti hanno condotto un’indagine sul linguaggio gestuale intervistando artisti e pubblico sui gesti che utilizzano abitualmente per comunicare.

La serie delle conversazioni è stata invece inaugurata sabato mattina dalla curatrice Nadine Bilong che ha invitato l’artista Omraam Tatcheda. Entrambi di origine camerunese e basati rispettivamente a Parigi e a Bologna, hanno affrontano il tema della necessità per i popoli africani di riconnettersi con il proprio passato e la propria storia così da poter affrontare le sfide che il futuro riserva al continente. Nel pomeriggio e poi ancora il giorno successivo, l’intenso programma di talk ha visto Rikke Jorgensen conversare con le artiste Nanna Debois Buhl, Jeannette Ehlers e il nigeriano Jelili Atiku che nello spiegare la sua pratica performativa e i legami che essa stabilisce con la cultura tradizionale Yoruba, definiva l’umanità come un corpo migrante.

Valentina Gioia Levy ha invece invitato Alnoor Mitha, fondatore e direttore dell’Asian Triennial di Manchester con il quale si è parlato di vari argomenti connessi alla mobilità degli artisti asiatici e anche di Brexit, Awam Ampka, curatore e docente alla New York Univerisity, che insieme a Nadine Bilong, Beya Gilles Gatcha, Romina De Novellis, è stato chiamato invece a parlare dell’immaginario legato al corpo all’epoca della globalizzazione, alle sue costrizioni e ai suoi limiti. Infine Hou Hanru, direttore del MAXXI è stato invitato in una conversazione a proposito delle sfide che l’iper-connettività contemporanea lancia ad un’istituzione come quella di cui lui si occupa e ha tenuto a ribadire l’interesse del museo per l’area del Mediterraneo, anche ricordando le due recenti mostre dedicate ad Istambul e a Beirut. L’impegno del MAXXI che sotto la sua guida ha ospitato diverse collettive che esploravano le scene artistiche di diverse località del mondo collima con l’interesse che il direttore ha dimostrato negli anni per questi temi. “La globalizzazione è qualcosa che vuoi quando non hai e che non vuoi più quando ce l’hai. Ma non è una fantasia è qualcosa di reale che crea vere problematiche a cui bisogna inevitabilmente trovare soluzioni concrete”.


Arts & Globalization a Palermo con Art & Connectography
Evento collaterale di Manifesta, 16 – 17.06 – 1.07.2018
 a cura di Rikke Jørgensen & Valentina Gioia Levy

immagini: (cover 1) Hesselholdt & Mejlvang, «The Invisible Territory», 2018. Installazione site-specific. Courtesy dell’Artista (2) Gery De Smet, «The Identical Look-Like», 2018.  installazione esterna. Courtesy dell’Artista (3) H.H.Lim, «The Mental Trip», 2018. installazione esterna. Courtesy dell’Artista e di Zoo Zone Art (4) Manohar Chiluveru, «Race and Balance», 2017-2018. Performance partecipativa. Courtesy dell’Artista (5) Valentina Gioia Levy in conversazione con Awam Amkpa, Romina De Novellis, Beya Gille Gacha, Nadine Bilong. Talks series. Courtesy of Arts & Globalization Platform (6) Stefano Cagol, «The Body of Energy», 2015-2018. progetto ambientale da esterno. installazione esterna. Courtesy dell’Artista (7) Rikke Jorgensen in conversazione con Jelili Atiku. Talks series. Courtesy of Arts & Globalization Platform
  (8) Romina De Novellis, «Il Gioco della Campana», 2018. Performance e installazione temporanea esterna. Courtesy dell’Artista e di Galleria Alberta Pane.

Tags: arsarshakeArt and GlobalizationArts and ConnectographyglobalizationManifestapoliticsValentina Gioia Levy
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