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Home News News dal Passato

Darko Fritz. Histories of the Post Digital

Darko Fritz by Darko Fritz
05/05/2018
in News dal Passato
Darko Fritz. Histories of the Post Digital

Il confine tra dimensione digitale e dimensione non-digitale della realtà contemporanea, riflesso nelle arti e nelle scienze umanistiche, è sempre meno distinguibile. La maggior parte delle opere d’arte digitali degli anni Sessanta e Settanta ha, in realtà, un carattere ibrido impiegando tanto le tecnologie digitali quanto quelle analogiche. Questa tendenza si è sviluppata all’interno di un’arte in formato digitale che ha dominato all’inizio del nuovo millennio, per tornare poi a far tentennare l’intero cerchio storico — ma che oggi è creata all’interno di una realtà post-digitale.

La distinzione storica tra digitale e non digitale è diventata sempre meno netta. Suggeriamo di esaminare più da vicino esempi specifici di arte digitale dei primi tempi, negli anni Sessanta e Settanta e i relativi networks internazionali del tempo, sia il movimento [New] Tendencies che E.A.T. (Experiments in Arts and Technology).

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Nel 1961, la Galleria d’Arte Contemporanea di Zagabria (oggi diventata Museo di Arte Contemporanea) ha inaugurato la mostra internazionale New Tendencies. Negli anni questo evento è cresciuto diventando un movimento internazionale basato su una rete di artisti, proprietari di gallerie, critici d’arte, storici dell’arte e teorici, che hanno infranto le barriere imposte dalla Guerra Fredda esponendo le opere di autori provenienti da  entrambi i lati, i proverbiali Est e Ovest. La mostra ha presentato arte basata su set di istruzioni: algoritmica e generativa. Seguendo la razionalizzazione della produzione artistica e la concezione dell’arte come ricerca, teorizzata da Matko Meštrović, Giulio Carlo Argan, Frank Popper, e Umberto Eco, per citarne solo alcuni, New Tendencies era aperta a nuove fusioni tra arte e scienza. Luce e movimento erano i nuovi materiali, dando forma a stili artistici come l’arte lumino-cinetica. L’aspetto partecipativo delle opere venne considerato un esame della prassi della politica democratica, e la ricerca visiva vista come un modo per apprenderla. Quando, a metà degli anni Sessanta, tali tendenze fecero breccia nell’arte contemporanea mainstream, vincendo premi alla Biennale di Venezia e raggiungendo importanti istituzioni artistiche come il Museo MoMA di New York (da quando fu lanciato il termine Op Art e le cose iniziarono ad essere commercializzate), i fondatori di New Tendencies iniziarono a «raggiungere nuovi salti nell’ignoto» (Putar, 1969). Sono stati organizzati una serie di convegni e mostre sotto il titolo programmatico «Computers and Visual Research».

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Avendo coltivato sin dall’inizio un atteggiamento positivo verso le macchine, New Tendencies ha adottato la tecnologia informatica attraverso l’estetica dell’informazione di Abraham Moles, un orientamento al quale gli organizzatori hanno aderito come progressione logica di New Tendencies. Il nuovo interesse verso la cibernetica e l’estetica dell’informazione aveva dato vita a una serie di mostre e convegni internazionali sul tema computers and visual research, che si sono poi tenuti con il titolo tendencies 4 (t4, 1968-1969) and tendencies 5 (t5, 1973), a seguire la rimozione del prefisso ‘new’ dal nome del movimento, a partire dal 1968. L’affermazione dell’artista brasiliano e partecipante attivo di NT, Waldemar Cordeiro, secondo cui la computer art ha sostituito l’arte costruttivista, può essere rintracciata nelle storie del network di [New] Tendencies, sia«analogico» che «digitale». Gli anni dal 1968 al 1973 hanno rappresentato l’epoca d’oro dell’arte digitale, non solo a Zagabria ma in tutto il mondo; si è iniziato a distinguere la computer art da altre forme di media art e di arte elettronica. Come è sempre avvenuto nel campo della media art, un discorso tecnologicamente deterministico e tecno-utopistico coesisteva accanto ad un altro dalla sensibilità più critica, legata ad una distopia tecnologica.

L’ambizioso programma Tendencies 4 venne lanciato a Zagabria nell’estate del 1968, contemporaneamente a un altro evento storico: la mostra Cybernetic Serendipity tenutasi a Londra. Diversamente da qualsiasi altra mostra, i criteri formali applicati nella selezione di opere «digitali» per la mostra di Zagabria furono molto rigorosi; venivano richiesti diagrammi e programmi informatici delle opere digitali. I lavori del pioniere Herbert Franke, realizzati attraverso tecnologie informatiche analogiche, non furono inclusi ma furono presentati in una mostra del 1969 intitolata nt4 – recent examples of visual research, in cui vennero esibite le opere analogiche dei precedenti stili relativi al movimento New Tendencies. Tra il 1968 e il 1973, hanno presentato le loro opere oltre 100 professionisti dell’arte digitale appartenenti a [New] Tendencies. L’ultima mostra, tendencies 5, era stata suddivisa in tre percorsi: constructive visual research, computer visual research e conceptual art. Questa combinazione contribuì a fare di [New] Tendencies un esempio unico nella storia dell’arte per aver collegato e presentato queste tre forme e strutture artistiche – Concrete, Computer e Conceptual — sotto lo stesso tetto.

In relazione ai programmi tendencies 4 e tendencies 5, dal 1968 al 1972 vennero pubblicati nove numeri della rivista bilingue bit international. L’obiettivo dell’editore era “presentare la teoria dell’informazione, l’estetica esatta, il design, i mass media, la comunicazione visiva, e altri argomenti collegati, ed essere uno strumento di cooperazione internazionale in un campo che sta diventando ogni giorno sempre meno categorizzabile in settori rigidi” (Bašičević e Picelj 1968).

Il fascino esercitato dalla computer art è gradualmente svanito dal mondo dell’arte durante gli anni Settanta. L’info-grafica degli anni Settanta ha esplorato le possibilità delle immagini figurative e – con la creazione di animazioni computerizzate e di effetti speciali per l’industria cinematografica mainstream — ha fatto il suo ingresso nel mondo commerciale così come nel settore militare, potenziando le tecniche di realtà virtuale che simulavano la “vita reale”. Nel più ampio contesto di un predominio crescente dell’arte concettuale e non oggettiva basata sulle idee post-Duchampiane di arte e rappresentazione, intorno agli anni Settanta, questo sviluppo ha portato alla quasi totale esclusione dell’arte digitale dalla scena artistica contemporanea. Tale processo fu ulteriormente alimentato dal crescente sentimento anti-tecnologico diffuso tra la nuova generazione di artisti, risultato dall’impiego discusso della scienza e della tecnologia da parte del complesso militare-accademico e industriale, nel contesto della Guerra in Vietnam e altrove. È un peccato che l’installazione digitale che stampa incessantemente lo slogan anti-Vietnam, Nixon Murderer di Remko Scha, concepita e scritta con il programma ALGOL nel 1969, non sia stata realizzata fino al momento di questa mostra*. Potrebbe aver influenzato e ispirato politicamente l’arte digitale impegnata, in un momento in cui era praticata solo da un numero molto ristretto di artisti. A metà degli anni Settanta, i più illustri protagonisti dell’arte digitale, tra cui Frieder Nake, Gustav Metzger e Jack Burnham, hanno dirottato il loro discorso su arte, scienza e tecnologia, criticando apertamente gli sviluppi dell’arte digitale. A Zagabria il movimento [New] Tendencies arretrò: tendencies 6 avviò cinque anni di preparativi da parte del gruppo di lavoro che non riuscì a raggiungere un consenso su come contestualizzare e supportare «computer e ricerca visiva». Il gruppo, alla fine, nel 1978 concordò di organizzare solo una conferenza internazionale, tendencies 6 – Art and Society, dove ancora una volta pochi artisti si incontrarono con i professionisti dell’arte concettuale che, a questo punto, rappresentavano la maggioranza.

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Durante gli anni Settanta solo pochi rappresentanti dell’arte digitale riuscirono a far convergere la nuova critica sociopolitica con l’arte digitale. Uno dei rari esempi è Mobilodrom, un progetto del 1979 ideato da Michael Fahres. In quest’opera, una macchina elettrica percorre la città e raccoglie informazioni sull’ambiente circostante, come temperature, pressione dell’aria, volume e livello dei suoni dell’ambiente, movimento a altro. Questi dati sono stati tradotti in suoni in tempo reale attraverso un computer, e il suono finale è stato reso da un sintetizzatore analogico e un sistema di altoparlanti. Potremmo vedere tale macchina mobile urbana, che rappresenta un ibrido tra analogico e digitale, mentre elabora contenuti interattivi in tempo reale e socialmente impegnati, utilizzando gli stessi tipi di dati di input e output sia nei festival che nelle mostre di media art e di arte contemporanea, tenuti in tutto il mondo in questo preciso momento contemporaneo post-digitale degli anni ’10 del XXI secolo. Fortunatamente nell’arte ci sono sempre incognite sconosciute.

 * La mostra a cui si riferisce è quella introdotta dal presente saggio, Histories of the Post Digital  1960 and 1970s Media Art Snapshots, Akbank Sanat (Istanbul), 17.12. 2014 – 02.21.2015


Questo scritto di Darko Fritz è il saggio introduttivo della mostra Histories of the Post Digital  1960 and 1970s Media Art Snapshots,organizzata ad Istanbul bel 2014-2015. Il testo è state tradotto dall’inglese in italiano e qui riprodotto con gentile permesso dell’autore. Fonte: Histories of the Post Digital  1960 and 1970s Media Art Snapshots, cat. di mostra, a cura di Ekmel Ertan e Darko Fritz  presso Akbank Sanat (Istanbul), 17.12. 2014 – 02.21.2015, pp. 10-11. Cliccate qui per scaricare il catalogo completo (inglese turco)
La mostra è stata recensita su Arshake il 25 gennaio 2015 da Antonello Tolve

Immagini (tutte): «Histories of the Post-Digital:1960s and 1970s Media Art Snapshots», AKBANK SANAT, exhibition view

Tags: archeologyarsarshakecatalogueDarko FritzexhibitionhistoryIstanbulmedia archeologypost-digital
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