Don’t Follow the Wind: una negazione per una mostra invisibile, arginata nell’area di Fukushima e resa inaccessibile, per ovvie ragioni. L’unico modo di fruirla è un sito web, che più che chiarire le idee, getta curiosità e apre interrogativi e spiragli di immaginazione.
Quel vento era quello dell’11 marzo 2011, che spirava in direzione dell’area radioattiva. E così a 4 anni di distanza, l’11 marzo 2015, i curatori Kenji Kubota, Eva and Franco Mattes e Jason Waite decidono di lanciare un’esposizione, che fa ricorrere la memoria e tanto riflettere nella sua zona d’ombra.
Dodici gli artisti internazionali chiamati ad interagire con quattro edifici di Fukushima – una casa, una fattoria, un centro ricreativo e un magazzino – e ciò che essi conservano e attivano. Tutto ciò che possiamo sapere è filtrato da qualche informazione mediatica diffusa tramite alcuni articoli, piuttosto scarsi al momento e ognuno con una visione diversa e anche punitiva nei confronti delle scelte artistiche. Il progetto curatoriale sarà visitabile solo una volta che la carica radioattiva sarà svanita.
Il progetto curatoriale sarà visitabile solo una volta che la carica radioattiva sarà svanita. Non si può sapere se 5, 1, 30 anni o forse mai. Le solo informazioni che abbiamo sono filtrate. Ai Weiwei ha installato un pannello solare e attivato un sistema che illumini una casa due volte al giorno, in memoria della vita che lì fu presente e che ci si augura si verifichi di nuovo: A Ray of Hope. L’artista Kota Takeuchi, un ex operaio nella zona nucleare di Fukushima, si è fotografato in uno dei 4 siti espositivi, indossando i vestiti lasciati da un residente durante l’evacuazione. Immedesimazione e cordoglio. Su tutti spicca il Trinity Cube di Trevor Paglen, dove sono stati collisi il vetro delle finestre rotte di Fukushima ad un un pezzo di trinitite, una roccia vitrea formata nel 1945 durante il primo test della bomba atomica nel deserto del New Mexico contenente frammenti della bomba e radionuclidi uniti alla sabbia del deserto.
Al di là della pratica artistica e delle opere in sé (che non potendo vedere, mi riservo di commentare), interessante perché urgente è la capacità di generare una riflessione sui disastri dell’ecosistema e insieme di stimolare processi di immaginazione tanto cari all’arte e alla letteratura. Non considererei il disastro nucleare di Fukushima come un caso isolato: esso infatti è il ritratto epigonale di una serie di sfollamenti e migrazioni climatiche forzate (24.000 i residenti ancora sfollati) prodotte da un «nuovo colonialismo» di terre e oceani. E’ una puntata della partita con l’ambiente che le multinazionali stanno giocando e benché scienza e nazioni si dividano sulla nocività del nucleare, in nome di un presunto vantaggio per la riduzione del surriscaldamento globale, è inevitabile che un minimo equivoco equivalga ad una strage. Don’t Follow the Wind è un monumento invisibile e inaccessibile al diritto della Terra di essere rispettata: è il tema del limite, del confine fra azione dell’uomo e suo indietreggiamento. E’ quella segnaletica «off limits» che dovremmo immaginare dove non la vediamo apparire, ma sentiamo essere necessario.
Calvino intitolò le sue Lezioni Americane Sei proposte per il prossimo millennio. Ora che quel millennio è arrivato, è forse il caso di rileggere la nostra storia attraverso alcune categorie di pensiero calviniane.
Sosteneva tra l’altro che «le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, di una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti». E’ un passo di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, con cui Calvino comincia la lezione sulla Molteplicità per dirci la complessità stilistica del mondo, in cui ogni sistema singolo condiziona gli altri e ne è condizionato. E di questo groviglio è figlia la strage del 2011, volutamente silenziata dai curatori di DFTW per evocare così un’altra celebre categoria calviniana, quella dell’immaginazione come strumento di conoscenza e/o identificazione dell’anima del mondo. Nel non offrirci immagini Don’t Follow the Wind tenta di salvare l’abilità umana di «evocare immagini in assenza», di «mettere a fuoco immagini ad occhi chiusi», in una civiltà inondata da immagini prefabbricate, in cui l’esperienza diretta si confonde con quella mediatica, e in cui la sorveglianza massiva spinge ad invocare l’invisibilità. Sottrarre la figura significa risvegliare l’immaginazione, e rieducarsi «a controllare la propria visione interiore senza soggiogarla e senza d’altra parte lasciarla cadere in un confuso labile fantasticare, permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita e memorabile, autosufficiente, icastica» – sosteneva Calvino auspicando ad una pedagogia all’immaginazione.
Di fronte a tante esposizioni che articolano la poetica dell’invisibile e dell’effimero iconograficamente, DFTW è un esempio radicale e coerente di silenzio, lo stesso generato dallo scoppio dei reattori. Samuel Beckett ottenne risultati straordinari riducendo al minimo elementi visuali e linguaggi, come in un mondo dopo la fine del mondo.
Don’t Follow the Wind, a cura di: Kenji Kubota, Eva and Franco Mattes, Chim↑Pom and Jason Waite.Artisti: Ai Weiwei, Miyanaga Aiko, Chim↑Pom, Grand Guignol Mirai, Nikolaus Hirsch and Jorge Otero-Pailos, Kota Takeuchi, Eva and Franco Mattes, Meiro Koizumi, Nobuaki Takekawa, Ahmet Öğüt, Trevor Paglen and Taryn Simon/ Don’t Follow the Wind è parte della Biennale di Sidney 2016, ora in corso (fino al 5 giugno 2016).
Don’t Follow the Wind
immagini (cover 1) Eva & Franco Mattes, Don’t Follow the Wind. installation at the Biennale of Sydney, 2016 / The headsets were hand-made by three generations of same Fukushima family. The furniture was reclaimed from the Fukushima Exclusion Zone, after being decontaminated (2) Ai Weiwei, A Ray of Hope, 2015, solar panel, LED lights, dimensions variable, Dimension variable, Fukushima exclusion zone, Japan, Photo by Kenji Morita. Courtesy of the artist and Don’t Follow the Wind, 2015 (3) Eva and Franco Mattes, Fukushima Texture Pack, 2015, Plexiglass, stainless steel, Dimension variable, Installation, Fukushima exclusion zone, Japan, Courtesy of the artists and Don’t Follow the Wind, 2015 (4) Nikolaus Hirsch and Jorge Otero Pailos, Ongoing preservation documentation for “Becoming Monument”, Courtesy of the artists and Don’t Follow the Wind, 2015 (5) Trevor Paglen, Trinity Cube, 2015, Irradiated glass from the Fukushima Exclusion Zone, Trinitite, 20 x 20 x 20 cm, Courtesy of the artist and Don’t Follow the Wind