Francesco Lo Savio (1935 – 1963) e la sua ricerca sperimentale spazio –luminosa (documentata dallo stesso autore nel 1963 con la pubblicazione Spazio-luce) sono presentati nella mostra « Francesco Lo Savio – Filtri, Ferri, Progetti» presso lo spazio di BIBO’s Place a Todi e rivivono nella mostra parallela «In che senso Italiano? (ancora!)» con opere di autori contemporanei chiamati a confrontarsi con questo artista visionario, attivo sulla scena romana degli anni Cinquanta e scomparso prematuramente all’età di 28 anni. A proporre questo confronto sono Andrea Bizzarro e Matteo Boetti iniziatori dello spazio costituito nel 2013 per funzionare come ponte tra presente e passato. Il titolo della mostra, «In che senso Italiano? (ancora!)», richiama ad un progetto che Matteo Boetti aveva realizzato nella galleria Anna D’Ascanio nel biennio dal 1995 al 1997 «come progetto di indagine su un comun denominatore di italianità, un comune sentire di appartenenza alla gloriosa storia dell’arte nazionale» (Matteo Boetti).
Percezione, esperienza, ricerca della multidimensionalità attraverso la luce, oggi così importanti nelle moderne esperienze multimediali, in Lo Savio erano già centrali negli anni Cinquanta. Questo fa di lui un precursore delle moderne ricerche spaziali, proseguendo la lezione di Piet Mondrian e del Bauhaus, alimentato dall’interesse per la tecnica, per i materiali, per la risposta dello spazio alla luce, per la sua materializzazione nella percezione di chi lo vive. Vibrazione cromatica, relazione tra superficie e ambiente incidenza di più superfici sono al centro della sua serie di opere: Spazi-luce, Metalli, Filtri e Articolazioni totali.
Il lavoro di Lo Savio, in mostra rappresentato dalle opere Visione Prospettica leggermente afrontale di progettazione per un metallo monocromatico (1960), Copia per processo luminoso di filtro monocromatico bianco (1961) e la litografia Spazioluce (1960) ha guidato così l’ispirazione e dato energia ai giovani artisti, selezionati tra le figure più sperimentali del nostro contemporaneo: Silvia Giambrone, Chiara Mu, Matteo Nasini, Leonardo Petrucci, Luana Perilli, Alessandro Pingiamore Mariagrazia Pontorno, tutti chiamati a produrre o presentare lavori che prendessero forma da un aspetto losaviano. Le sculture biomorfe soffiate nel vetro unite a differenti profumi taroccati di Alessandro Pingiamore aprono il sipario sul negativo dell’immagine così come la vibrazione e la luminosità dei suoi quadri realizzati con cera liquida accendono i riflettori sull’aspetto di casualità.
Le forme organiche in ceramica dei Solitary Shelters di Luana Perilli, indirizzate a rifugio per insetti, si fanno ponte tra spazio e funzione sociale, proseguimento di un interesse rivolto al parallelo tra organizzazione sociale degli insetti e quella dell’uomo.
Mariagrazia Pontorno costruisce un’immagine stratificata che sovrappone ad immagini di distruzioni storiche, quelle di ombre e paure attuali. Matteo Nasini, così attento ai processi di traduzione del suono naturale (come la sua musica del vento) congela il gesto di lanciare matasse di fili colorati nel vuoto, fissando così un momento esperienziale in cui l’elemento di casualità è centrale.
Forma e contenuto coincidono nelle sottrazioni pittoriche di Leonardo Petrucci, da sempre interessato al rapporto tra arte, alchimia, fisica e astronomia, dove rimangono solo fori e l’assenza di spazio instrada verso un’altra dimensione mentre Lorenzo Scotto di Luzio ritrova Lo Savio nella cinetica che fa muovere Ferri e Filtri.
L’esperienza, così centrale nella ricerca di Lo Savio, è l’oggetto creativo di Chiara Mu, artista time-based da sempre interessata ad una dimensione energetica che abolisce l’oggetto, lo materializza – piuttosto – nelle maglie di una conoscenza emotiva da esprimersi attraverso un rapporto intimo tra l’artista e il visitatore. Una lettura di documenti (su Lo Savio, o di Lo Savio) da ascoltare attraverso le cuffie precede ad uno scambio più intimo con l’artista qualora l’ascoltatore sia stato emotivamente catturato.
Così l’esperienza, questa volta legata ad un passaggio emotivo della sua conoscenza, diventa materia losaviana, quella che lui ritrovava nella percezione dello spazio. «Even when you, the Spectator, shall walk all around the world I have created – even when you inarticulate Spectators, tables and chairs and other works of art, shall trasmit your vibration – my plastic dramas, my dramas of Birth and Creation, of Light and Space, shall unfold in a spatial silence of my fabrication. For I have enclosed them in a womb; a shelter; a womb and a shelter of crushed stone and cement. (dal testo dello scrittore William Demby con cui presenta la mostra di Francesco Lo Savio alla Galleria La Salita a Roma nel 1962).
Nello spazio cinquecentesco della galleria Bibo’s l’esperienza losaviana trova continuazione nelle moderne esperienze degli artisti invitati, ma si concretizza anche nella serie di documenti, lettere (tra cui anche una di Gastone Novelli a Tano Festa) e cataloghi in cui rivive la vita dell’artista.
immagini (cover 1-2) Francesco Lo Savio, Filtro depotenziamento cromatico e dinamica d’assorbimento, 1960, collage di carta trasparente su cartoncino, cm. 46,5×58,5 (3) Francesco Lo Savio -view (4) Luana Perilli, Konvolut #1, 2014, marmo di Carrara, ceramica invetriata, plinto in legno, cm 35 x 35 x 127, foto di Giorgio Benni (5) Mariagrazia Pontorno, Layer#5, 2015, elaborazione digitale, courtesy l’artista (6) Leonardo Petrucci , GGG, 2015, grafite su tavola, trittico, 41.5×41.5 cm ciascuno (7) Chiara Mu, Apparato di Cattura, 2015, dettaglio (8) Alessandro Piangiamore, Senza titolo (daily con fiori), 2015, calco in gesso di petali di fiori, cera, pigmento, ferro, cm 50x64x3