L’attività manipolativa che disegna gli orizzonti estetici del primo Novecento si riversa così nella seconda metà del secolo coinvolgendo l’arte, con sempre maggiore insistenza, ad attivare una prassi ergodica la cui pluridirezionalità è determinata da fattori inerenti il polo delle ricerche e conquiste elettroniche e da fattori inerenti il polo espanso del multiculturalismo, del postcolonialismo, del decentramento e della globalizzazione[1]. Ad avvalorare questa atmosfera, la corrosione del tempo e dello spazio consegna all’ambiente dell’arte una serie di orizzonti creativi che si cimentano a esperimentare le diverse flessioni del software e dell’hardware, con la consapevolezza che l’indirizzo strumentuale inclini il suo intervento nel paese della manipolazione dei dati.
Anche se paradossalmente isolato, il Manifesto del movimento spaziale per la televisione (1952) pubblicato da Lucio Fontana, rappresenta, di questo panorama che strizza l’occhio alle ricerche del Futurismo, il primo esempio di un’attenzione al paesaggio televisivo, considerato dall’artista come nuova tecnica artistica, come una vera e propria espansione di possibilità creative. «Noi spaziali», si legge nel manifesto, «trasmettiamo, per la prima volta nel mondo, attraverso la televisione, le nostre nuove forme d’arte, basate sui concetti dello spazio […]. Noi spaziali ci sentiamo gli artisti di oggi, poiché le conquiste della tecnica sono ormai a servizio dell’arte che professiamo […] per noi la televisione è il mezzo che aspettavamo per dare completezza ai nostri concetti»[2].
È soltanto tra la seconda metà degli anni Cinquanta e tutto l’arco del decennio successivo, con i primi Tv Dé-coll/age (1958) di Wolf Vostell, con l’atmosfera internazionale delle Tendencije nate a Zagreb nel 1961[3], con la mostra Exposition of Music-Electronic Television (1963) di Nam June Paik che compone tra l’altro nel ’65 Café Gogo (il primo video d’artista realizzato con una telecamera portatile), con l’esposizione delle grafiche digitali (Computer-generated pictures) realizzata alla Howard Wise Gallery di New York nel 1965 e quella dell’arte generata con il computer (Generative Computergrafik) organizzata al Technische Hochschule di Stuttgart due mesi prima[4] – senza dimenticare i vari esperimenti di computer graphic messi in campo da scienziartisti del calibro di Mike Noll[5], Leslie Mezei, Charles Csuri, Gyorgy Kepes, Leon Harmon e Kenneth C. Knowlton, Ruth Leavitt (padre di Artist and Computer, 1976) e tutta una serie di importanti eventi o progetti firmati da Robert Cahen, Ed Emschwiller, Gary Hill, Bruce Naumann, Jeffrey Shaw, Lillian Schwartz, Woody e Stena Vasulka, Bill Viola e tanti altri – che si assiste ad una impollinazione multipla e sfuggente che non solo crea opere ibride, ma rende anche sempre più profondo (a volte si tratta di una vera e propria tripolarità normativa) il rapporto tra arte, tecnologia e percezione. Promotore di questa alleanza è Robert Rauschenberg che, sin dal 1963, avvia un sodalizio fruttuoso con Billy Kluver, fisico nella ricerca laser alla Bell Labs che aveva assistito Jean Tinguely nella realizzazione di Homage to New York (1960). Per promuovere il gemellaggio artista-ingegnere e per affermare il potenziale collaborativo[6], Rauschenberg e Kluver coproducono nel 1966, per gli spazi del Regiment Armory di New York, 9 Evenings: Theatre and Enginerring, un progetto polifonico che, grazie a quaranta ingegneri e dieci artisti, presenta per nove sere un ambizioso progetto interdisciplinare – amplificato e consolidato nel 1967 (proprio mentre Gyorgy Kepes avvia un’esperienza simile, ovvero il Center for Advanced Visual Studies al MIT) con la fondazione della E.A.T. (Experiments in Art and Technology), una organizzazione interdisciplinare alla quale prendono parte non solo importanti artisti come Hans Haacke, John Chamberlain e Robert Whitman, ma anche scienziati di prestigiose istituzioni (AT&T ed IBM, ne sono alcune), pronti a difendere le varie trame che risiedono alla base di un proficuo rapporto che intercorre tra le varie forme di creatività umana.
Erede di queste importanti e irrinunciabili esperienze che rappresentano il fanale luminoso di una archeologia dell’elettronica e dell’arte interattiva[7], l’artista si fa portavoce, oggi, di un fare diffuso, di una democratizzazione che bypassa la conflittualità per favorire un programma integrativo e pluridirezionale che assolve alla volontà di esercitare pressioni estetiche sui nuovi dispositivi messi a disposizione, di «sorprendere con astuzia l’astuzia del programma» e di costringere il nuovo apparato «a fare qualcosa per cui non era stato costruito»[8].
… potete visitare qui Il divenire del New Media # 1
[1] Su tali questioni di notevole importanza è il saggio di P. Weibel, Globalization and Contemporary Art, in H. Belting, A. Buddensieg, P. Weibel, The Global Contemporary and the Rise of New Art Worlds, published by ZHM | Center for Art and Media Karlsruhe (Germany), The MIT Press, Cambridge (MA) – London 2013, pp. 20-27.
[2] Manifesto del movimento spaziale per la televisione (17 maggio 1952), con sede presso la Galleria del Naviglio di Milano, firmato da Ambrosiani, Burri, Crippa, Deluigi, De Toffoli, Dova, Donati, Fontana, Giancarozzi, Guidi, Joppolo, La Regina, Milena, Milani, Morucchio, Peverelli, Tancredi, Vinello.
[3] Si veda almeno il recente E. Ertan, D. Fritz, a cura di, Dijital Sonrası Tarihçeler. 1960′lav ve 1970′lerin Medya Sanatından Kesitler / Histories of the Post-Digital. 1960S and 1970s Media Art Snapshots, cat. della mostra tenuta a İstanbul negli spazi dell’Akbank Sanat, dal 17 dicembre 2014 al 21 febbraio 2015, Akbank Sanat, Beyoğlu | İstanbul 2014. Di notevole importanza è anche l’amberplatform.org.
[4] Le mostre pionieristiche dell’ambiente sono, rispettivamente, Generative Computergrafik, Studien-Galerie des Studium Generale, Technische Hochschule Stuttgart, Feb 5-19, 1965, held by F. Nake and G. Nees (opened by M. Bense); Computer-generated pictures, Howard Wise Gallery, New York, Apr 6-24, 1965, held by A. M. Noll, B. Julesz, both of whom worked at Bell Labs («the announcement for the show was a small deck of colored IBM punch cards») e Computergrafik. Galerie Wendelin Niedlich, Stuttgart, Nov 5-26, 1965, held by F. Nake and G. Nee (opened by M. Bense).
[5] Per un’ampia panoramica sulla figura di Noll, sulle sue sperimentazioni, sulle sue pubblicazioni e sulle teorie della computer graphic si veda almeno la sua pagina web http://noll.uscannenberg.org/ e lo spazio del Database of Digital Art – Compart Center of Eccellence Digital Art (http://dada.compart-bremen.de/item/agent/16).
[6] Cfr. C. Goodman, Digital Visions. Computers and Art, Harry N. Abrams, New York 1987.
[7] Si rinvia almeno ai fondamentali E. G. Rossi, Archeonet. Viaggio nella storia della net/web art e suo ingresso negli spazi dei musei tradizionali, Lalli Editore, Poggibonsi 2003 e E. Huhtamo, J. Parikka, edited by, Media Archeology. Approaches, Applications, and Implications, University of California Press 2011.
[8] V. Flusser, Medienkultur, cit., p. 73.
(cover – 1) Jean Tinguely, Homage to New York, 1960, Museum of Modern Art, photo David Gahr (2) Manifesto Spaziale per la Televisione, 1952 (3) Michael Noll, Computer Composition with Lines, 1962 (4) Rauchenberg’s Notes