Arshake è lieta di pubblicare la prima di due parti del saggio di Valentina G. Levy di The Future is Now, recensione della mostra di new media art coreana, curata Yi Soojung, in corso al Museo MAXXI di Roma. La mostra è attraversata nei singoli lavori e attraverso l’analisi del più ampio contesto socio-politico della Corea, quello a cui attribuire l’interesse crescente verso la new media art. La mostra è suddivisa in quattro parti tematiche e cronologiche: 1) I Pionieri della New Media Art in Corea; 2) La combinazione di Arte e Tecnologia: l’epoca dello sviluppo e della sperimentazione; 3) Lo sviluppo di internet e della New Media Art e 4) La cultura creativa nell’era del digitale. Questa prima parte dell’articolo traccia una panoramica del quadro storico coreano e prosegue con l’analisi delle prime due sezioni della mostra.
«Il futuro è adesso» celebre frase dell’artista coreano Nam-June Paik (1932 – 2006) è il titolo della mostra in corso al MAXXI di Roma fino a marzo prossimo, ideata dal MMCA, Museo Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea (Gwacheon-si, Seoul). La collettiva, di cui fanno parte una ventina di artisti di diverse generazioni, presenta una panoramica della new-media art in Corea del sud, seguendone l’evoluzione dagli anni sessanta a oggi, attraverso un percorso cronologico e analitico diviso in quattro fasi.
Situata a metà tra due grandi culture, quella cinese e quella giapponese, la Corea è stata nei secoli un anello di congiunzione tra l’arcipelago nipponico e il continente asiatico. Negli ultimi 150 anni la storia della penisola coreana è stata segnata dall’intervento di forze esterne che ne hanno drammaticamente determinato il corso. Alla fine del XIX secolo, l’occupazione militare da parte del Giappone, già in guerra con la Cina, mette fine all’indipendenza del paese. La divisione in due stati indipendenti, così come la conosciamo oggi, è avvenuta ufficialmente nel 1948 quando il dittatore Kim-Il Sung, supportato dal governo sovietico, proclama a Pyongyang la nascita della Repubblica Popolare Democratica di Corea, dichiarando in questo modo la sua volontà di non riconoscersi nello stato con capitale Seoul, precedentemente creatosi al di sotto del 38° parallelo, grazie al sostegno statunitense. È in questo momento che nella penisola asiatica si produce una scissione politica, ma soprattutto ideologica. Mentre il nord, chiudendosi completamente verso il resto del mondo, rimaneva immobilizzato in un eterno presente, al punto che i suoi abitanti si trovano ancora oggi a vivere in una condizione surreale, in cui la vita individuale è scandita in base a ritmi collettivi imposti dal regime, nel sud la giovane Repubblica di Corea iniziava una rapidissima corsa all’innovazione e allo sviluppo.
La fascinazione nei confronti delle nuove tecnologie inizia a manifestarsi tra gli anni ’60 e ’70, nelle ricerche di alcuni artisti particolarmente attivi all’estero, che cominciano a utilizzare il mezzo televisivo come oggetto di studio e strumento di indagine. Nella prima sezione, la mostra presenta alcuni lavori di questi pionieri, oltre a Nam-June Paik, Hyun-Ki Park (1942 – 2000) e Duck-Jun Kwak (1937).
In particolare, tra le opere più interessanti in questa sezione vale la pena citare Magnet TV, una delle primissime sperimentazioni di Paik nella prima metà degli anni ’60. Presentata in occasione della prima personale dell’artista coreano negli Stati Uniti (1965), Magnet Tv è un’installazione costituita da un televisore i cui magneti e tubi catodici sono stati manipolati in modo da far apparire sullo schermo immagini astratte. I visitatori dell’epoca erano invitati a interagire con l’opera muovendo i tubi e contribuendo ad alterare le immagini creando pattern sempre diversi.
Nella stessa sezione sono presentati anche due lavori di Yunk-Ki Park, la cui ricerca si basava sull’associazione del mezzo televisivo a elementi naturali, come le pietre, l’acqua, il legno, nel tentativo di sperimentare possibili ricongiungimenti tra natura e artificio, dando vita, ad installazioni che si potrebbero quasi definire giardini techno-zen.
La seconda sezione della mostra, Arte e tecnologia: un’epoca di sfide e esperimenti, fa riferimento agli anni ’80 e ’90, un periodo di svolta nel modo di concepire e recepire la new-media art in Corea del sud. Si tratta di un ventennio cruciale nella storia contemporanea del paese. Dopo l’assassinio del Presidente Chung-Hee Park, particolarmente noto per la sua politica repressiva, il malcontento popolare non si placa e nel 1980 una rivolta studentesca a Gwanju si trasforma in un bagno di sangue. Nonostante l’instabilità politica nel 1982, il Ministero della scienza e della tecnologia lancia il Programma Nazionale per la Ricerca e lo Sviluppo che aveva come finalità la promozione e la crescita tecnologica del paese. Nel 1984 inoltre, in collaborazione con il network televisivo americano WNET TV (New York), il museo Centre Pompidou di Parigi e altri studi televisivi in Germania e in Corea del Sud, Nam-June Paik presenta il progetto Good Morning, Mr. Orwell, una storica performance televisiva a cui presero parte: Laurie Anderson, Peter Gabriel, Philipp Glass, John Cage, i poeti Allen Ginsberg e Peter Orlovsky, Merce Cunningham e l’artista Joseph Beuys. Il progetto coordinato da Paik raggiunse, attraverso la trasmissione satellitare, 25 milioni di utenti in tutto il mondo e l’impatto sui giovani artisti coreani dell’epoca fu enorme.
La mostra al MAXXI presenta alcuni lavori degli esponenti della cosiddetta Video Generation, artisti nati intorno agli anni’60 che influenzati dall’esempio di Paik, dalla cultura cinematografica americana e dai nuovi programmi televisivi, iniziano ad utilizzare video e nuove tecnologie come mezzo per esplorare e tentare di ri-definire i confini della propria identità.
Mirror, il lavoro di Yook Taejin (1961 – 2008) è una vecchia specchiera da toletta in cui l’artista ha inserito due piccoli schermi lcd dove si alternano due suoi video-ritratti, da bambino e da adulto. Mentre Self-Portrait di Seung-Young (1963) è un video monocanale in cui l’artista tenta di appendere un suo autoritratto a una parete, ma questo gli scivola continuamente via dalle mani, cadendo a terra con uno schianto.
Sul tema dell’identità si focalizza anche Thread Routes – Chapter 1 (2010) di KimSooja (1957). Riferendosi all’antica arte della tessitura, che nelle società tradizionali è strettamente connessa alla vita delle donne, l’artista esplora il rapporto tra la sacralità e l’estetica del quotidiano in una serie di paesi tra cui Perù, Cile e Belgio. Sung-Hoon Kong (1965), invece, con The Fall (1996) installazione creata assemblando 12 proiettori per dodici diapositive, mette in scena un suo incubo ricorrente fin dall’infanzia, un salto nel vuoto più nero che si protrae all’infinito. Dai lavori presentati in questa sezione si delinea una tendenza all’utilizzo dei new-media come strumento di documentazione ma anche come mezzo di auto-analisi. In un mondo che cambia rapidamente, senza lasciar il tempo di comprendere come l’identità individuale e sociale si stia ridefinendo, le nuove tecnologie sembravano essere il miglior strumento di rappresentazione dell’individuo moderno. (to be continued…)
«The Future is Now», a cura di Yi Soojung, Museo MAXXI, Roma, 19.12.2014 – 15.03.2015, Mostra organizzata da MMCA, Corea e co-prodotta con il Museo MAXXI
Immagini (cover) Park Hyesoo, Father’s Time, 2009, courtesy MMCA,Korea (1) The Future is Now, exhibition view, MAXXI Museum, Rome, photo by Musacchiolanniello, courtesy MMCA, Korea (2) Nam June Paik, HighwayHacker, photo by Musacchiolanniello, courtesy MMCA , Korea (3) Nam June Paik, Magnet TV, 1963, Park Hyesoo, Father’s Time, 2009, courtesy MMCA,Korea (4) Park Hyesoo, Father’s Time, 2009, courtesy MMCA,Korea (5) Park Hyunki, Untitled, 1991, courtesy MMCA,Korea (6) Kwal Duckjun, Portrait 78, 1978, courtesy MMCA,Korea (7) Yook Taejin, Mirror, 2002, courtesy MMCA,Korea (8) Kim Sooja, Thread Routes. Chapter 1, 2010, courtesy MMCA,Korea.