Cosa aspettarsi da un libro dal titolo Il libro delle Immagini? Immagini, naturalmente. L’immagine in questo libro del duo Bianco-Valente, in effetti, è regina, ma lasciata fuori dall’inquadratura nella forma che ci aspettiamo, quella visiva.
«Meme, selfie, gif, loghi, icone: in questo libro non troverete nulla di tutto ciò.» premette subito Brunella Velardi nella sua prefazione. «Solo immagini, immagini immaginate, immaginarie, immaginifiche. Immagini che ricordano altre immagini e producono nuove immagini». Ottantaquattro, sono le fotografie che i due artisti hanno destinato ad altrettanti autori, tra amici, artisti, curatori, filosofi, architetti, persone che fanno parte della loro rete relazionale, una costruzione di legami che cresce e si evolve in modi e modalità sempre diverse.
Da fotografie in bianco e nero, indicativamente tra anni ’40 e ’60, recuperate con attenta ricerca in mercati e librerie si è riconfigurato nel contenitore-libro, passando attraverso tutto ciò su cui queste immagini si sono posate nella vita di chi le ha accolte, curate, ascoltate e restituite in parole.
Recuperate e incorniciate tutte in uno stesso formato, 23 x 23 cm, le fotografie sono state, infatti, indirizzate ciascuna al proprio destinatario, invitato a posizionarla in uno spazio del quotidiano vivere, a conviverci.
Il libro è il coro di risposte degli autori alle immagini, restituite nelle modalità più varie: vere e proprie indagini sulla provenienza della fotografia, descrizioni asciutte perché l’immagine si possa ricomporre nel pensiero di chi legge, racconti che hanno proseguito o preceduto lo scatto e molto più, a volte immedesimandosi nelle persone ritratte. Alcuni le hanno osservate per lungo tempo, altri si sono sentiti osservati da loro.
Incredibile la diversità di risposte che ne è emersa. Ciascuno ha depositato, consciamente o inconsciamente, un qualche angolo del proprio sé e nell’insieme ha costruito una cartina relazionale di Bianco – Valente che nella parola ha costruito più di un progetto.
Man mano che si va avanti nella lettura, diventa quasi un gioco cercare di immaginare la fotografia, o anche di riconoscere chi scrive dallo stile del racconto. Riconoscere anche sé stessi. Quando non ci sono vincoli alla libertà di scrittura, così si sono posti i Bianco – Valente ai loro autori, allora si possono scoprire i vincoli che poniamo (o meno) noi a noi stessi; il tempo permette di riconoscerli nelle proprie stesse parole.
Le immagini che nascono dalla lettura del libro si riscoprono di sfumature morbide, quelle che neanche il più sofisticato dei software riuscirebbe a generare. Il potere immaginifico della parola le industrie lo hanno capito da tempo. Basta pensare alla cloud, quella parola simbolo riconosciuta da tutte le lingue del mondo occidentale per visualizzare i dati galleggiare in una ‘nuvola’; in realtà sono ancorati al terreno, lottano per la loro esistenza tenuti in vita dall’elettricità dalla quale dipendono le poche banche dati nel mondo dove sono depositati.
Il libro delle immagini sprigiona il potere della parola in tutta la sua umanità, quella degli artisti, quella degli autori, quella dei personaggi ritratti, quella della costellazione di relazioni reali e immaginarie che il libro costruisce. E ancora, quella dei lettori. Mai come ora abbiamo bisogno di immagini, lontane da quelle che ci martellano ad una distanza troppo ravvicinata per poter ragionare, tanto più per immaginare. Potremmo trovare nella capacità di immaginare e produrre noi immagini un primo possibile passo verso una libertà ora, come allora, tutta da riconquistare?
Bianco – Valente, Il lIbro delle Immagini, postmedia.books, 2020