L’indagine di Azzurra Immediato, parte di Game Over. Loading, prosegue discutendo sul ruolo della cultura in dialogo con l’imprenditore digitale e artista multidisciplinare, Anuar Arebi.
Azzurra Immediato: Quali sono i bisogni che, oggi, la società dovrebbe e vorrebbe veder espressi attraverso la cultura, dunque, anche mediante la creatività e le idee di ogni singolo?
Anuar Arebi: Credo che il ruolo della cultura, così come dell’arte in genere, non si debba discostare sia nella forma che nella sostanza, da quelli che sono i princìpi fondamentali di una società moderna, democratica e civile. Non trovo differenza – e non credo di esagerare – nel voler ritrovare nell’arte e nella cultura, la stessa importanza che trovo nella sanità pubblica, o dei trasporti e delle infrastrutture. Non è una questione di gare, sia chiaro. Quello di chiedersi quali siano i bisogni che dovrebbero essere espressi attraverso la cultura, è una domanda molto interessante e pone delle problematiche molto attuali.
Se ci fermiamo a riflettere, sorvolando su quello che tutti vorremmo che un impianto culturale solido e robusto dovrebbe portare alla società contemporanea, credo che quello di cui avremmo bisogno sia, in realtà, una visione collettiva e meno legata alle idee del singolo.
Credo che una buona formula, se mi è concessa la sintesi, possa essere «idee collettive e performance scelte». Per scelte intendo dire che possono essere sviluppate da singoli, in gruppo, virtualmente. All’azione non c’è limite.
Siamo già immersi nell’era cosiddetta antropocentrica e, ora più che mai, egocentrica. Un’era caratterizzata da sempre più singoli che restano tali anche quando si uniscono.
L’unicità e l’individualità sono valori inestimabili che dobbiamo curare con senso di responsabilità, ma è necessario, attraverso il linguaggio culturale e delle idee, di ritrovare un filo conduttore che porti ognuno di noi a comprendere che, nel bene o nel male, siamo legati.
L’idea è sempre un «gesto» creativo singolo. Quel gesto che ci rende unici, quasi divini. Imparando a condividere le idee e svilupparle insieme ad altri, renderemo questa manifestazione una «diffusione collettiva».
Come immagini possa originarsi la nascita di nuove entità culturali? Cosa è per te una ‘nuova entità culturale?
È interessante una piccola premessa. In una ricerca pubblicata da Pearson e Oxford Martin School dal titolo The Future of Skills: Employment in 2030, sulle competenze richieste nelle professioni del 2030, viene sottolineata l’importanza delle competenze creative nelle professioni degli anni a venire. Professioni quali fotografi, audio-visivi, designer grafici, archivisti e curatori, musicisti, architetti, produttori e direttori artistici, web designer, ballerini e coreografi e così via, vedranno una crescita stimata del 60-70%. Peccato che questa ricerca valga per l’Inghilterra ovviamente, dove è stata effettivamente effettuata la ricerca, e i Paesi del Nord Europa.
La nostra crescita, seppur presente, è, per usare un eufemismo, modesta. Siamo ad una crescita delle agenzie e imprese «creative» intorno al 2% quando, nel 2017, in altri paesi si sfioravano cifre oltre il 10%.
Da un lato gli ingenti contributi dei governi stranieri rispetto all’Italia, dall’altro un torpore che ci sta indebolendo, se non mortificando, hanno creato una stagnazione nel grande contesto culturale che sta facendo tanti danni. Pensiamo a quello che è accaduto a causa di questa terribile pandemia: abbiamo i settori legati alla cultura, da quelli «istituzionali» quali scuole, teatri e conservatori, a quelli – chiamiamoli – di nicchia, in ginocchio. E il caos regna sovrano.
Manca completamente l’organizzazione, il management, una gestione più strutturata e «aziendale». Lo so, non vorremmo sentire parlare di azienda e dipinto; non ci piace pensare ad un artista che «lo fa per mangiare»; ma così è.
Quindi, per rispondere con una battuta alla domanda, una nuova entità culturale può essere davvero qualsiasi cosa, ma non potrà più prescindere da una struttura aziendale con tutto ciò che ne consegue. Una precisa gestione dei costi, un’attenta indagine dei mercati di riferimento, una buona preparazione digitale, la conoscenza del proprio pubblico. Insomma, fare cultura e arte significa lavorare e, da che mondo è mondo, lavorare significa costruire processi, prefissarsi degli obiettivi e guadagnare.
‘Ibridazione culturale’ e ‘superamento delle frontiere del sapere’: chimera o realtà? È possibile pensare a un nuovo habitat innovativo ed innovato in cui cultura ed altri universi del sapere possano dialogare e fondersi?
Credo che questo avvenga già da qualche tempo e con ottimi risultati. Il problema è che non è un humus quello nel quale operiamo, ma piuttosto delle piccole oasi sparse, in modo disconnesso.
I mondi diversi riescono a dialogare e lo farebbero anche molto bene. Forse andrebbe fixata l’interconnessione che permette il dialogo. Il progresso avviene sempre attraverso il superamento di frontiere. Ogni sapere è l’esito di un pensiero mandato in avanscoperta per capire che cosa c’è al di là di una frontiera, di un confine.
Ogni disciplina, arte, e scienza esiste proprio per ipotizzare e verificare che ci sia qualcosa al di là dei limiti che ci vengono imposti dalla natura, dalle istituzioni, dallo status quo e che, qualche volta, imponiamo a noi stessi.
Possibile un’ibridazione culturale? Assolutamente sì, e lo dico da ricercatore ed esploratore di territori ora conosciuti, ora oscuri. Territori, o habitat, della certezza e dell’incertezza.
Quindi, per una condizione culturale che contempli tanto la necessità del confine quanto la continua tensione al suo superamento, credo sia fondamentale forgiare un pensiero capace di muoversi lungo questa frontiera in modo da consentirci di rivolgere lo sguardo verso territori sconosciuti, per provare la curiosità di esplorarli, di conoscerli e, perché no, capirli. È su quella linea che i fronti si incontrano, che gli universi si fondono e il continuum arte-tempo si rinnova.
immagini: (cover 1) Anuar Arebi, Portrait (2) Anuar Arebi, dal progetto The Urbex Beauty (3) Anuar Arebi, Cercate l’incanto dove c’e tormento, 2019. Frame adattamento 2021 per il progetto di videoarte THE CURE a cura di Alexander Larrarte. Courtesy l’artista (4) Anuar Arebi, Untitled, dal progetto La città muta
Anuar Arebi. ‘Imprenditore digitale, artista multidisciplinare’ sono le parole che emergono da una biografia di Anuar Arebi, cui andrebbe aggiunta una serie di competenze e conoscenze di alto profilo circa l’informatica, la programmazione, ma anche la comunicazione. Anuar Arebi, è, invero, un artista dal carattere poliedrico, la cui ricerca spazia da dimensioni uguali e contrapposte alla stessa maniera. Conosce a fondo la tecnologia, pre e post digitalizzazione attraverso il world wide web e, della sua professione ne ha tracciato un profilo duale che è in grado di tessersi con la creazione di un linguaggio iconografico peculiare, in cui la fotografia e il video, spesso, si incontrano con la composizione musicale. L’istante è il quid che guida Arebi, la volontà di eternare l’imperituro fluire esistenziale, originando immaginifiche ed inusitate cosmogonie dalla valenza simbolica ed evocativa. La ricerca si espande, senza alcun limite spaziotemporale, né di visione, tanto che, oggi, all’attivo ha un curriculum ampio, avviatosi nell’universo della musica e del videomaking, focalizzatosi, negli ultimi mesi, sulla videoarte e la fotografia, in un serrato ritmo di esperienze di videoarte – anche temporanee, per una precisa volontà ontologica – e narrazione fotografica, culminate in mostre personali o collettive, progetti in itinere ed altri solo virtuali. La bellezza, quella sottesa al mondo, è la spinta che anima Anuar Arebi.
L’intervista di Azzurra Immediato ad Andar Arebi è parte di Loading, fase preliminare di GAME OVER, progetto finalizzato alla ricerca e allo studio di nuove «entità culturali», persone, oggetti o ricerche provenienti da diversi ambiti disciplinari (i.e. fisica, bio-robotica, AI, agricoltura, medicina) e al loro traghettamento nel mondo dell’arte. Si tratta di una ricerca ma anche di un gesto che va oltre il semplice dialogo interdisciplinare e diventa piuttosto radicale: un vero e proprio ‘trapianto’ di ambiti di ricerca indirizzato alla predisposizione di future c(o)ulture, dove la «creatività» corrisponde ad «invenzione» ed «invenzione» corrisponde a contribuire ad una trasformazione. Una scintilla, un segnale di mutazione genetica, un cambio di direzione, un cortocircuito. Un’energia diversa che sia il segnale di un cambiamento in atto e che possa costituire nuova linfa vitale per il sistema della Cultura. Questa prima fase è una fase investigativa e si rivolge a visionari, pensatori ibridi di vari settori, inclusi quelli della cultura, che possano esprimersi sulle necessità attuali, ciascuno in relazione al proprio ambito disciplinare e, in linea più generale, nel rispetto della cultura e della società ad ampio raggio. Project team: Anita Calà Founder and Artistic Director of VILLAM | Elena Giulia Rossi, Editorial Director of Arshake | Giulia Pilieci: VILLAM Project Assistant and Press Office | Chiara Bertini: Curator, Coordinator of cultural projects and collaborator of GAME OVER – Future C(o)ulture | Valeria Coratella Project Assistant of GAME OVER – Future C(o)ulture. Interviste di Azzurra Immediato: Amerigo Mariotti, Arshake, 25.02.2021); Leonardo Jaumann(Arshake, 28.01.2021). Altri interventi: Intervista a Primavera De Filippi di Elena Giulia Rossi (Arshake, 21.01,2021); Intervista a Valentino Catricalà di Anita Calà e Elena Giulia Rossi (Arshake, 04.02.2021); Intervista multipla di Stefano Cagol a Antonio Lampis, Sarah Rigotti, Tobias Rehberger, Michele Lanzinger, Stefano Cagol (Arshake, 11.02.2021); Intervento video di Andrea Concas (Arshake, 18.02.2021);Intervista di Stefano Cagol a Peter Greenway (Parte seconda di We Need a Golem, Arshake, 04.03.2021), Intervento di Giulio Alvigini, Bye Bye Boomer, Game Over Art World! (Arshake, 11.03.2021);Interview to Ken Goldberg by Elena Giulia Rossi (Arshake, 18.03.2021); Intervento di Eduardo Rossi, invitato da Chiara Bertini (Arshake, 25.03.2021).