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Home News Focus

«Riattivando Videografie». Intervista ad Anita Calà

Anita Calà racconta del progetto «Riattivando Videografie» alla Reale Accademia di Spagna di Roma, ora online su una piattaforma dedicata

Valeria Coratella by Valeria Coratella
19/12/2020
in Focus, Interview
«Riattivando Videografie». Intervista ad Anita Calà
Dal 29 maggio al 14 giugno 2020 presso la Reale Accademia di Spagna di Roma si è tenuta la mostra «Riattivando Videografie», a cura di Estibaliz Sádaba Murguía. L’evento, incentrato sulla videoarte, prevedeva una sezione italiana affidata alla curatrice Anita Calà, fondatrice di Villam, che ha intitolato il progetto «Speculare il Caos» e invitato tre artisti italiani: Francesca Arri, Matteo Attruia e Lamberto Teotino attivi nella scena artistica contemporanea da anni. L’evento romano, spinto da un complicato momento storico, ha dato vita ad un importante progetto internazionale che ha riunito 64 opere video e in pochi mesi ha confluito in uno specifico portale web per diventare un importante archivio di riferimento internazionale della videoarte.

Valeria Coratella: Il progetto «Riattivando Videografie» è nato da un’idea di Estibaliz Sádaba Murguía di presentare tre ex borsisti spagnoli all’interno della Reale Accademia di Spagna. Come omaggio a Roma, che li ha ospitati, ha coinvolto te per selezionare altrettanti artisti italiani e curare la sezione che hai intitolato «Speculare il Caos». I due nuclei, progettualmente separati, generano un unico progetto video che a distanza di poco tempo è diventato globale con la piattaforma online. Direi che ci avete visto lungo nel proporre una mostra sviluppata sulla videoarte visto che risulta il mezzo espressivo più reale e più fedelmente fruibile dallo spettatore in un momento storico in cui i musei sono chiusi. Pensi che, commercialmente parlando, questo nuovo tempo dovuto alla pandemia possa far sì che il collezionismo si sposti verso la videoarte in maniera più consapevole?

Anita Calà: Il lavoro di Estibaliz lo conoscevo e stimavo da tempo, e quando mi è stata proposta una collaborazione con lei in una Istituzione come la Real Academia di Spagna, ho fatto salti di gioia.

Lavorare con una figura come la sua in una location che secondo me vanta una delle posizioni più belle del mondo, può solo stimolare a dare il massimo.

Ho avuto poco tempo per selezionare gli artisti e le opere da presentare, ma se tornassi indietro e avessi il triplo del tempo, farei le stesse identiche scelte.

C’è stata ricerca e attenzione nei dettagli, ci tenevo molto a presentare un progetto che potesse piacere a tutta l’organizzazione.

L’evento purtroppo nel mese di marzo è stato fagocitato da una realtà che tutti noi conosciamo, ma a differenza di molte situazioni non si è affatto fermato, anzi è diventato più potente, in poco tempo e in piena crisi pandemica si è evoluto in un’ampia operazione di scambio e collaborazione tra 65 artisti e due collettivi provenienti da 17 paesi, connettendo 18 centri culturali con la Real Academia di Spagna, coinvolgendo 23 curatori, la forza di questo agglomerato di energie è soprattutto nella volontà di avere una visione comune futura.

La videoarte è un mezzo diretto e di facile fruizione virtuale, quindi più «semplice» riuscire a rendere visibile e visitabile un progetto così anche se non in presenza. Allo stesso tempo è una forma artistica tra le più difficili da far comprendere ad un pubblico più ampio e anche sotto l’aspetto commerciale.

Credo che per un artista sia necessario concepire il proprio lavoro tenendo lontana l’idea di collezionismo, soprattutto ora che viviamo in un’epoca spaccata.

L’economia nell’arte deve essere rivista come nella maggior parte delle condizioni lavorative più diverse. Ci deve essere un impegno maggiore di tutti noi che operiamo in questo settore per trovare strade alternative al solo collezionismo e punti più fermi per garantire al mondo della cultura la stabilità economica.

Sarà un percorso lungo di ricerca, il COVID ha solo scoperchiato una pentola che era in ebollizione da tanto.

Un altro aspetto tra i più difficili della videoarte è riuscire a mantenere lo spettatore concentrato e tenerlo incollato allo schermo fino alla fine senza annoiare. La piattaforma che raccoglie il progetto è strutturata «furbescamente» come un portale social; scorrendo la pagina i video si susseguono attivandosi automaticamente ed è possibile ascoltare l’audio ed approfondire l’opera semplicemente cliccando sul video. Secondo te qual è la chiave giusta per avvicinare lo spettatore non abituato alla videoarte?

Guarda Valeria…vado dritta al punto: l’arte non è per tutti, ed è mio opinabile pensiero che non debba esistere nessuna chiave o metodo per far avvicinare chi non ha nemmeno la sola curiosità di voler capire e apprezzare.

Sappiamo benissimo che la poca attitudine a comprendere un’opera d’arte è anche una conseguenza di una falla che origina dal sistema scolastico/didattico in cui non ci sono educatori in grado di far comprendere l’arte moderna e soprattutto quella contemporanea. Durante la mostra che ho visitato alla Reale Accademia di Spagna ho notato che nelle sale, accanto ad ogni video, erano presenti dei fogli a parete con degli stralci di poetica e introduzione all’opera; al tuo pensiero aggiungo che forse l’opera non dev’essere neanche spiegata… che ne pensi al riguardo? È stata una tua idea oppure un format voluto dall’Accademia?

C’è una voragine nel sistema educativo della cultura nelle scuole che fa paura. Ricordo che quando andavo alle medie (secoli or sono) l’ora di educazione artistica era vista sia da noi alunni che dagli altri insegnanti un po’ come l’ora di ginnastica ai giardinetti, una sorta di seconda ricreazione. Ovviamente dopo si cresce e si seguono le proprie attitudini, ma di certo un metodo così superficiale all’arte in età plasmabile non aiuta anche solo a incuriosire chi non è portato.

Ancora oggi, parlando con alcune persone di tutte le età quando vengono a scoprire che mi occupo di contemporaneo, insistono nel chiedermi «si, ma che lavoro fai?» prima mi arrabbiavo….ora mi sono arresa, ho capito che l’arte non è per tutti (come detto sopra) ed è giusto che sia così.

Questo mi porta a ricollegarmi alla tua domanda se un’opera deve essere spiegata o no.

Credo che sia giusto inserire la spiegazione della poetica in una mostra, soprattutto quando è un’esposizione in una Istituzione aperta al pubblico, io personalmente raramente ne usufruisco, ma è giusto anche far conoscere un artista a chi non lo conosce ed è curioso della sua ricerca, anche perché difficilmente capita che qualcuno del club «si, ma che lavoro fai?» vada a vedere una mostra di contemporaneo e si ponga il problema se leggere o no il foglio con le spiegazioni.

 La collaborazione con un’istituzione riveste un ruolo fondamentale in termini di prestigio per un progetto, la realizzazione dell’evento può essere facilitata dalla presenza di sponsor che finanziano le spese, la comunicazione è più mirata e d’impatto e le risorse a disposizione sono molteplici. Purtroppo però ci sono dei compromessi da accettare che in eventi organizzati privatamente non sussistono. Durante la tua esperienza curatoriale a quali vincoli sei dovuta sottostare con le istituzioni?

L’esperienza con la Real Academia di Spagna è stata un faro nel buio… mi sono sentita a mio agio da subito, Estibaliz mi ha lasciato carta bianca nelle scelte artistiche e tecniche, l’istituzione in questo caso è stata aperta e disponibile, un paradiso praticamente.

Non sempre è così, come hai detto tu, malgrado la facilitazione in alcuni aspetti, collaborare con grosse istituzioni a volte può far sentire con mani e piedi legati da vincoli burocratici.

Io personalmente nel corso delle mie esperienze passate, ho trovato maggiore difficoltà quando non riuscivo a creare dialogo con le figure operanti negli uffici burocratici, a volte ci si trova di fronte a persone che provengono da altri settori non inerenti al settore culturale, e questo va a creare un corto circuito nella comunicazione. Ci si deve armare di vera dedizione e pazienza.

 Tra gli artisti di «Speculare il Caos» troviamo una video performance di Francesca Arri, un’opera su LCD di Matteo Attruia e una video installazione di Lamberto Teotino. In generale cosa pensi di quei video che inizialmente vengono concepiti solo come documento d’archivio di un atto performativo live e che successivamente vengono «utilizzati» come un’opera video che entra nel circuito delle vendite? La reputi una trovata commerciale per guadagnare su un lavoro che diversamente non avrebbe spazio nel collezionismo perché effimero? Oppure credi sia una necessità estetica/artistica? 

Un’opera può avere diversi tipi di supporto visivo, è il concept che non deve essere fragile.

Ben venga qualsiasi forma in cui è presentato un lavoro, sia per necessità tecniche che commerciali.

 Analizzando la mostra ho notato che nonostante i supporti e poetiche differenti c’era una coerenza formale nell’allestimento. A dispetto del poco tempo che hai avuto a disposizione per selezionare gli artisti e le opere sembra che avessi bene in mente la mostra, mi parli dei tre artisti italiani che hai presentato? Quale di loro, in chiave ambientale, ti ha creato maggiori difficoltà nel posizionamento?

La Arri e Teotino sono due artisti con cui lavoro da diverso tempo, stimo il loro lavoro così «cattivo» e diretto. Entrambi in maniera diversa sono un pugno in testa, Arri lo fa urlandoti contro, cerca lo scontro fisico con la sua ricerca. Teotino diversamente ti taglia in due con una lama sottilissima senza emettere fiato.

Invece è la prima volta che lavoro con Attruia, seguivo il suo lavoro da tempo, e questa mi è sembrata l’occasione giusta per metterci alla prova. Il mondo dove ci conduce questo artista ha la giusta carica destabilizzante che tanto mi piace… attira con l’ironia che in realtà è uno specchietto per le allodole che ti porta dentro un meccanismo fatto di giochi di parole che vanno a sottolineare le fragilità tanto comuni in tutti.

L’allestimento è stato abbastanza semplice, avevo in mente una mostra austera dal punto di vista estetico. L’opera di Lamberto Teotino forse è stata la più complessa, in quanto era non solo un video ma una struttura completa. L’artista ha cercato con minuziosità il supporto giusto che andasse a combaciare perfettamente con l’immagine che aveva in mente. Lamberto è un maestro in questo, la sua arte è fatta di dettagli perfetti e non si ferma fino che non trova la sua idea fatta materia, altrimenti ti taglia in due con una lama sottilissima senza emettere fiato.


Riattivando Videografie, a cura di  Anita Calà, Estibaliz Sádaba Murguía
Real Accademia di Spagna ( 29.05 – 14.06.2020) è ora online sul portale web dedicato

immagini: (cover 1) Florencia Levy, «Paisaje para una persona», 2015, Centro Cultural de España en Buenos Aires (2) Francesca Arri, «Selfportrait», videoperformance 2012 (3) Erik Tlaseca, «La noche (no) es muda», 2018-2020, Centro Cultural de España en México (4) Donna Conlon, «From the Ashes (De las cenizas)», 2019, Centro Cultural de España en Panamá (5) Susana Sánchez Carballo, «Gritos Mudos», 2017 – Centro Culturimmaginial de España en San José (6) Erik Tlaseca, «La noche (no) es muda», 2018-2020, Centro Cultural de España en México (7) Nicolás Rupcich, «EDF», 2013, Centro Cultural de España en Santiago de Chile (8) Andrea Canepa, «The tale of the mass, the grid and the mesh», 2020, Real Academia de España en Roma (9) Matteo Attruia, «All I need is all I need», 2020 (10) Lamberto Teotino, «Non-physical entities», 2020

Tags: Anita CalaarchivearsarshakeEstibaliz Sádaba Murguíaexhibitioninterviewintervistamostraplatformportale webReale Accademia di SpagnaRiattivando VideografieRomaRomeValeria Coratellavideovideo arte
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