Leonardo Zaccone co-fondatore di Spazio Chirale, centro di ricerca per la creatività digitale, ci parla della performance musicale «Customer Care» eseguita online il 20 Marzo dalle ore 10 alle ore 18 dal suo collettivo MetaDiaPason in collaborazione con il collettivo Ipologica. L’evento si è svolto a Roma presso Spazio Chirale e online dove ha registrato oltre 3000 accessi, più di 500 interazioni in chat e spettatori che da casa si sono aggiunti ai performer per suonare. «Customer Care» nasce come idea di ricerca sulle azioni comuni e quotidiane dell’uomo contemporaneo e fa riferimento alla giornata lavorativa.
Valeria Coratella, Leonardo ciao, il 20 Marzo si è tenuta presso Spazio Chirale la performance «Customer Care». Raccontaci come è andata.
Leonardo Zaccone: raccontare com’è andata apre in me un sentimento molto contrastante. Benché avessi disegnato proprio io questo percorso performativo che spingesse performer e pubblico a rimanere distanti in una così costante interazione, alla fine sono rimasto vittima di questo processo.
Infatti finite le otto ore, la sera mi sentivo quasi vuoto, deluso perché mancava completamente il contatto con chi ci aveva sentito, lo sguardo, gli occhi, l’applauso, le critiche, l’assenza faceva sembrare quasi inutile aver passato questa giornata a suonare.
Invece la performance ha riscosso molto successo, con molte visite da tutto il mondo e interazioni continue tramite l’assistente virtuale nell’arco delle otto ore della giornata lavorativa performativa.
In questo senso la performance ha funzionato proprio nella mia delusione del momento, mostrando la potenza alienante del meccanismo del customer care, che era un aspetto che volevamo esprimere.
Durante l’esibizione il pubblico poteva interagire in prima persona attraverso un assistente virtuale, un chatbot.
Sì, P.I.C.O., Performance Interactive Control Operator, un chatbot virtuale disegnato e programmato da me, basato su un motore AI, e che in qualche modo rappresenta la partitura, la traccia di «Customer Care». L’obiettivo era che il pubblico interagisse tramite uno strumento che usa oramai spesso, riproducendo in forma artistica una liturgia del quotidiano. Performer e pubblico assoggettati alle meccaniche aziendali.
Una delle opzioni del chatbot era «lavora con noi». È stato utilizzato un software per selezionare le figure che potevano esibirsi candidandosi sulla chat?
L’assistente virtuale serviva solo a permettere a chi volesse di candidarsi a suonare con noi, ma poi ero io a ricontattarli per capire come potessero inserirsi. Abbiamo solo fatto in modo che candidarsi richiedesse un minimo di attenzione e di tempo in più.
Il processo ha funzionato. Accanto a tre membri del nostro collettivo che vivono all’estero e con cui eravamo già d’accordo, abbiamo avuto altre otto persone che si sono inserite. E non tutti musicisti. Come diceva P.I.C.O. «everything can play. everybody can play». Un filosofo della musica ha voluto suonare la carta, fino a bruciarla, suonando il fuoco. Un ambientalista ha voluto suonare le tazze da thé alle 17 in punto. È il suo rito della pandemia e ha voluto condividerlo con noi.
Rimarrà traccia in rete della performance in modo da poter essere fruita in seguito? Avete pensato ad un possibile download da parte del pubblico?
Chiaramente come ogni performance, va vissuta. Attualmente è possibile assistere alla registrazione sulla pagina dedicata,dove abbiamo tenuto attivo anche il chatbot, per offrire un mausoleo di quell’esperienza purtroppo senza interazione in tempo reale. Inoltre stiamo pensando anche a una documentazione dei momenti salienti all’interno delle otto ore.
Considerando la forma di «opera aperta» che sta alla base della filosofia dei MetaDiaPason e la cultura Open Source di Spazio Chirale, dei quali tu risulti il collante, è possibile paragonare il vostro progetto come fenomeno collettivo al modello copyleft sui diritti d’autore come ad esempio è il progetto Luther Blissett a cui tutti possono attingere e farne merce propria?
Credo di sì. Il concetto di «opera aperta» di cui ci parla a fondo Umberto Eco e che io ho preso dalla tradizione romana di Nuova Consonanza, si fonda soprattutto sul principio di indeterminazione. Per me è essenziale che nessuno sappia precisamente cosa potrebbe accadere. È il modo più vero di relazionare l’arte con la vita. Non esiste un cammino ma solo il camminare.
Però è anche importante il fatto che l’opera aperta minimizzi, se non elimina del tutto, il ruolo autoriale. Io disegno un percorso, è la performance. Ma non sono l’autore e quindi il proprietario della musica. Per realizzare Customer Care abbiamo coinvolto molti artisti accanto a MetaDiaPason, come Ipologica, che da soli fanno musica diversa dalla nostra ma che oramai da due anni si inseriscono volentieri nelle nostre performance.
Penso che ci si soffermi troppo sul valore presunto delle idee. Le idee sono di tutti, piuttosto l’arte è processo, l’arte non è ma avviene, e quindi è di chi la realizza, concretamente, nel momento in cui la realizza.
Parafrasando Bach che era contento quando sapeva che qualche maestro di cappella usava le sue musiche per le messe, io sarei molto contento se qualcun altro volesse performare un Customer Care a modo proprio.
Avete considerato che questa interazione potesse comportare una forma di sabotaggio della performance?
Questa è una domanda davvero molto interessante, in generale il pubblico interagisce sempre con l’arte, sarebbe come chiedersi se abbiamo considerato che il pubblico potrebbe andare addosso a una statua in un museo danneggiandola.
Nell’arte interattiva, nella performance in generale, il pubblico è una variabile non trascurabile perché il cuore proprio di queste forme artistiche è la relazione che si genera con esso, su come risponde, su come reagisce, su quello che fa e su come può farlo. Io mi occupo da ormai più di vent’anni di performance interattive, e il cuore della mia ricerca è sempre stato il pubblico, come progettare, disegnare, userei comporre, poiché la mia ricerca è particolarmente incentrata sull’evento sonoro, come generare un evento immaginando tutte le possibili interazioni che il pubblico potrebbe attuare.
Ultimamente, con la diffusione delle pratiche performative interattive online, si è creata molta attenzione sul tema del sabotaggio. Ma se penso ad alcune performance storiche come Cut Piece di Yoko Ono, in cui lei dà le forbici in mano al pubblico per farsi tagliare l’abito che indossa, o a Memorabilia di Marina Abramovic e Ulay, in cui i due artisti nudi si mettono l’uno di fronte all’altra in un punto di passaggio costringendo il pubblico a passare in mezzo a loro, qui avremmo potuto temere anche reazioni molto violente e pericolose; ma in fondo la reazione estrema, il rischio di questa reazione estrema, è parte precisa della performance e del valore artistico che la performance possiede. Nella performance che coinvolge il pubblico non esiste il concetto di sabotaggio, tutto ciò che è possibile all’interno del processo messo in campo dagli artisti non solo è sempre accettabile, ma fa parte dell’opera stessa. È compito dell’artista quello di allenarsi e di prepararsi e di immaginarsi come rispondere nelle varie situazioni che si possono creare. Oppure di fare in modo che non si creino nella definizione delle meccaniche. Io non parlo di regole perché le regole si seguono e si contravvengono, le meccaniche si vivono. Il sabotaggio è allora il segno tangibile della vitalità della performance che suscita reazioni anche complesse nel pubblico. È il motto del nostro collettivo: «l’arte è indisciplinata».
E nel caso specifico di Customer Care?
Nel nostro caso l’interazione era mediata da P.I.C.O. e non permetteva al pubblico di inserirsi direttamente nel flusso, ma avevo previsto la possibilità di far inviare messaggi speciali e ci eravamo preparati a rispondere in modo indipendente, accondiscendendo ma anche reagendo male alle richieste che ci fossero arrivate. L’importante era non ignorare. Così abbiamo ipotizzato tutta una serie di richieste estreme, ad esempio ci eravamo chiesti in fase di preparazione: cosa faremmo se ci chiedessero di spogliarci? Ognuno degli 11 performer ha risposto in un modo diverso. Ognuno accettabile. Qualcuno si sarebbe spogliato, qualcuno diceva di spogliarsi dello strumento, qualcuno che avrebbe risposto facendo un gesto di diniego chiaro verso la videocamera.
Così, verso la fine, ci è arrivata una richiesta speciale di far durare la performance altri 5 minuti. La richiesta è stata presentata ai 3 performer al lavoro in quel momento, due hanno deciso di sonificare la fase di smontaggio, accondiscendendo in qualche modo, la terza performer ha fatto un chiaro gesto di diniego verso la camera. La sua reazione mi ha fatto riflettere: per lei lavorare 5 minuti di più era come spogliarsi.
Customer Care
immagini: cover 1 – 4 -5) MetaDiaPason, in collaborazione con Ipologica, «Customer Care» , 20 marzo, 2021, Spazio Chirale (Roma) e online (2) MetaDiaPason, in collaborazione con Ipologica, «Customer Care» , Leonardo Zaccone a Spazio Chirale, Roma (3) MetaDiaPason, in collaborazione con Ipologica, «Customer Care» , 20 marzo, 2021, Spazio Chirale (Roma) e online, chatbox P.I.C.O