Il percorso di ricerca sulla curatela come storia fenomenologica della quotidianità di Kisito Assangni prosegue, oggi, nel confronto con Lorella Scacco.
Kisito Assangni: La pratica curatoriale genera conoscenza?
Lorella Scacco: Dopo anni di esperienza, sento di poter dire che le mostre possono fungere da prezioso strumento di conoscenza sia per il curatore che per il pubblico e, talvolta, anche per gli artisti stessi. L’approccio del curatore nei confronti degli artisti, durante la selezione delle opere da esporre, può innescare un dialogo personale e, allo stesso tempo, “plurale”, che favorisce una discussione sulla società in cui si vive, su com’era e su come diventerà. Benché nasca da un’idea iniziale del curatore, questo momento di riflessione, che si moltiplica nel caso di un’esposizione collettiva, si rispecchia nella maniera in cui la mostra è curata e nel suo apparato critico. Artisti e curatori leggono le cose in modo non convenzionale, e poi invitano il pubblico a reinterpretare le mostre stesse. Resta comunque importante che quanto trasmesso non sopraffaccia il pubblico, bensì che lo inviti a partecipare alla discussione, a interagire reciprocamente. La nostra società è caratterizzata da una diffusa sensazione di transitorietà, di incertezza, amplificatasi in seguito alla pandemia, e da una tendenza a cercare scorciatoie che può avere effetti dannosi. Eppure in qualche modo l’arte ci costringe a fermarci, a riflettere sulla sfera sensoriale, e dunque, un progetto curatoriale è una ricerca di significato e un processo di approfondimento della conoscenza. Ha il potenziale di stimolare la sensibilità, e perciò può favorire un rapporto di vicinanza ed empatia con il proprio contesto (attuale, passato o futuro). Penso che i curatori, con i propri progetti critici, dovrebbero contribuire a risvegliare la sensibilità e l’attenzione del pubblico. L’onestà e l’autonomia intellettuali sono comunque importanti nella pratica curatoriale, poiché permettono di diventare gli interpreti delle prospettive create dagli artisti. Per generare conoscenza, un curatore ha bisogno di entusiasmo, interdisciplinarietà e indipendenza.
Esiste una verità universale nella pratica curatoriale? o si tratta di una opinione particolare?
Credo nella pluralità delle esperienze percettive e quindi del pensiero. Se in passato ci sono state tendenze e movimenti, oggi le accelerazioni e i repentini cambiamenti della società dovuti alla tecnologia spingono a una condizione di fluidità molto marcata, come ha osservato Zygmunt Bauman in Modernità liquida (2000). Allora il curatore può, con il proprio lavoro, operare delle distinzioni in questo flusso di idee e partecipare alla comprensione dei fenomeni contemporanei, ma il risultato non può essere una verità universale. A mio parere, i progetti curatoriali rappresentano i molti frammenti di verità che nel corso degli anni contribuiscono a generare una storia universale. Il curatore, per come la vedo io, non ha un’opinione ben definita, ma intrattiene piuttosto un rapporto chiasmatico con il presente, nel tentativo di dare forma a una fenomenologia dell’esperienza vissuta.
In che modo ti relazioni con le questioni globali e trascendenti legate alla produzione artistica?
Credo che il senso di comunità e alterità siano la base della sostenibilità del futuro. Un’arte interattiva, immersiva e partecipativa potrebbe essere il veicolo per la diffusione del concetto di comunità. Ho affrontato il tema delle nuove tecnologie e delle nuove possibilità di interazione in varie occasioni, quali le mostre Mobile Journey alla Biennale di Venezia (2007), e Artesto (2006) alla Triennale di Milano, probabilmente troppo all’avanguardia per il pubblico italiano di quegli anni.
Penso, inoltre, che i progetti collettivi e le installazioni interattive permettano di esplorare modalità sostenibili di abitare e percepire l’ambiente. Se un’opera d’arte esprime un insieme di valori e idee, Olafur Eliasson afferma nel suo sito che «per me, oggi, questo significa lavorare con la mia équipe per cambiare il modo in cui le mie opere d’arte vengono realizzate, spedite e condivise». Alcuni dei miei progetti curatoriali, come le mostre Social Videoscapes from the North (Fondazione Pro Artibus, Finlandia, e Careof, Italia), e The Quest for Happiness. Italian Art Now (mostra curata in collaborazione con altri colleghi al Serlachius Museum, Mänttä, in Finlandia) hanno trattato in vari modi il tema del cambiamento climatico.
È piuttosto chiaro che la pratica artistica si sta muovendo verso l’intreccio di forme diverse di espressione del pensiero, tra cui l’arte, le scienze sociali, la tecnologia e le scienze della vita. Gli artisti possono sostenere il benessere del nostro pianeta occupandosi delle zone grigie che la scienza tende a rifiutare in quanto non incasellabili in modelli stabiliti. Questo paradosso funziona come dato investigativo nelle ricerche di diversi artisti, con risultati incoraggianti: un esempio è la sperimentazione artistica diretta a menti non umane di Tuomas Alexander Laitinen. Anche la celebre Eija-Liisa Ahtila si sta occupando della compagnia di altri esseri viventi attraverso le sue recenti video-installazioni.
Quali pensi siano le gerarchie inerenti al lavoro curatoriale relativo a collezioni, archivi e opere d’arte contemporanea? C’è qualcosa di giusto o sbagliato nell’idea di una pratica curatoriale che abbia una prospettiva assolutamente pluralista?
Credo che la media art stia mettendo sempre più in discussione l’idea di una gerarchia, sia nella pratica curatoriale rivolta agli archivi e alle collezioni d’arte che nel campo della conservazione. Dal dibattito sul significato dell’opera come risultato dell’interazione con il pubblico all’autorialità multipla, dalle rievocazioni recenti (re-enactments) agli archivi condivisi in movimento, la media art mostra come un approccio pluralistico sia il più importante per la nostra epoca. Pluralismo significa inclusione. L’analisi foucaultiana tra formazioni discorsive e non discorsive e tra conoscenza e comportamenti sociali, che egli identifica con l’espressione «archeologia della conoscenza», è stata utile per indicare la prospettiva da seguire. Credo che il concetto di pratica curatoriale come inclusione o esclusione, o polarizzazione, sia destinato a scomparire anche grazie alle dinamiche digitali. Le nuove tecnologie stanno ampliando le capacità degli archivi e stanno facendo sempre più spazio alla voce del pubblico.
Prendi in considerazione i tuoi pregiudizi e limitazioni culturali? Come li gestisci nella tua pratica curatoriale?
Come storica dell’arte e curatrice, mi considero fortunata ad essermi formata in Italia, dove il rapporto con l’arte può essere coltivato quotidianamente. È a questo che devo la mia particolare familiarità con la storia dell’arte. Negli anni ’90, l’ambiente artistico italiano offriva già numerosi stimoli, come l’intenso sviluppo della video arte e della fotografia digitale. Sono invece rimasta indietro sugli studi postcoloniali e femministi che, invece, circolavano ampiamente nei paesi anglofoni, anche se l’opportunità di viaggiare e visitare altri paesi in vari continenti alla fine mi ha aiutata a colmare questa lacuna culturale. Ad esempio, il mio interesse per l’arte e la cultura nordica ha ampliato notevolmente i miei orizzonti, aiutandomi a superare i valori dell’ambiente in cui sono cresciuta, aprendomi gli occhi sull’importanza della comunità in opposizione al forte senso di individualismo che prevale in Italia, e sul rispetto dell’ambiente, un valore ancora secondario nei paesi mediterranei. Devo anche aggiungere che i miei pregiudizi e limiti culturali sono stati stemperati dagli incontri che il vasto mondo dell’arte contemporanea offre in occasione di inaugurazioni, eventi e visite dei vari studi, in particolare con gli artisti. I frequenti dialoghi con artisti che si incontrano per la prima volta in uno studio possono aprire la mente all’ignoto, plasmandola in modi nuovi. Nella mia pratica curatoriale cerco, inoltre, di affrontare i miei pregiudizi e limiti culturali attraverso una continua ricerca accademica e aggiornandomi nel campo della comunicazione. A volte perfino l’umorismo può aiutare ad abbattere i pregiudizi.
Definire una tensione nella pratica curatoriale, descrivere i suoi attributi e il suo contesto, stabilire la sua relazione con gli archivi e le evidenze. Cosa resta da mostrare?
A mio avviso, lo sviluppo di questo campo dovrebbe essere orientato alle mostre incentrate sui visitatori, che stanno diventando ancora più importanti grazie a concetti come immersività, reciprocità e partecipazione. Un approccio fenomenologico può senz’altro aiutare il curatore ad analizzare l’atteggiamento esplorativo e partecipativo del pubblico, che viene incoraggiato dagli artisti a partecipare attivamente all’esperienza sensoriale e immersiva dell’arte contemporanea.
Inoltre, a causa dell’aumento del numero di mostre artistiche, credo in una revisione del concetto stesso di mostra, e penso che i curatori dovrebbero dedicare molto tempo alla scrittura, all’analisi e al fornire un contributo critico al pubblico. I curatori dovrebbero concentrarsi su temi strettamente attinenti ai bisogni della società: sostenibilità, estrattivismo, parità, migrazioni e il senso di comunità che attraversa tutto il genere umano sono temi di interesse artistico. Argomenti come questi incoraggiano gli artisti ad adottare metodi alternativi di occupazione degli spazi artistici, della storia, della cultura e dell’economia.
Che libri o mostre consiglieresti?
Posso consigliare alcune letture relative al campo della percezione e della fenomenologia, come Action in perceptiondel filosofo Alva Noë (Cambridge, Mass, MIT Press 2004), e Visual Sense: A Cultural Reader, a cura degli studiosi Elizabeth Edwards e Kaushik Bhaumik (Berg, Oxford 2008). Per quanto riguarda le mostre, e più in generale l’arte, tengo d’occhio gli sviluppi di Acute Art, una piattaforma digitale per artisti contemporanei che dà accesso a tecnologie all’avanguardia e offre una panoramica sui temi attuali.
immagini: (cover 1) Marinella Senatore e Maria Fonzino, «School of Narrative Dance», performance del progetto espositivo «The Quest for Happiness», Serlachius Art Museum, Mänttä, Finlandia, 8 marzo 2020. Foto: Teemu Källi. Courtesy Serlachius Art Museum (2) Laura Beloff, Erich Berger & Elina Mitrunen, «Heart Donor», lavoro indossabile in mostra al «Mobile Journey», Evento collaterale alla 52a Biennale di Venezia, Università Internazionale di Venezia, Giugno 2007. Foto: Edoardo Luppari (3) Eija-Liisa Ahtila, «Potentiality of Love», 2018. Panoramica della mostra al Serlachius Museum, Mänttä. Foto: Sampo Linkoneva (4) Test dell’opera indossabile «Heart Donor» di Laura Beloff, Erich Berger & Elina Mitrunen in mostra per «Mobile Journey», Evento collaterale alla 52a Biennale di Venezia,Università Internazionale di Venezia, Giugno 2007.Courtesy degli Artisti (5) Panoramica di «Social Videoscapes from the North», Careof, Milano 2013. Foto: Raponi (6) Cover libro della collettiva «Artext – Connect to Art», Triennale di Milano, Milano 2006 (7) Lorella Scacco – Ritratto
Lorella Scacco è una storica dell’arte impegnata principalmente nel campo della media art. Si occupa del legame tra le arti visive e la filosofia.
Attualmente, vive tra l’Italia e la Finlandia, insegnando “Fenomenologia delle arti contemporanee” e “Storia e teoria dell’arte contemporanea” presso varie Accademie e Università di Belle Arti delle due nazioni. Collabora con istituzioni e musei nordici dalla fine degli anni ’90, ed attualmente è anche ricercatrice associata presso l’Università di Turku, in Finlandia. Da oltre vent’anni lavora nel campo curatoriale, spaziando da mostre d’arte allestite presso musei, gallerie, fiere d’arte e spazi no-profit a mostre retrospettive allestite presso la Biennale di Venezia (2007), la Triennale di Milano, lo Stenersen Museum di Oslo (in collaborazione con B. Pietromarchi), il Castello Sforzesco di Milano, la Fondazione Pro Artibus, in Finlandia, l’organizzazione Careof DOCVA di Milano, il Museo H. C. Andersen di Roma, il Trevi Flash Art Museum, in Italia, il MACRO di Roma, la Fondazione Olivetti di Roma, il Serlachius Art Museum di Mäntta (in collaborazione con M. S. Bottai & P. Immonen) e la Cable Factory, Suomi Art Fair di Helsinki.
Lorella Scacco collabora con riviste d’arte specializzate come Artedossier (Giunti, Firenze), ed è autrice di Estetica mediale. Da Jean Baudrillard a Derrick de Kerckhove (Guerini, 2004), di Northwave. Una ricognizione sulla video arte dei paesi nordici (Silvana Editoriale, 2009), e di Alberto Giacometti e Maurice Merleau-Ponty. Un dialogo sulla percezione. Fenomenologia dell’esperienza artistica (Gangemi, 2017). Scacco ha partecipato a conferenze, seminari e simposi presso diverse istituzioni come il Palazzo delle Esposizioni di Roma, la VIU Venice International University di Venezia, la GAMEC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, l’American Scandinavian Foundation di New York, la Fritt Ord Foundation di Oslo, l’INHA – Institut national d’histoire de l’art of Art di Parigi, l’Auditorium dell’isola di Harakka a Helsinki, l’Università di Turku e l’Università di Copenhagen.
L’intervista a Lorella Scacco è parte della ricerca di Kisito Assangni sulla pratica curatoriale:
Dialoghi transitori con rinomati curatori che si interfacciano in maniera positiva con le pratiche artistiche grazie a un’assistenza non prevaricante e a metodi pedagogici alternativi, senza perdere di vista la cronopolitica e le esigenze contemporanee nel contesto di più ampi processi politici, culturali ed economici. In questo momento storico, oltre a sollevare alcune questioni epistemologiche sulla ridefinizione di ciò che è essenziale, questa serie di interviste rivelatrici cerca di riunire diversi approcci critici riguardanti la trasmissione internazionale del sapere e la pratica curatoriale transculturale e trans-disciplinare. (Kisito Assangni).