Tommaso Tozzi è un artista e teorico attivista attivo sin dagli anni ’70 nella cultura underground, pioniere sperimentatore nell’era pre-web, ancora oggi indirizzato verso produzioni artistiche nel nome della condivisione, della co-autorialità e dell’agire politico e sociale. E’ stato tra i fondatori di alcuni network telematici indipendenti a carattere artistico e sociale e siti on-line finalizzati all’arte, la cultura, la costruzione di comunità virtuali indipendenti, oltre a progetti di archiviazione e mappatura delle culture alternative. È autore di Hacker Art BBS (1990), cofondatore del network Cyberpunk (1991) e Cybernet (1993), di Strano Network (1993), di Virtual Town TV (1994) e del sito Strano Network (1995). Nel 1995 ha ideato il primo Netstrike mondiale, uno sciopero realizzato ‘con’ e ‘nella’rete, organizzato insieme a Strano Network per protestare contro i test nucleari francesi a Mururoa. Ha ideato e realizzato il sito Hacker Art (2000), e l’Archivio Hacker Art (2002). Recentemente ha ideato e fatto nascere il progetto Wikiartpedia – La libera enciclopedia on-line sull’arte e le culture delle reti (2004) che ha vinto l’Honorary Mention Prix Ars Electronica 2009 – Digital Communities (oggi EduEda). In uno scambio con Matteo Pompili, studente all’Accademia di Belle arti di Roma, Tommaso Tozzi ripercorre le sue avventure artistiche e le proietta nei possibili scenari del presente e del futuro.
Matteo Pompili: Sono già trascorsi oltre venti anni da quando lei ha coniato il termine ‘hacker art’ ed ha iniziato a lavorare in modo prolifico in questo ambito. Ambito che fisiologicamente ha vissuto un periodo di flessione. Molti pensano che si tratti di un “capitolo chiuso”, così come si reputa già ampiamente sperimentato un po’ tutto il campo della Net Art. Concorda con questa visione? Quale è, o quale può essere secondo lei, il ruolo della Net Art e dell’Hacker Art e le rispettive applicazioni nel panorama attuale?
Tommaso Tozzi: Personalmente ho usato l’etichetta Net Art solo per questioni di convenienza ministeriale. Quando ho proposto al Ministero, tramite l’allora mio Direttore presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara prof. Marco Baudinelli, una rosa di nuove discipline da inserire nelle nascenti Declaratorie ministeriali nell’ambito di quelle che in seguito sarebbero state etichettate come Nuove Tecnologie per l’Arte, oltre alla disciplina di “Hacker art” proposi quella di “Net art”, sapendo già in anticipo che ben difficilmente avrebbero accettato la prima. Era il 2004 ed io ero il Coordinatore della nascente Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte dal 2003. Mi ero in quegli anni dovuto inventare un nuovo assetto del vecchio Corso di Arti Multimediali, fondato dal prof. Andrea Balzola insieme all’allora Direttore Carlo Bordoni nel 1999, in quanto vi era il passaggio dal vecchio regime Quadriennale al nuovo regime Triennale e Biennale e nel farlo avevo avviato una lunga discussione collettiva con gli altri docenti dell’area multimediale dell’Accademia di Belle Arti di Carrara, ma anche con altri colleghi coordinatori delle relative aree multimediali in Italia.
Il Triennio in Arti Multimediali lo feci partire a Carrara nell’a.a. 2003-2004. Nel 2004-2005 avevo avviato una prima ipotesi di Biennio, che fu immediatamente interrotta perché non arrivò l’autorizzazione del CNAM. Nel 2007, dopo alcune necessarie riformulazioni per rendere l’assetto del Piano di Studio coerente con le griglie ministeriali, ho ri-presentato il progetto che finalmente a novembre fu approvato, con Decreto Ministeriale, con il nome di Biennio in Net Art e Culture Digitali, all’interno della Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte. Al suo interno vi erano alcune di quelle discipline che avevo proposto qualche anno prima e che erano state inserite in una prima versione delle Declaratorie ministeriali (che furono infine formalizzate definitivamente nel 2009). Tra queste vi era anche la disciplina di Net Art. Naturalmente non è stata mai autorizzata dal Ministero l’esistenza di una disciplina di Hacker Art. Così ho dovuto accettare la differente etichetta che però ho sempre cercato di riempire (sia nel ruolo di coordinatore che didattico) del senso che davo all’etichetta “Hacker art”. È così che nel Triennio di Arti Multimediali e nel nascente Biennio di Net Art e Culture Digitali, negli anni, sono riuscito a portare ad insegnare colleghi che facevano dell’hacking sociale, dell’autogestione, delle autoproduzioni, della controcultura una bandiera (come Ermanno “Gomma” Guarneri, Maurizio Lucchini, Enrico Bisenzi, Franco “Bifo” Berardi, Stefano Bettini, Marco Cesare-Consumi, Alessandro Ludovico, Vittorio Zibordi, Arturo Di Corinto, o critici attenti come Gabriele Perretta e Pier Luigi Capucci, e tanti altri ancora). Dal 2011 la nuova direzione è riuscita a smontare pezzo per pezzo ciò che si era costruito, lasciandone a tutt’oggi solo qualche ombra. La Net Art, nella declinazione carrarina, si era invece in quel primo periodo riempita di sensi che non sempre sono riconosciuti in tale termine. La caratterizzazione sociale, le lotte per un nuovo modello economico che vede al centro la condivisione dei saperi, oltre che dei beni, la rinuncia alle logiche commerciali, la difesa della classe sociale oppressa, delle libertà e dei diritti del cittadino, spesso rimangono fuori dalle poetiche della cosiddetta Net Art, per come almeno la letteratura storica ce ne da notizia. Si trattava dunque di reinterpretarne il senso verso altre direzioni. Se le vecchie direzioni di Carrara favorivano la figura di un artista che si immergeva nella società, nelle sue problematiche e contraddizioni, per aiutare ad immaginarsi un nuovo sistema di relazioni al suo interno, la nuova direzione riportava l’artista su un piedistallo, ben scolpito in marmo.
La Net.art è stata un’etichetta che si è invece maggiormente avvicinata a tali ambiti.
Ma le etichette valgono per gli storici e per coloro che vogliono affermare un preciso ambito teoretico (spesso anche di dominio), meno valgono invece per definire il senso che si lega realmente all’agire individuale e collettivo delle anime.
Personalmente, dal 1989 mi sono riconosciuto nel termine Hacker Art, perché vedevo e vedo in quell’etica un agire libero dagli interessi dell’attuale sistema dell’arte. Ho già provato a definire altrove ciò che intendevo, e intendo, con tale termine, ma sempre mi è sfuggita la capacità di comunicare l’elemento spirituale che soggiace a tale mia scelta. L’hacker art per me è un’attitudine che emerge dallo spirito, dalla volontà della mia anima di mescolarsi con le anime che ci circondano. Il caro amico Buonarroti mi insegna ad apprezzare quell’elemento che il surrealismo considerava una “rivolta dello spirito”. Una sincera fede cristiana invoca, all’interno dell’attuale panorama cattolico, una “rivolta dello spirito”. Se le lotte sindacali tentano di dare una dimensione materiale ad alcuni delle istanze spirituali, l’arte cerca di unire a tali istanze quelle che permangono su un livello esclusivamente spirituale, per noi invisibile, intangibile, non sensoriale, ma vivo. Quell’arte non rimane fuori dalla carne viva dei problemi sociali e materiali, vi si immerge e in essi riemerge attraverso l’unione delle anime e dello spirito. La rete telematica è stato un tentativo per dare a questa dimensione dello spirito collettivo, all’unione delle anime, un luogo da abitare. La tecnologia non uno strumento al servizio della tradizione, non il fulcro pilota di una nuova forma di tecnodominio economico, ma un nuovo spazio in cui far abitare quell’unione delle anime, quella rivolta dello spirito.
Ma lo spazio della rete è uno spazio esteso che transita attraverso la nostra mente e attraverso i cavi per entrare nella vita di tutti i giorni, nelle nostre azioni quotidiane, fisiche e reali.
Il Novecento ha delineato con chiarezza la richiesta di un nuovo spazio per l’arte che non fosse solamente un oggetto materiale e che si legasse al flusso dello scorrere del quotidiano. L’hacker art ha cercato di individuare per tale direzione un nuovo luogo nella rete telematica, e nell’incontro che essa ha con la vita reale, un nuovo luogo dove aiutare a far emergere la rivolta di uno spirito collettivo.
Un luogo dove recuperare l’amore verso l’altro e dove alimentare il distacco da ogni forma di dominio, ingiustizia e sopruso, materiale e spirituale. Una rivolta che si attende, ovvero verso cui si tende.
È difficile per me separare la vita attraverso un termine: hacker art. Difficile dire cosa ho prodotto come hacker art e cosa come semplice vita quotidiana. Di conseguenza difficile per me dire che l’hacker art o la net art è morta, se le persone che incarnano tale visione sono ancora a giro fisicamente. Ancor più difficile per me immaginarmi un domani futuro in cui la loro anima non sia incarnata nell’agire di altri enti e soggetti. Questo non solo per l’hacker art e la net art, ma per qualsiasi altra cosa o movimento artistico.
È facile invece per me immaginarmi che il ruolo dell’hacker art nel panorama attuale sia quello di far diventare qualsiasi attimo della nostra vita il luogo dell’unione delle anime e della rivolta dello spirito.
Qual’è stata l’importanza dell’Hacker Art nel modo di progettare un azione politica?
Ha aiutato le persone ad incontrarsi e a riconoscere le loro reciproche istanze collettive. Ha cercato di fornire strumenti per far diventare l’alternarsi delle voci un singolo coro. Ha cercato di favorire la possibilità che la rete potesse essere un nuovo luogo in cui non fossero ancora prestabiliti dei ruoli sociali indotti, in cui non vi fossero gerarchie, ne domini cui soggiacere, ne norme imposte sulla base di privilegi particolari. Una rete orizzontale e progettata dal basso. Ha cercato di dare visibilità a un nuovo modello dell’agire politico, economico e sociale: un granello all’interno di una lotta millenaria.
Quali sono stati, e quali sono ora, i rapporti tra hacker art e sistema dell’arte?
Ho cercato di dare visibilità a tali modelli all’interno del sistema dell’arte ufficiale, attraverso mostre personali e collettive in gallerie e musei.
L’hacker art è fatta dalle persone, non dal singolo artista, non è un oggetto creato da qualcuno, ma un modello sociale in atto, un modello sociale rappresentato da un termine che si riempie in esso di senso. Non è un modello mio, io ho solo provato a dare un nuovo nome a un’attitudine millenaria già esistente. Ho cercato di far entrare nel sistema dell’arte la documentazione e pubblicità di questi modelli, per mantenere fuori dal mercato il modello sociale stesso. Il risultato è stato più o meno fallimentare: il prodotto, il modello, non è stato compreso se non da una cerchia ristretta che non aveva bisogno di essere convinta.
L’hacker art ha funzionato meglio fuori dal sistema dell’arte: nelle reti di movimento, così come nell’ambito della didattica. In questi luoghi si è diffusa e continua a crescere in infiniti rivoli totalmente separati dall’hacker art stessa.
È più facile fare hacker art dando una carezza alla propria figlia, che non facendo una mostra in galleria.
Quale è stato, negli anni, il suo rapporto con altri artisti vicini all’Hacker art?
Ho trovato maggiore sintonia negli ambiti di movimento, così come tra gli intellettuali, o tra alcune persone sinceramente di fede, comunque tra persone che non si definivano artisti e che io considero invece essere più artisti di molti altri.
Con gli artisti di solito mi sono trovato d’accordo quando ci si scordava di esserlo. Con alcuni si è lavorato in gruppo e sono state esperienze molto belle, da cui ciascuno ha tratto grandi benefici ed esperienze ma, ripeto, ciò è avvenuto quando era un lavoro di gruppo fuori dalla riconoscibilità del sistema dell’arte.
Sono rare le persone che ho conosciuto, e con cui ho collaborato all’interno del sistema dell’arte, che, secondo la mia opinione, riescono a gestire in modo degno la loro qualifica di artista nel contesto dell’hacker art. Tra questi ve ne sono alcuni che stimo molto, come ad esempio Giuseppe Chiari. Ma non sono loro che si sono avvicinati all’hacker art. Piuttusto, è il termine hacker art che ha cercato di allargare il suo significato per cogliere quanto c’era di buono nel loro agire.
Nel 1997 lei ha rinunciato al corrispettivo in denaro del Premio Gallarate donandolo per il potenziamento delle attività del sito “Isole nella Rete” . A tal proposito, perdoni il gioco di parole, quanto è importante fare “rete” tra i vari progetti che intendono utilizzare l’arte come strumento per progettare azioni politiche?
Con tale donazione volevo esplicitare l’idea che dovesse cambiare il ruolo ufficiale dell’artista: da produttore di merce in mediatore di un trasferimento di risorse.
La mia riflessione partiva dall’aver constatato che le migliori proposte artistiche stavano avvenendo fuori dal sistema dell’arte e che il sistema dell’arte ufficiale era un sistema in grado di produrre quasi esclusivamente denaro e visibilità. A ciò si affiancava un sistema della cultura (e della gestione politica di tale settore) che seguiva più o meno esclusivamente delle logiche clientelari che non per forza favorivano le migliori potenzialità che il territorio offriva.
Di conseguenza intravedevo la possibilità che il ruolo dell’artista potesse andare a sostituire quello politico dei vari assessorati alla cultura, così come dei musei, o comunque dei luoghi in grado di offrire risorse al mondo dell’arte, per diventare soggetti mediatori in grado di riorientare il flusso delle risorse verso le situazioni più meritorie nel territorio.
Il problema reale è, infatti, il denaro come forma mediatrice dei rapporti umani. Che la principale risorsa non è il denaro, ma la solidarietà reciproca. Alla base di quell’operazione credo dunque vada valorizzato il tentativo di far riflettere sulla necessità di sostituire la produzione di oggetti/mediatori simbolici, quali sono le opere d’arte materiali, con la tensione verso il dono, verso il prossimo, immateriale e disinteressata. Per cercare di venire incontro alla tua domanda, la necessità di fare rete, sotto tale punto di vista equivale alla necessità che ogni essere umano si doti di tale tensione verso il prossimo.
Il principio alla base del suo lavoro Hacker Art BBS è stato rendere fruibile l’arte digitalmente. Crede che oggi ci sia ancora bisogno di fare questo tipo di operazioni?
Se per “arte” intendi la creazione di relazioni, la capacità di trasmettere senso e di dare agli altri la possibilità di dare senso alla realtà in modo autodeterminato, così come tutte le altre cose già citate prima e di tante altre ancora da dire, allora sono d’accordo che ciò sia stato il principio base di Hacker Art BBS e che ancora oggi sia necessario fare questo sia in rete che nella vita reale.
Se invece intendi la BBS come il luogo dove poter fruire di un immagine, un suono o una musica artistica resa in formato digitale, allora non sono d’accordo che ciò sia stato il principio base della BBS. Quelle sono cose di cui sicuramente c’è bisogno e sono utili, anche ai fini della possibilità di trasformare l’attuale modello economico e sociale, ma non era quello il principio base. Quella era una delle forme dell’indice che indicava la luna, ma la luna era un’altra cosa.
Vede fattibile l’idea di realizzare un Net Strike oggi?
Si, ma non attraverso la rete, bensì nel rifiuto quotidiano di sottostare a ogni forma di dominio.
Ciò che si deve occupare non è la banda larga, ma gli spazi del proprio vivere quotidiano. Più saremo a farlo e più il Life Strike funzionerà.
Cosa consiglia ai giovani artisti che desiderano coniugare il proprio percorso artistico con il mondo della tecnologia?
Ai giovani consiglio di Indagare per prima cosa il territorio della propria anima e di quella altrui. Solo dopo, provare a capire come la tecnologia può diventare un luogo da abitare e in che modo.
Tommaso Tozzi
immagini: (1) Adesivo ‘Hacker Art’ con scritta subliminale “Rebel!” di Tommaso Tozzi, all’interno di un’opera collettiva di mail art realizzata da un altro artista (2) Tommaso Tozzi, 419695 – fanzine d’arte per segreteria telefonica, 1987 (3) Tommaso Tozzi, «Hacker art», 1989 (4) Tommaso Tozzi, Installazione multimediale all’interno dell’ascensore, mostra collettiva «Soggetto Soggetto», a cura di Francesca Pasini e Giorgio Verzotti, Castello di Rivoli, Torino, 1994 (5) Tommaso Tozzi, «Hacker Art BBS», 1990 Presentazione al C.S.A. Ex-Emerson nel 1993, video da youtube (6) Tommaso Tozzi (ideato e coordinato da), «Happening digitali interattivi», 1992; Musica collettiva di: Giuseppe Chiari, Tommaso Tozzi, Ludus Pinsky, Messina (Radio Gladio), Lion Horse Posse, Tax (Negazione), FM (Pankow), Simonetta Fadda, Roberto Costantino “Le Role”, M.G.Z. (Far), Alessia/Andrea Avanzini, Helena Velena (Cybercore), Gaiani, Trans xxx, Marco Cesare (Juggernaut), De Luca, Fantin, Denni (Gronge), Michele Mariano, Mercuri, R.N., Steve Rozz, “Chip” Boni, Massimo Cittadini, Mikeletron, gli utenti di Hacker Art BBS, Bertoni & Serotti, Le Forbici di Manitù, Luca Pangrazzi, Pedro Riz a Porta, Nannelli, Andrea Marescalchi, Carlo Nati, Maurizio Montini, Antonio Glessi (Giovanotti Mondani Meccanici), Musica & Immagine, Leddi (Stormy Six); Testi collettivi di: Agenzia di comunicazione antagonista, Vittore Baroni (Rumore), Bedini (Gronge), Carlo Branzaglia, Tsche@Streik (Officine Schwartz), Mace (Trap magazine), Roberto Marchioro (Amen), Luigi e Oliver (Nautilus – Lega dei Furiosi), Gabriele Perretta, Marco Philopat (Decoder), Roberto Pinto, Spalck (Pankow), Francesca Storai, Angela Valcavi (Informe), Paolo Vitolo, Gabriele Bramante (Wide Records), Andrea Zingoni (Giovanotti Mondani Meccanici) Autoprodotto da Tommaso Tozzi con la collaborazione di Leonardi V-idea, Neon, Silab, Paolo Vitolo, Wide Records; saggi di: Tommaso Tozzi, Vittore Baroni, Giuseppe Chiari, Jumpy Velena, Gabriele Bramante, Raf Valvola, Damsterdammned, Centro di Comunicazione Antagonista, Gabriele Perretta, SolowMace – Trap Magazine, Paolo Vitolo, Marco Bedini, Per Nautilus: Luigi e Oliver, Massimo Cittadini, Marco Philopat per Cox 18 (7) Tommaso Tozzi, «Strano Network», sito, 1994 (8) Tomaso Tozzi, «La politica si fa anche senza armi, L’arte si fa anche senza le gallerie», Firenze, 1990 (9) Tommaso Tozzi, «Cellule sociali», 2008