«L’inconsapevolezza dell’espressione e’ una condizione sine qua non dell’opera d’arte?» si chiede Massimo Mila in «L’esperienza musicale e l’estetica».
Per Maria Fux, danzatrice, coreografa e danzaterapeuta argentina – a cui Ivan Gregolet ha dedicato il suo primo lungometraggio Dancing with Maria – il ritmo esterno ai nostri corpi è proprio quella volontà inconsapevole di cui Mila parla, condizione sine qua non dell’opera d’arte. Presupposto che esclude in sé ogni intento espressivo, ma che è rivelazione ritmica in sé. La danza di Maria Fux è l’ascolto del ritmo esterno – involontario, declinato in movimento, fluido e liquido.
Si tratta dei battiti in cui bisogna inserirsi, muovendosi fra l’ascolto e la cautela, fino a sviluppare un legame di appartenenza con il ritmo dell’aria. Lo scarto è fra ciò che è necessario e ciò che è accessorio. La sola espressione implicita basta alla realizzazione dell’opera d’arte, la sola espressione esplicita non basta: è il limite fra arte e tecnica.
Quel movimento che Ivan Gergolet, regista sloveno-italiano, ha seguito con una telecamera fino ad entrare a fatica nell’anima di Maria Fux, nel suo insegnamento e filmarne il corpo in movimento, che è un’operazione tutt’altro che facile.
Il docu-film Dancing with Maria (2014) si sviluppa quasi in una ricerca della Fux e delle sue intenzioni. L’idea è sempre di spingersi al di là del limite. Ascoltare ciò che sta fuori da noi per accordarlo a ciò che sta dentro.
Alle sue lezioni figurano donne e uomini di ogni categoria, invalidi, ciechi e sordi. E’ una danza dal sapore universale, che si serve del vento, ovvero sia delle frequenze dell’aria, oltrepassando il limite fisico della musica.
E fra il poetico e l’incisivo Maria invita a danzare, facendo come le foglie secche che non hanno bisogno di musica, ma di vento per muoversi. Percepire il vento è percepire quella matrice esterna involontaria, e farla entrare dentro di sé.
L’autore delle musiche, Luca Ciut, ha creato una traccia per ogni personaggio[1].
Ogni brano, fra il pizzicato e il melodico, ricrea il movimento mutevole e sicuro del vento e insieme detta un ritmo deciso alle sequenze, specialmente a quella finale: una panoramica su una strada di Buenos Aires, invasa da musica e da coreografie spontanee e assolutamente perfette.
Per la composizione delle musiche si è ispirato ai racconti del regista Ivan Gergolet e alle parole che Maria Fux offre nel film, «poche frasi ma con un peso specifico, parole che sono state accuratamente centellinate per raccontare una storia che è fatta di emozioni, a volte anche molto intime, generate dalla danza». «Quello che ho cercato di ricreare è stato da un lato l’intensità di questo mondo interiore che le protagoniste vivono o hanno vissuto nella loro vita, da un lato la portata universale del messaggio di Maria Fux, una persona che ci insegna cosa significhi abbracciare la diversità», afferma Ciut. La colonna sonora riflette questa diversità, oscillando tra un mondo intimo e delicato a brani di grande respiro orchestrale «perché c’erano tanti elementi che il film raccontava e io con la musica volevo raccontarli tutti».
Potrebbe succeder che qualuno vi spenga la musica o ve ne metta che non vi piace. Nel primo caso, continuate a ballare nel silenzio, nel secondo accordatela al ritmo dello spazio e, magari, disperdetela nello stesso.
A volte c’è così tanto buio da costringerci a muovervi ciecamente. E’ in quei casi che dobbiamo muoverci piano senza paura, acuendo la percezione del ritmo interno e di quello esterno, di chi ci danza a fianco e pure di chi ci intralcia.
Tocchiamo il tempo, plasmiamolo, ogni giorno diversamente, senza pensare a cosa ne è uscito ieri. Ogni volta sarà diverso, e sarà meraviglioso.
Questo, più o meno, sembrano suggerirci Maria Fux e Dancing with Maria.
Se tutto si muove e cambia a livello di atomi, bastano le nostre mani nell’aria per modificare tempo e spazio, o quanto meno la sensazione che abbiamo di essi.
Se fosse nata negli anni ’90 probabilmente Maria Fux si sarebbe servita della tecnologia per favorire l’espressione del corpo e la sua libertà di movimento. C’è chi ha ideato e sviluppato un software per favorire la danza di tutti, anche di chi ha una motilità ridotta, ma non vuole rinunciare a muoversi e a generare armonie. Si tratta di Robert Wechsler, coreografo e danzatore, giovane sperimentatore di tecnologia interattiva. Fondatore della compagnia di Danza Palindrome, protégé di Merce Cunningham e John Cage, inventore e direttore del metodo The Motion Composer, software definito insieme a esperti di movimento, compositori e terapisti.
Un desk-top facile che legge i movimenti e li traduce in musica, con opportune distinzioni e riconoscimenti. Un aiuto per tutte le persone con disabilità di diverso tipo (paralisi cerebrale, afasia, autismo, tetraplegia, cecità, morbo di Alzheimer e di Parkinson).
Ne nasce ogni volta un’opera d’arte diversa in cui lo scarto della propria consapevolezza espressiva è sempre la condizione necessaria perché l’opera si sviluppi.
A confermare che il corpo stesso è strumento musicale, che si può danzare nel più totale silenzio e comporre musica senza saperlo. Con la sua alta risoluzione e la tecnologia a bassa latenza, anche le persone con gravi disabilità o con capacità cognitive limitate, vengono stimolate e incoraggiati dall’esperienza.
Dancing with Maria è diretto dal monfalconese Ivan Gergolet, prodotto da Igor Prinčič dalla goriziana Transmedia, in coproduzione con David Rubio (Imaginada Films, Argentina), Miha Černec (Staragara, Slovenia), sostenuto dal Fondo Audiovisivo FVG e distribuito da Exit Media.
[1] Qui la colonna sonora: https://soundcloud.com/luca-ciut/sets/dancing-with-maria-press-kit/s-15Mal