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Home News Focus

La parola nella video arte III

Francesca Gallo by Francesca Gallo
23/03/2016
in Focus
La parola nella video arte III
Arshake ha il piacere di pubblicare l’ultimo di tre appuntamenti con Francesca Gallo che ripercorre, attraverso l’analisi di lavori seminali, il ruolo della parola [scritta e parlata] nella video arte. Potete accedere qui alla leggere la prima parte del saggio e qui alla seconda parte.

[youtube id=”ZMAU2SfkXD0″ width=”620″ height=”360″]

…Nonostante quanto più volte sottolineato, il linguaggio verbale può svolgere una funzione narrativa anche nel video d’autore. Gli esempi sono molti, fra tutti mi piace ricordare Measures of Distance (1988) di Mona Hatoum, che complice la plasmabilità dell’immagine elettronica – si caratterizza per una sapiente mescolanza di elementi biografici e politici. Immagini, voci e lingue, grafie e tempi si intrecciano nel video, costituito paradossalmente dal susseguirsi di immagini fisse in dissolvenza. In ogni frame, brani delle lettere scambiate fra l’artista e sua madre si sovrappongono alle immagini sfocate di quest’ultima sotto la doccia. Parallelamente, nel sonoro, si alternano la registrazione delle conversazioni in arabo fra le due donne e la voce di Mona Hatoum che legge la traduzione inglese delle lettere in cui la madre le racconta la vita familiare a Beirut, nei mesi del 1981, e le confida riflessioni su temi come il rapporto fra i sessi o l’identità personale. Nel palinsesto visivo, il testo manoscritto diventa quasi l’equivalente di un velo che si frappone fra la telecamera e il corpo nudo, le cui fattezze femminili evocano archetipi sessuali e materni, più che sollecitare voyerismo.

[youtube id=”PQGnFbzszrg” width=”620″ height=”360″]

Già nel registro visivo di Measures of Distance, quindi, ricorrono segni identitari espliciti – come la grafia araba – vergata su fogli di carta di cui, in elettronica, rimane solo una esile griglia, una sorta di rete che sembra sostenere e trattenere, ad un tempo, emozioni, parole, ricordi affidati alla corrispondenza.

A tal proposito, bisogna ricordare che la calligrafia araba, persiana o indiana, talvolta anche gli ideogrammi cinesi e giapponesi sono stati usati dagli artisti come elementi identitari, soprattutto a partire dagli anni Novanta in poi, all’interno di una crescente emergenza di espressioni artistiche extraeuropee, anche nel campo della videoarte[1].

[youtube id=”pTTdj6KnjYc” width=”620″ height=”360″]

 Nel video di Mona Hatoum, come in altri che usano la formula dello scambio epistolare, si sente l’eco di uno dei primi film di Chantal Akerman, la regista sperimentale belga da poco scomparsa, che nel 1977 realizza News from home, usando come colonna sonora la propria voce off che legge le lettere che la madre le scriveva mentre Chantal si era trasferita a New York. La voce è spesso sopraffatta dal sonoro in presa diretta della metropoli, dato che il registro visivo è formato da un montaggio di spezzoni a camera fissa dei luoghi frequentati da Chantal. Nel film, a differenza che nei video che vi sto presentando, la corrispondenza mantiene l’unidirezionalità: nel senso che Chantal possiede solo le lettere che la madre le ha spedito e usa solo queste, un dialogo quindi monco perché mancano le missive scritte dalla figlia. Il che rende disarmonico il tutto, come un forzato soliloquio, una richiesta di contatto disattesa.

[youtube id=”KAZtzI0cJQ8″ width=”620″ height=”360″]

 La corrispondenza epistolare è anche il filo conduttore del monumentale Take Care of Yourself (2007) presentato da Sophie Calle alla 52° Biennale di Venezia, che probabilmente ha contribuito a diffondere poi un nuovo interesse per il linguaggio verbale nel video. Sophie Calle è tra le più titolate a comparire nella presente selezione, poiché ha iniziato la sua carriera nell’area della Narrative Art in cui documentazione fotografica e testi scritti convergono nella descrizione e narrazione – più o meno fittizia o poetica – di eventi biografici, esperimenti, racconti e così via.

In occasione della Biennale di Venezia del 2007, Calle viene invitata a rappresentare la Francia e, nel padiglione nazionale con la complicità di un curatore sui generis, l’artista Daniel Buren, allestisce una sorta di biblioteca alla Borges, un labirinto di suoni, immagini e testi. Una messa in scena corale dei sentimenti di disperazione, di solitudine, del dolore tipico della fine di una relazione amorosa. Le protagoniste sono un centinaio di donne che l’artista ha coinvolto nell’elaborare una propria, personale e professionale risposta all’email con cui la Calle era stata lasciata dal compagno. Se alcune delle donne coinvolte decidono di scrivere a Sophie, o di parlarle, altre preferiscono piuttosto sublimare l’identificazione danzando, recitando, componendo musica…  Take Care of Yourself, infatti, non è un’opera video, ma una istallazione multimediale in cui il video gioca un ruolo importante, perché restituisce le mille forme diverse con cui queste donne reagiscono al medesimo messaggio: c’è chi scrive, chi parla, chi danza o canta.

Qui la corrispondenza cartacea è stata sostituita dalla mail, ma il disequilibrio resta, non c’è un vero scambio di messaggi, ma piuttosto il rispondere ognuna a modo proprio alla mail indirizzata a Sophie Calle. Sono tante, quindi, le voci che possiamo fermarci ad ascoltare, non tutte parlano, molte ci costringono a leggere o a interpretare il movimenti del loro corpo[2].

 Verte ancora sullo scambio paritario di corrispondenza uno dei lavori più noti della video arte giapponese, Video Letter (1982-83) che raccoglie le vere videolettere scambiate fra due celebri poeti e scrittori nipponici, Shuntaro Tanikawa e Shuji Terayama. Le videolettere erano un genere molto diffuso in Giappone, ed è stata la produttrice Katsue Tomiyama a sollecitare i due in questa direzione. La corrispondenza si conclude naturalmente, ma drammaticamente con la morte di uno dei due.

Il video – composto da 16 lettere-frammenti, rispettando l’alternanza dello scambio epistolare, come mostra ogni volta l’intestazione del destinatario – rivela diversi aspetti dei protagonisti, sia tramite la loro voce – ognuno invece di scrivere, registra ciò che vuole dire all’amico – sia tramite le immagini: foto personali, oggetti, dettagli. Nonostante la diversità del tono della voce e dei registri linguistici, nonché del paratesto iniziale, molto spesso lo spettatore è confuso, non sa più bene chi dei due stia parlando, nota acutamente Raymond Bellour alla cui penna questo lavoro deve molta della sua popolarità in Occidente[3].

Tale frequente scivolamento delle identità è dovuto anche al fatto che la regista Katsue Tomiyama ha selezionato per Video Letter alcuni frammenti epistolari in cui lo scrivente si interroga sulla propria identità, attraverso l’indugiare sulle foto e sulle carte di identità, sui frammenti del proprio corpo; e sovente tale inchiesta esistenziale avviene mettendosi a confronto con il destinatario. Il risultato è appunto lo sfocarsi l’uno nell’altro.

Donatella Landi, Mio caro, Mia adorata, 2013-14

 A proposito della biunivocità della corrispondenza, mi piace citare il lavoro di Donatella Landi, un’artista italiana che lavora con diversi media, con una certa predilezione per le installazioni sonore e per il video. Nella sua produzione più recente, il linguaggio verbale svolge un ruolo fondamentale, ma non nella maniera che potremmo aspettarci: cioè non attraverso attori che interpretano se stesse o altri, ma piuttosto prediligendo la voce off, fuori campo, mentre la telecamera indugia sui dettagli del sottobosco, compiendo un lento giro su se stessa,  come nel caso di Mio Caro, Mia Adorata, un lungo video del 2013-2014 presentato recentemente all’Auditorium Parco della Musica, in cui l’autrice ripercorre l’intenso amore giovanile fra i suoi genitori[4].

Poco prima di sposarsi costretti dagli eventi a una forzata separazione, per mesi i due si sono scambiati appassionate lettere, con quell’ardore e fiducia nel futuro che connota una certa fase della vita e dell’innamoramento. La componente emotiva, tuttavia, viene sublimata nel video nel paesaggio, mentre nulla ci viene svelato dei protagonisti né di chi presta loro la propria voce, sempre lontano dalla telecamera.

L’artista era già intervenuta sul sentimento intimo dell’amore di coppia con Je t’aime, je t’aime del 1999, una doppia proiezione simultanea, di un uomo e di una donna che dichiarano il proprio amore ripetendo la frase del titolo. Ma la particolarità è che lo spettatore si trova al centro di una inquietante scambio di personalità, perché alla figura maschile corrisponde una voce femminile e viceversa.


[1] Cfr. F. Gallo, Mona Hatoum, Measures of Distance, in Dossier Anniottanta, a cura di S. Chiodi http://www.doppiozero.com/dossier/anniottanta/mona-hatoum-measures-distance-1988.

[2] Cfr. Sophie Calle, pubblicato in occasione della mostra itinerante Sophie Calle: Talking to Strangers, London 2009.

[3] R. Bellour, Fra le immagini. Fotografia, cinema, video, Brun Mondadori, Milano 2007, pp. 272-280 (ed. orig. Paris 2002).

[4] Cfr. http://www.donatellalandi.it/works/video_installazioni.html


Immagini e video
(homepage cover and 5) Donatella Landi, Mio Caro, Mia Adorata, 2013-2014, still from video (1-2) Mona Hatoum, Measures of Distance, 1988, video extract from you tube, movie and text from Ubuweb (3) Chantal Akerman, News from Home, 1977, video extract from youtube (4) Sophie Call, Take Care of Yourself, documentation of the Venice Biennial Pavillon, 2007 by http://www.vernissage.tv (5) Donatella Landi, Mio Caro, Mia Adorata, 2013-2014, still from video
Tags: arsChantal AkermanDonatella LandiFrancesca GallohistoryMona HatoumparolaSophie Callevideovideo artvideo arteword
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