Oggi, il settimo di otto parti di una riflessione critica di Antonello Tolve che ripercorre il rapporto tra arte, tecnologia e natura nella storia, attraversando una serie di produzioni artistiche rivolte alla relazione tra uomo e ambiente, dalla Land Art alla Transgenetic art e al Bio Activism.
Affini a questi progetti che lavorano sulla metamorfosi e sulla depurazione del paesaggio sono anche molte forme di architettura ecosostenibile orientata verso la storia filosofica del giardino e la sua conformazione attuale. Viste come strumento prezioso di ritorno al luogo antropologico e esistenziale, come territorio utile a sacrificare il segno della singola disciplina per dare spazio a collaborazioni capaci di riqualificare e restaurare il tessuto territoriale urbano e non, le tattiche offerte nel campo dell’urbanistica e dell’architettura – tattiche in cui l’arte contemporanea entra nel vivo del team interdisciplinare sin dalla fase progettuale e non come mero arredo cittadino – rappresentano oggi un altro reparto avanzato della riflessione, sia dal punto di vista estetico che funzionale. Interrogarsi sul luogo e riproporlo al pubblico come interrogativo (Buren)[1], proporre sollecitazioni visive all’interno della società, mostrare con uno sguardo trasversale alternative possibilità di vita rappresentano le vie seguite da una nuova comunità che, memore dell’insegnamento socratico di Le Corbusier, propongono un miglioramento della qualità urbana, architettonica, paesaggistica e sociale, trasformando le loro opere in pratiche colturali e culturali. L’insediamento ecologico di Gartnerhof progettato da Helmut Deubner, le abitazioni sociali di Linz (sulla Holzstrass) disegnate da Herzog, le Residenze Bedzed di Dunster (a Londra), il quartiere Scharbruhl di Eble (a Tubinga) o il nuovo concept scolastico realizzato da Anna Heringer e Eike Roswag (il METI – Modern Education and Training Institute di Rudrapur, in Bangladesh) sono tutte modelli di bioarchitettura[2] che nascono per ottimizzare il rapporto tra l’edificio ed il contesto, per salvaguardare il territorio, per impiegare con moderazione le risorse naturali (acqua, vegetazione, clima) e per privilegiare il benessere psicofisico delle comunità.
Esempio lampante di queste strategie bioarchitettoniche è il giardino verticale concepito per la parete d’ingresso del Musée du quai Branly di Parigi, uno delle più importanti istituzioni al mondo dedicate alle arti e alle civiltà primitive d’Africa, d’Asia, d’Oceania e delle Americhe. Affidato da da Jean Nouvel al botanico Patrick Blanc che, seguendo il concept del progetto architettonico (si tratta di un complesso architettonico che ricopre una superficie di 40600mq e si divide in quattro edifici, simboli dei continenti), ricopre 800mq di parete con un manto di vegetazioni differenti provenienti da Cina, Giappone, Stati Uniti e Europa centrale, la superficie d’ecointervento si presenta come un maestoso arazzo vivente, come un muro che respira, come una vera e propria foresta verticale. Rivestito con intelaiatura metallica che sostiene delle lastre di PVC coperte di due strati di feltro per dare alle radici delle piante un appiglio e svilupparsi, la facciata lungo la Senna del museo è un grande giardino di 650 metri ricoperto da oltre 15 mila piante di quasi 200 specie diverse provenienti da ogni Continente.
Il premio Pritzer di Jean Nouvel non è soltanto un agglomerato architettonico museale, ma anche un complesso ecosostenibile che, grazie ai pannelli fotovoltaici collocati sui tetti e sulle facciate o alle sonde geotermiche nel sottosuolo, contribuisce a rendere ancora più green l’impatto visivo e invita lo spettatore ad assistere ad uno spettacolo esemplare e contemporaneamente ad interrogarsi sulla vivibilità di un centro urbano (sulle modalità di pianificazione e di progettazione dei suoi spazi pubblici), sul ruolo delle nuove tecnologie al servizio della società e sul futuro del mondo. [In uno stile (e con uno spirito) non troppo dissimile da quello offerto dalle pareti di Patrick Blank è l’effetto prodotto dalle enormi sculture botaniche come Puppy (1992-1997) di Jeff Koons, un Terrier West Highland di dodici metri ricoperto di fiori che fa da guardia all’ingresso principale del Guggenheim di Bilbao].
Un episodio altrettanto interessante è quello offerto, in Italia, dall’avventura (e dall’impegno) di Piero Gilardi che, con il PAV / Parco d’Arte Vivente[3], porta non solo alla naturale continuazione dei suoi tappeti natura (tappeti che si sporgono sul mondo per farsi materia pulsante e viva, sguardi vivi «su uno spazio perduto e, insieme, “fede” nella scienza»)[4], ma anche all’apertura d’una nuova strategia comunitaria che, ai margini di Torino, esplode come un site specific extramuseale volto a prendersi cura dei luoghi e dei suoi abitanti. Ad educare la comunità, attraverso le regioni dell’arte, ai bisogni primari, all’etica, alla politica, all’ecologia: «in una mobile relazione tra arte, scienza e partecipazione attiva dei fruitori» che rappresenta l’«apertura al vivente, ai suoi processi e alle sue trasformazioni»[5]. Nato nel 2003 (dopo l’esperienza maturata nell’elaborazione del progetto IXIANA)[6], all’indomani del convegno internazionale di studi dedicato ad un panorama che va Dalla Land Art alla Bioarte[7], il PAV pone l’accento sul vivente in tutte le sue varie declinazioni per intersecare, all’interno di uno stesso corpus estetico, i luoghi della natura, dell’arte e delle nuove tecnologie. Di una formula trinitaria che, in un’area ex-industriale di circa 23.000mq, genera un jardin en mouvement suggerirebbe Gilles Clement, i cui «umori variabili»[8] schiudono un piano progettuale legato, via via, al bioma, all’ecosoft, ai paesaggi del corpo-ambiente, all’evoluzione e alla metamorfosi dell’habitat. All’ethos stesso del vivente[9], infine, che rappresenta, mi pare, non solo il disegno di Gilardi, ma anche la speranza, la luce culturale del mondo a venire[10].
[1] D. Buren, Limites critique, éd. Yvon Lambert, Paris 1970; trad it. in «Data. Pratica e teoria dell’arte», a. II, 2 n. 5/6, estate 1972, p. 40ss.
[2] Sulle questioni legate alla bioarchitettura e alla bioedilizia si rinvia almeno ai più recenti volumi R. V. Moore, La forma della sostenibilità, Officina, Roma 2014; F. Burrelli, A. Galante, A. Marata, F. Venunzio, a cura di, Abitare Biotech. Valorizzare la qualità dell’abitare nei condomini, Edizioni Ambiente, Milano 2014; A. Sferra, Obiettivo quasi zero. Un percorso verso la sostenibilità ambientale, Franco Angeli, Milano 2013; G. Luca, Casa ermetica o traspirante?, Alinea, Firenze 2008; Bianca Bottero, a cura di, Progettare e costruire nella complessità. Lezioni di Bioarchitettura, Liguori, Napoli 1994 e G. Galanti, a cura di, Saper credere in Architettura, quarantasette domande a Ugo Sasso, CLEAN, Napoli 2003.
[3] Per una visione ampia del Parco si rinvia a bioma. Pensieri, creazioni e progetti per un Parco d’Arte Vivente, PEA, Torino 2005 e C. Cravero, a cura di, Parco Park Parc. Arte e territorio di resilienza urbana, Eventi&Progetti Editore, Biella 2010.
[4] A. Trimarco, Pav, ethos del vivente, in «il Giornalista», 26 febbraio 2012, p. 3.
[5] A. Trimarco, Pav, ethos del vivente, cit., p. 3.
[6] Progetti / Parco d’Arte, in «parcoartevivente.it», linkato il 25 agosto 2015, alle ore 19:47: «A partire dal 1985 inizia una ricerca artistica con le nuove tecnologie attraverso l’elaborazione del Progetto IXIANA che, presentato al Parc de la Villette di Parigi, prefigura un parco tecnologico nel quale il grande pubblico poteva sperimentare in senso artistico le tecnologie digitali».
[7] Si vedano, per tali questioni, I. Mulatero, a cura di., Dalla Land Art alla Bioarte, Atti del Convegno internazionale di studi tenuto a Torino, presso la Sala Conferenze della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, il 20 gennaio 2007, Hopefulmonster Editore, Torino 2007.
[8] G. Clément, La Sagesse du Jardinier, L’Œil Neuf éditions, Paris 2004; trad. it., Il giardiniere planetario, 22publishing, Milano 2008, p. 23. Dello stesso autore si vedano gli indispensabili Manifeste du Tiers paysage, éditions Sujet/Objet, Paris 2004; trad. it., Manifesto del terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata 2005; Le jardin en mouvement. De la Vallée au Champ via le parc André-Citroën et le jardin planetaire, 1991, Sens&Tonka, Paris 2007; trad. it., Il giardino in movimento, Quodlibet, Macerata 2011 e Jardins, paysages et génie naturel, Collège de France / Fayard, Paris 2012 (OpenEdition books / Texte intégral, books.openedition.org/cdf/510); trad. it., Giardini, paesaggio e genio naturale, Quodlibet, Macerata 2013.
[9] Per maggiori chiarimenti e per una panoramica sulle varie attività del PAV si rinvia a C. Cravero, a cura di, Ecosoft Art. Un parco in movimento / A park in movement. 2006/2008, cat. della mostra curata da P. Gilardi presso il PAV (dall’1/11 al 2112/2008), Eventi&Progetti Editore, Biella 2008; C. Cravero, a cura di, G.O. / Growing Out. Evoluzione di un parco in movimento, cat. delle mostre tenute al PAV (dal 31/10 al 31/12/2009), Eventi&Progetti Editore, Biella 2009; C. Cravero, a cura di, Traeter Naturam / Brandon Ballengée, cat. della mostra tenuta al PAV (dal 07/07 al 10/10/2010), Eventi&Progetti Editore, Biella 2010; C. Cravero, a cura di, Paesaggi del corpo- ambiente / Body-Nature Landscapes, cat. delle mostre tenute al PAV (dal 12/012011 al 26/02/2012), Eventi&Progetti Editore, Biella 2011 e C. Cravero, a cura di, L’ethos del vivente / Ethos of the Living, cat. delle mostre tenute al PAV (dal 29/02/2012 al 13/01/2013), Edizione PAV, Torino 2012.
[10] Riprendo qui, in parte, alcune riflessioni pubblicate nel mio La linea pedagogica dell’arte contemporanea, Quodlibet, Macerata-Roma 2015.
Questo è il settimo di otto appuntamenti di una riflessione critica di Antonello Tolve che ripercorre il rapporto tra arte, tecnologia e natura nella storia, attraversando una serie di produzioni artistiche rivolte alla relazione tra uomo e ambiente, dalla Land Art alla Transgenetic art e al Bio Activism. Puntate precedenti:Quando la natura diventa arte # 1; Quando la natura diventa arte # 2; Quando la natura diventa arte #3; Quando la natura diventa arte #4, Quando la natura diventa arte #5, Quando la natura diventa arte #6
Immagini (cover 1) Piero Gilardi, Greto di fiume, 1967, Poliuretano espanso, 170x170x20 cm, Courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi (2) Museo Quai Branly, Parigi, vertical garden di Patrick Blanc (3) METI, – Modern Education and Training Institute di Rudrapur, in Bangladesh (4) Piero Gilardi, Angurie, 1967, Poliuretano espanso, 200x200x25 cm, Courtesy Fondazione Centro Studi Piero Gilardi