L’opera d’arte “nell’epoca della sua riproducibilità digitale” sembra essere destinata a una fruizione sempre più immersiva, coinvolgente, spettacolare. Il sogno di entrare nel quadro, di vedere lo spazio pittorico diventare realtà, affascina, meraviglia e attrae. Lo vediamo al cinema, ma anche nelle mostre che ci promettono esperienze multisensoriali: spazi multimediali in cui i dipinti prendono vita e nei quali poco o niente rimane delle opere originali, trasformate in mere superfici luminose.
E se le tecnologie digitali fossero usate per penetrare la struttura più profonda di un’opera, per comprendere la sua genesi e il suo contenuto? Nella mostra Impressionism in the age of industry: Monet, Pissaro and more, che si è da poco conclusa a Toronto all’Art Gallery of Ontario, è stato esposto il dipinto Le Pont de l’Europe di Gustave Caillebotte, proveniente dalla collezione Ghez e realizzato nel 1876. Dei tablet sono stai messi a disposizione del visitatore per entrare nell’opera tramite un sistema di realtà aumentata: puntandoli verso la tela ci si accorgeva, dopo poco, che non si stava più inquadrando la superficie pittorica bensì la sua ricostruzione virtuale. A quel punto lo spettatore poteva interagire, muovere il dispositivo a 360° e osservare lo spazio tridimensionale che, letteralmente, lo circondava.
Il sistema è stato il frutto di un lungo e complesso lavoro di ricerca di Claude Ghez, neuroscienziato, professore emerito della Columbia University e proprietario del Musée du Petit Palais di Ginevra, e di Pietro Galifi, fondatore e direttore artistico – insieme ad Alessandro Furlan e Stefano Moretti – della casa produttrice Altair4 Multimedia.
L’indagine di Ghez e Galifi, cominciata nel 2013[1], nasce dalla necessità di sondare la percezione di uno spazio pittorico che presenta delle ambiguità: Caillebotte sceglie come soggetto principale un ponte di recentissima costruzione e raffigura un’area urbana che in quegli anni era in continua trasformazione e che non ha smesso di cambiare, apparendo tutt’oggi differente. In più, pur applicando le leggi della prospettiva, egli costruisce il suo dipinto come un puzzle, combinando più punti di vista: il principale è quello che guarda verso la trave, la vera protagonista dell’opera, con il suo intreccio di strutture metalliche. Ma non è l’unico se è vero che le linee che guidano lo sguardo dello spettatore sono quelle di una prospettiva a fuga centrale, di cui però viene tagliata la parte sinistra.
Il lavoro di Ghez e Galifi è partito da una ricostruzione filologica dello spazio dipinto sulla base di fotografie, documenti d’archivio e schizzi preparatori. Con i dati raccolti è stato realizzato un dettagliato modello 3D del ponte e delle aree circostanti che ha permesso, grazie ad appositi software, l’individuazione dei punti vista utilizzati dal pittore per la realizzazione dell’opera. La ricostruzione virtuale, con la quale Galifi ha una più che trentennale esperienza con il gruppo Altair4 Multimedia, è diventata uno strumento d’indagine e comprensione, oltre che di supporto alla fruizione e divulgazione. La ricerca su Caillebotte è proseguita in questi anni fino alla recente elaborazione del sistema di realtà aumentata esposto a Toronto e di uno di realtà virtuale che permette di immergersi nello spazio dipinto da Caillebotte con un visore.
L’esperienza di Galifi con l’immagine digitale ha origine già negli anni Ottanta quando con Altair4 ha partecipato alle prime sperimentazioni di computer art in Italia, proprio mentre l’informatica stava diventando un fenomeno di massa. Da quel momento ha attraversato e seguito le evoluzioni della computer grafica senza mai perdere di vista i riferimenti storici: non è un caso che egli ami citare Maldonado e la sua idea di ricondurre la virtualità ai sistemi di rappresentazione che hanno attraversato tutte le epoche. Secondo Galifi la realtà virtuale rappresenta una rivoluzione in quanto svela i meccanismi della nostra percezione, esattamente come la fotografia ha fatto ai tempi di Caillebotte. «Oggi con la realtà virtuale viviamo la stessa rivoluzione» afferma Galifi «perché scopriamo che lo spazio che ci circonda non solo lo vediamo, ma lo sentiamo con tutto il corpo».
Attraverso i sistemi virtuali è possibile indagare il rapporto tra spazio pittorico e spazio reale: il dipinto ha una sua reale collocazione che viene ricostruita virtualmente. Si riattualizza così la metafora albertiana della finestra e il dipinto, da superficie piana oggetto di proiezione, diventa oggetto di uno sguardo che l’attraversa.
[1] P. Galifi, C. Ghez, Decostructing Gustave Caillebotte’s Le Pont de l’Europe (1876), in Gustave Caillebotte : impressionist in modern Paris, catalogo della mostra, Ishibashi, Fondazione Museo dell’Arte Bridgestone, 10 Ottobre-29 dicembre 2013, Tokyo 2013, pp. 230-241.
immagini: (cover 1) Modello 3D con sovrapposta immagine Hélios, «Le Pont de l’Europe vu de la gare Saint-Lazare», 1865, prova su carta albuminata, Bibliothéque historique de la Ville de Paris (2) Modello 3D, «Le Pont de l’Europe», viewed from Saint-Lazare station, 1876 (3) Gustave Caillebotte, «Pont de L’Europe», Privatbesitz, Aufnahme nach Restaurierung September 2012 (4) Paris, – Le Pont de l’Europe (Gare St-Lazare), v. 1905, carte postale (5) Modello 3D, Le Pont de l’Europe nel 1905 (6) Modello 3D, Composizione e distribuzione dei diversi punti visuali utilizzati da Caillebotte nella stesura del dipinto (7) Sistema di realtà aumentata esposto nella mostra «Impressionism in the age of industry: Monet, Pissaro and more», Gallery of Ontario, Toronto