Lo vedi subito, prima di entrare: nelle vetrine del negozio, sotto i portici delle Procuratie Vecchie in Piazza San Marco, le macchine da scrivere e le calcolatrici hanno lasciato il posto alle sculture.
In occasione della 59a Biennale di Arte di Venezia, nel negozio Olivetti, piccolo scrigno trasparente progettato da Carlo Scarpa tra il 1957 e il 1958 e affidato in concessione al FAI da Assicurazioni Generali, si incontrano i percorsi artistici di Lucio Fontana e Antony Gormley sotto la curatela di Luca Massimo Barbero.
I temi sono molteplici e riferibili tutti allo spazio: il corpo, il segno, il tempo, l’assenza, raccontati dalla scultura e dai disegni e custoditi magistralmente dall’architettura.
Entri, la luce filtra dalle vetrine, riflessa dai materiali, dalle tessere vitree dei pavimenti i cui colori definiscono le zone del negozio: il rosso è per l’ingresso.
Il corpo come membrana elastica ed espansa nello spazio è presente in diverse declinazioni. Nudo al sole di Viani, scultura in bronzo dorato sul basamento in marmo nero del Belgio, installato da Scarpa, dialoga con l’imponente figura dormiente di Gormley, Rice. È l’opera più grande esposta nella mostra e risale al 1984: un corpo che giace supino, un calco in gesso protetto da un rivestimento in piombo e scandito dalle saldature ortogonali. Tutta la ricerca dell’artista inglese si fonda sul rapporto tra il corpo e lo spazio “cercando di far entrare lo spazio architettonico nel corpo o il corpo nell’architettura”, racconta Gormley.
Più in là, sugli espositori disegnati da Scarpa, in vetrina, i meravigliosi nudi in gesso di Fontana del 1926: opere delicate che rompono l’ortogonalità dell’architettura.
Non solo il corpo, ma una concatenazione di spazi, quelli architettonici resi preziosi dai dettagli, dalle tessiture, dall’uso dei materiali: marmi, pietre, marmorini, superfici a calce e a mosaico, diverse essenze di legno, metalli, cristalli. E poi la scala i cui i gradini in pietra d’Aurisina, concepiti come piani sospesi, si fanno scultura e invadono lo spazio.
Al piano superiore, il mezzanino è illuminato da una finestra circolare che affaccia sulla piazza: una luce filtrata dalla schermatura scorrevole in teak che sparisce nello spessore del muro e illumina uno spazio dedicato ai disegni. I Workbooks dello scultore inglese sono pagine di “annotazioni frettolose di pensieri, idee e sensazioni oppure tentavi di capire il mondo” sottoforma di schemi, griglie e rilievi. Poetici, invece, sono i disegni di Lucio Fontana: gli appunti per il Manifesto tecnico dello Spazialismo del 1951, lo Studio per esposizione spaziale del 1948. Disegni attraverso i quali lo scultore racconta della sua volontà di arricchire lo spazio, superando le tre dimensioni vitruviane.
Il ballatoio permette di percepire una sequenza di spazi, per arrivare a quelli più raccolti del retro che ospitano Scultura astratta del 1934: Fontana disegna con un gesto in fil di ferro lo spazio, per alterarne la traiettoria, anticipando Ambiente spaziale del 1951 alla Triennale di Milano.
Full Bowl, di Gormley, è una scultura del 1977 che cerca di colmare il vuoto attraverso una serie di ciotole concentriche, quasi fossero onde sulla superficie di un liquido.
Attraverso le scale, ripercorri lo spazio a ritroso. Uno spazio che, secondo lo scultore spazialista, è espansione dell’esperienza fenomenica dell’arte, elemento necessario per arrivare ad una dimensione eterna attraverso il gesto.
Lucio Fontana / Antony Gormley, Negozio Olivetti, Venezia (59a Biennale di Venezia, fino al 27 novembre, 2022
immagini: (All) Lucio Fontana / Antony Gormley, Negozio Olivetti, installation view, photo © Ela Bialkowska – OKNOstudio