Si è appena conclusa a Milano Invideo – Mostra internazionale di video e cinema oltre, quattro giornate, dal 17 al 20 novembre, dedicate alla più recente produzione video. Sorta nel 1990, prima della nascita del web e della diffusione del digitale, Invideo è ormai giunta alla sua ventiseiesima edizione, resistendo ai mutamenti della cultura visiva che internet ha generato e rappresentando tutt’oggi una delle più importanti manifestazioni dedicate alla sperimentazione audiovisiva. La forza di Invideo è proprio nell’attenzione dei suoi direttori, Romano Fattorossi e Sandra Lischi, alle più diverse declinazioni del video, dalle sue forme più affini al cinema, alle sue contaminazioni con la cultura di internet, tanto che uno dei focus proposti quest’anno è stato dedicato ai rapporti tra arte e videogame, a cura di Roberto Cappai.
Le seduzioni, questo il tema attorno a cui Invideo 2016 ha fatto ruotare la sua programmazione (a cura di Elena Marcheschi), declinato naturalmente nelle più disparate accezioni, dalla seduzione degli sguardi, a quella dei corpi, passando chiaramente per quella più ovvia: la seduzione della tecnologia nell’epoca della tecnocultura.
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Così si è passati dai video amatoriali rubati dai social network e montati da Wildlife Control in Particles (2015) alle spettacolari elaborazioni grafiche dei paesaggi scomposti da Persijn Broersen & Margit Lukács (Estabilishing Eden, 2016), dalle cinepitture di Tymon Albrzykowski (Ink Meets Blank, 2016), dichiarato omaggio agli esperimenti di un secolo fa di Arnaldo Ginna e Bruno Corra, all’animazione nelle tre dimensioni delle pennellate astratte di Daniel Iván (Haiku, 2015).
Non è mancato neppure un filone più narrativo che avvicina il video al cinema e non è un caso che altrove si parli piuttosto di cortometraggio, come nel Festival International du Court Métrage di Clermont-Ferrand, a cui Invideo ha reso omaggio dedicando un focus presentato dal fondatore Georges Bollon. Il premio Under 35, che Invideo dà ai giovani autori dal 2007, è stato conferito proprio a un’opera più narrativa, Hotaru (2015) del francesce William Laboury, una fiction sperimentale fantascientifica che riconduce a un tema presente, in modo più o meno esplicito, in molte delle opere proiettate a Milano: la trasformazione dell’identità umana, delle sue facoltà intellettive e delle sue passioni nell’era delle nuove tecnologie.
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A questo tema sembra sottilmente alludere anche la complessa animazione di Antoine Dalacharley che in Ghost Cell (2015), già premiato quest’anno al festival di Clermont-Ferrand, ha trasformato Parigi in una città spettrale dove una fitta rete di linee bianche (il web?) trasfigura e disumanizza ogni cosa. Riflessioni del genere riecheggiano anche nelle opere di Alessandro Amaducci, teorico e videoartista italiano a cui Invideo ha dedicato una retrospettiva: musica elettronica e corpi femminili che si muovono in scenari immaginari incarnano una nuova identità digitale, in bilico tra l’umano e il virtuale.
La varietà di linguaggi e tecniche presenti a Invideo riflette l’ampio ventaglio di possibilità offerto dalle attuali tecnologie e disegna uno scenario impensabile fino a qualche decennio fa: da una parte la possibilità che tutti abbiamo di produrre un video con mezzi estremamente accessibili e user friendy, dall’altra il raggiungimento di un’elevata complessità dei software di elaborazione grafica che producono effetti estremamente sofisticati. Proprio le possibilità offerte dall’uso del computer fanno dell’animazione uno dei filoni più emergenti. A chiusura della selezione internazionale, prima del finale tutto dedicato alla proiezione di Love is All. Piergiorgio Welby, autoritratto di Francesco Andreotti e Livia Giunti (2015), è stato mostrato l’ultimo video di Alain Escalle, grande esperto di animazione computerizzata, autore di opere che si nutrono della storia dell’arte, in cui i dipinti vengono animati in modo spettacolare. In Final Gathering (2016) Escalle abbandona gli scenari iperrealistici e riporta la pittura al suo aspetto più materico, creando atmosfere cupe in cui le solo presenze sono ombre evanescenti.
A completare la programmazione di Invideo, due performance videomusicali del cileno Matias Guerra e dello studio di visual design milanese KARMACHINA (accompagnato dalla musica dei Fernweh) si sono tenute rispettivamente giovedì e sabato sera. Curiosamente ispirate entrambe a due nomi storici del cinema, Stanley Kubrik e Maya Deren, le sonorizzazioni live di immagini video hanno trasportato il pubblico in un’esperienza più immersiva della semplice contemplazione.
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Dopo quattro intense giornate di proiezioni e incontri, resta dunque da chiedersi quale sia il futuro del video o meglio, stante la certezza della sua longevità e pervasività, ci si può chiedere piuttosto come stiano mutando i canali e le modalità di fruizione: se il video è oggi letteralmente a portata di mano, anzi a portata di clic, il coinvolgimento dello spettatore diventa sempre più urgente.
immagini (cover 1) Persijn Broersen, Margit Lukács, Establishing Eden, 2016 (2) Wildlife Control (Neil and Sumul Shah), Particles, 2015 (3) Daniel Iván, Haiku, 2015 (4) William Laboury, Hotaru, 2015 (5) Antoine Delacharlery, Ghost Cell, 2015 (6) Alessandro Amaducci, Pagan Inner, 2010