L’abuso d’informazione dilata l’ignoranza con l’illusione di azzerarla.
Carmelo Bene
Il potenziamento dei nuovi mezzi di comunicazione ha svolto negli ultimi trent’anni una serie di passi in avanti – e sappiamo benissimo che si parla di passi gulliveriani – la cui corsa evolutiva non solo ha prodotto sempre più efficaci strumenti di discussione planetaria, assecondati da un forte impulso finanziario il cui fine è quello di immediatizzare lo scambio di informazioni (e naturalmente di capitali), ma ha anche accorciato le distanze, accartocciato la visione temporospaziale della corrispondenza interpersonale e annullato dunque l’attesa informazionale per favorire una libertà «visceralmente legata all’elasticità, al flusso, al nebuloso, al trasparente.
Ad un pensiero soffice e a modalità estetiche che prediligono il confronto e mirano a vaporizzare il proprio campo d’azione all’interno di un affascinante panorama mondiale che, in alcuni casi, inquieta»[1]. Ad un formidabile prodigio a cui la communitas mondiale assiste da tempo (almeno da quando il grande burattinaio interattivo è passato da un regime di natura militare a uno di ordine sociale) e assieme commenta plaudendo ed alza il calice (Gozzano), fa infatti da contraltare la degenerazione di un massiccio controllo sulle singole esistenze, la spia in agguato – come non pensare ai vari cookie attenti a memorizzare dati e a fornire statistiche pubblicitarie ai vari persuasori occulti – che si insinua come una neoplasia nell’organo ufficiale (e ufficiosamente voluto dall’amministrazione mondiale) per monitorare le singole coscienze e spingerle verso un allarmante pensiero a senso unico, verso una preoccupante società dello spettacolo senza contenuto, del consenso, del conformismo, del qualunquismo. In questo assopimento e ottundimento mediatico il privato lascia via via il posto al pubblico e ad un eccesso che porta alla cancellazione della privacy, al desiderio di vetrinizzazione personale e di prostituzione culturale, all’apparente libertà di scelta e ad una altrettanto apparente libertà d’azione.
Alla vertiginosa nascita di nanotecnologie e di dispositivi o di palinsesti televisivi nati come miceti per migliorare la piattaforma sociocomunicativa legata all’infosfera e offrire maggiore agio o intrattenimento ad un pubblico particolarmente esigente, fa séguito dunque – e forse non si tratta nemmeno di un séguito ma di un preambolo stabilito a tavolino dai funzionari grigi della dumbocracy – una trappola mortale ‘assorbinformazioni’ che condiziona e impigrisce le menti migliori, che promette ad ognuno, e con la sua storia individuale (a tale told by an idiot, full of sound and fury, signifying nothing verrebbe da dire usando le parole fornite da Shakespeare nel suo Macbeth), di essere al centro dell’attenzione di musei immaginari – è il caso dell’applicazione Intel The Museum of Me che ha fatto impazzire il popolo Facebook (oggi è censurata) – o dei vari salotti televisivi come quelli dei monocellulari amici-nonni-cugini-cognati-sorelle-nipoti di Maria.
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Dalla neotelevisione alla rete con i suoi social network e l’illusione di utilizzare i vari data leaks che, a detta di molti, offrono «una maggiore libertà di coscienza e dunque di potenziale opinione e comportamento conseguente su questioni di interesse pubblico»[2] (ma siamo sicuri che la democrazia reale aiuta la democrazia reale? si chiede Enrico Galavotti)[3], il mondo attuale della comunicazione – e la comunicazione ha preso il posto dell’azione – ha costruito una stanza senza pareti, un cielo enfatico, un clima seduttivo, un’atmosfera democratica che nasconde al suo interno tutto il peso di una civiltà fondata sul principio di una libertà che annulla paradossalmente le basi stesse della libertà.
… to be continued …
[1] A. Tolve, Ubiquità. Arte e critica d’arte nell’epoca del policentrismo planetario, Quodlibet, Macerata 2013, p. 7.
[2] F: Marinuzzi, Libertà o dittatura dalla rete?, in «marinuzzi.it», linkato il 2 aprile 2016, ore 20:12.
[3] E. Galavotti, La dittatura della democrazia. Come uscire dal sistema, Homolaicus (Creative Commons Attribution 2.0) / Lulu 2014 p. 157.