In tutte le fasi dell’opera di Magdalo Mussio, il rapporto tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra visione pratica e attenzione teorica si confonde sulla superficie di un racconto emotivo, sul solco di un infinito intrattenimento metodologico e collaborativo, sulla temperatura rovente di un dispositivo estetico che sorpassa l’esclusivo processo di trasformazione delle cose per disegnare una eterotopia cosmografica e disporre simultaneamente di un patrimonio visivo che contiene e trattiene la presenza del passato, la nostalgia del presente, la sensibilità visionaria del futuro, il freddo sapore dell’ora preumana. Guadando la storia del suo fare è possibile percepire immediatamente un flusso continuo e inarrestabile di sollecitazioni, di ricerche incrociate che oscillano tra gli archetipi dell’immaginario collettivo (tra l’originario e l’originale) e le esigenze transemiotiche di un artista la cui onnivora attività intellettuale è riuscita a costruire negli anni uno spazio espressivo, unico nel suo genere, che assorbe al suo interno la revisione degli stilemi avanguardistici, i lasciti della stagione informale, la parabola dell’atmosfera verbovisiva (e della visione multicodica) degli anni ’60 e ’70.
Dall’editoria alla grafica creativa (come non ricordare i modelli sperimentali offerti nella redazione del marcatrè, la rivista diretta da Eugenio Battisti, o gli straordinari impaginati della casa editrice La Nuova Foglio), dalla poesia alla prosa, dalla pittura alla scenografia, dal teatro alla videoanimazione, dalla scultura all’insegnamento, per giungere via via, tra il 1975 e il 1995, al felice sodalizio con Alfio Vico e Lucy Passett della Galleria Il Falconiere (dove approdano alcuni dei nomi più interessanti dell’arte – Yarrott Benz, Giosetta Fioroni, Eliseo Mattiacci, Fabio Mauri, Suzanne Santoro, Mario Schifano e Nanda Vigo ne sono esempi evidenti), l’attività interdisciplinare e sentitamente indisciplinata di Mussio, incarna l’esigenza di riflettere sulla storia delle cose, sulla leggerezza e la trasparenza della parola, sulle trame dell’archiviazione, sulla lingua del ricordo scordato, del numero dimenticato, della parola immaginata.
Uscite da una lampisteria dei sogni, da un pensiero che si sofferma sulla soglia del pensiero per leggere – del pensiero stesso – i flussi e gli innumerevoli ragionamenti del quotidiano, le immagini prodotte da Magdalo Mussio trattengono e tratteggiano la cultura di massa, la «memoria di un codice» da decifrare, il silenzio traforato dal buio della mente, il gusto alchemico della sapienza materiale, la parola ricercata e detta per caso, il «terrore della propria immagine», l’attesa atavica dei segni.
Come apparizioni su superfici sempre diverse che costituiscono una vera e propria cartografia poligrafica – cartografo amanuense della differenza è l’etichetta applicata all’artista da Alberto Signorini nel ’91 – le sue opere catturano lo spettatore e, quasi a creare una tattica di accerchiamento laterale della realtà, lo invitano in un territorio magico dove tipografia, macchina da scrivere e scrittura manuale si intersecano ad architetture impossibili, a brani poetici, a preesistenze e assenze necessarie, al sapore tiepido della cancellatura, al capriccio della ragione, allo «speciale rapporto con l’errore» del chiarevalli monodico e al difetto eccezionale.
Questo saggio di Antonello Tolve accompagna la mostra «Magdalo Mussio. Lampisteriè», a cura di Antonello Tolve, GABA.MC – Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Macerata (Piazza Vittorio Veneto, 7), Italy, fino al 5 aprile, 2016.
Immagini (tutte), «Magdalo Mussio. Lampisteriè», exhibition view at GABA.MC – Galleria dell’Accademia di Belle Arti di Macerata, exhibition view, photo by Emanuele Bajo