Tenendo per mano il sole invita il pubblico ad “ascoltare con gli occhi” le storie intessute di Maria Lai. La mostra, curata da Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli, congiunge i fili di una narrazione plurale divisa in cinque capitoli che ripercorrono il lavoro della donna-tessitrice a partire dagli anni Sessanta. Il canto silenzioso dell’artista sarda – di cui quest’anno si festeggia il centenario dalla nascita – risuona nello spazio fluido del MAXXI con una raccolta di oltre 200 lavori che ruotano intorno alla tradizione, alla memoria e al gioco che Lai praticò con la ‘serietà’ degli adulti. Le sculture, le tele, le fotografie e le videointerviste in mostra animano l’ampia antologia che si conclude oltre lo spazio del museo, nella dimensione relazionale degli interventi ambientali realizzati da Maria Lai.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, in un periodo in cui la figura femminile occupava uno spazio marginale nel mondo dell’arte, Maria Lai torna in Sardegna dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Venezia sotto la guida dello scultore Arturo Martini. Lai ancora la sua poetica nella tradizione orale e artigianale della sua terra natale. I Telai raggruppati nel primo capitolo della mostra – intitolato Essere è Tessere. cucire e ricucire – intonano un inno alla creazione e alla tecnica. La manualità e la materialità non lasceranno mai la ricerca di Maria Lai, la quale continuerà, sino alla sua scomparsa nel 2013, a sperimentare nuovi supporti per la sua scrittura visiva quali il tessuto, la terracotta, il pane e la plastica.
Si avvicina all’aspetto ritmico della narrazione con l’utilizzo della voce nelle animazioni che costruisce insieme al regista Francesco Casu e con la scrittura di spartiti musicali. Il filo, disegnato o ricamato, rimane un elemento onnipresente nel corpus di lavori presentati al MAXXI. Dopo i Telai, l’artista inizia a cucire i suoi Libri e le sue Fiabe traendo ispirazione dalle storie, miti e leggende della Sardegna. Compaiono allora le mitiche Janas che Lai ricama con pazienza e rigore a partire dagli anni Ottanta. Munite di telai, queste fate della mitologia sarda “giocano a fare le donne.”
La tessitura, cosi come la panificazione (Il Cimitero dei Bambini, 1977) diventano attributi dell’archetipo femminile e della sua forza generatrice. Le divinità che popolano le grotte della foresta rocciosa di Ulassai, entrano nelle Fiabe assumendo la forma di porte sacre che raccolgono pezzi di universo per farne offerta agli uomini. Le Janas evocano l’elemento femminile che attraversa e fonda tutta l’opera di Maria Lai, ma anche la sua concezione di arte come dono. In questo periodo si afferma la componente sociale che nel 1981 porterà l’artista a “mettere gli abitanti all’opera” in quella che oggi è considerata una delle prime istanze di arte relazionale in Italia. Ispirandosi a un racconto locale, Lai invitò gli ulassesi a congiungere le loro abitazioni e a circondare la montagna con un nastro celeste nell’azione Legarsi alla Montagna che mette in luce tutta la tensione dell’essere insieme.
Prima di arrivare alla documentazione audiovisiva e fotografica di quest’opera seminale, la mostra introduce le Geografie che ritraggono universi astrali immaginifici imitando il linguaggio geometrico dell’astrologia. Come nei Libri cuciti che illustrano una forma di scrittura senza parole, le Geografie sono un invito al viaggio, allo sconfinamento dello spazio verso un altrove ineffabile. Lai utilizza diverse forme di linguaggio e, svuotandone il contenuto, costruisce un archivio mnemonico aperto alla partecipazione del lettore. “L’arte è indicibile” – dice una carta de I Luoghi dell’arte a portata di mano. Maria Lai inventa il suo proprio linguaggio che attraverso il segno, il simbolo e il ritmo, oscilla tra memoria collettiva e poesia.
Maria Lai. Tenendo per mano il Sole, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli, Museo MAXXI, Rome, 19.06.2018 – 12.01.2019
immagini: (cover 1) Maria Lai al lavoro su una delle rampe de La scarpata, UIassai, 1993. Photo Maria Sofia Pisu (2) Maria Lai, «Telaio del meriggio», 1967. legno, spago, tela, tempera. cm 100 x 153 x 20. Collezione Fondazione Stazione dell’Arte. Photo credit Tiziano Canu. Courtesy Fondazione Stazione dell’Arte © Archivio Maria Lai by SIAE 2019 (3) Maria Lai, «Tenendo per mano il sole», 1984-2004. filo, stoffa, velluto cm 33 x 63. Collezione privata. Photo credit Francesco Casu. Courtesy Archivio Maria Lai © Archivio Maria Lai by SIAE 2019 (4) Maria Lai, «La mappa di Colombo», 1983. filo, stoffa cm 122 x 170. Collezione Fondazione Stazione dell’Arte. Photo credit Tiziano Canu. Courtesy Fondazione Stazione dell’Arte © Archivio Maria Lai by SIAE 2019 (5) Maria Lai, «Senza titolo», 1991. filo, stoffa, tempera. cm 17 x 19 x 2,5. M77 Gallery, Milano. Photo credit Lorenzo Palmieri Courtesy M77 Gallery e Archivio Maria Lai © Archivio Maria Lai by SIAE 2019 (6)Maria lai, «Senza titolo», 1991. filo, stoffa. cm 18 x 16. Collezione privata. Photo credit Giorgio Dettori. Courtesy Archivio Maria Lai