Se è pur vero che le immagini non professano parola, esse affermano mostrandosi. Si palesano a certe condizioni, tali che generino contestualmente e parallelamente uno spazio fisico, di superficie, su cui l’immagine si “fissa”, ed uno di profondità, interno tanto alla superficie del primo spazio quanto alla percezione di chi osserva.
Tale duplicità fa sì che l’immagine – e l’arte più in generale, giacché esiste fra le due un rapporto imprescindibile – sia a metà tra la presenza oggettivata della realtà e l’evasione soggettiva della rappresentazione.
Che l’arte si muova sul filo teso della relazione tra realtà noumenica e realtà fenomenica lo mostrano i Masbedo, i cui lavori inducono a confrontarsi con la natura ontologica dell’immagine. Tensione e conflitto sono la sintesi formale e concettuale della loro ricerca: da un lato terra di confine tra immaginazione e “realismo”, tra verità e verosimiglianza; dall’altro sono la cifra ineludibile del confronto con l’alterità.
E difatti uomini e donne nei loro video si fronteggiano dialetticamente (come in Glima o in Schegge d’incanto infondo al dubbio), sono termini irruducibili di una società che vive il paradosso dell’incomunicabilità (tematica sulla quale i Masbedo hanno realizzato una trilogia: Teorema di incompletezza, Ionesco Suite, Todestriebe), nell’era dell’apparente messa-in-relazione globale. Uomo e donna rappresentano non solo due visioni e posizioni differenti dello stare-al-mondo; più ancora, il loro conflitto è emblema di una realtà narcisista ed egoista, solitaria, incapace di darsi all’altro. L’impossibilità della relazione viene spinta all’estremo sino alla percezione della mancanza, sino a vivere l’abbandono, come accade in The Lack, primo film del duo, uscito nel 2014 ed attualmente inserito nella rassegna Digitalife: LUMINARIA al MACRO Testaccio di Roma.
Diviso in quattro racconti, il lungometraggio ha come protagoniste sei donne, ognuna autrice della propria storia di senso, narrata per immagini. Si svolge in Islanda la prima: Eve affronta la vertigine di un amore tormentato e forse non corrisposto. Dopo aver atteso il suo amante per tutta la notte, con indosso un abito bianco che lui le aveva regalato, abbandona la sua stanza per vagabondare tra i ghiacci, tra i quali lascia andare il suo vestito ormai logoro e trivellato da colpi di fucile; a condividere il suo dolore un telefono che squilla senza risposta. Nel secondo racconto Xiù trascina per le Isole Eolie, sino ad arrivare a Lisca Bianca, un faro proiettore. La donna si confronta col ricordo, con la memoria del passato, un passato carico di sfumature e riferimenti colti, in particolare per il cinema – e il pubblico – italiano, alludendo alla sparizione celebre del faro in “L’avventura” di Michelangelo Antonioni. Nel terzo episodio, il più onirico di tutti, ancora una volta in Islanda, Anja e Nour compiono separatamente un viaggio alla ricerca di se stesse. Entrambe affrontano il distacco da due prospettive opposte: l’una dentro una casa di vetro sull’acqua, l’altra su una barca al di fuori di questa abitazione. Sebbene la natura del loro rapporto non sia esplicitata, si percepisce il loro legame, che si vivifica nell’atto del ricamare; infine nell’ultimo racconto, durante una seduta di psicanalisi Greta e Sarah ricuciono il loro passato spezzato, ripercorrendo la propria vita sin dall’infanzia.
Sono tutte donne sofferenti, ma mai inermi, lontane dallo stereotipo contemporaneo della donna-strega che esercita il fascino e il gioco della sensualità; sono personaggi positivi, nonostante i loro drammi personali, donne-madri che si guardano dentro per affrontare i propri demòni. Ai lunghi silenzi, a cui è affidato il sentimento della mancanza, si intervalla la ricerca del suono – tipica dei Masbedo, le cui opere si completano sempre di musiche inedite, realizzate ad hoc -, ovvero della voce della Natura che non tampona, ma acuisce le sei solitudini. Trait d’union delle quattro narrazioni è il rapporto con il sublime naturale, con ciò che affascina e incanta, ma che al contempo terrorizza per la sua forza e grandiosità: nel film una Natura matrigna, impervia, difficile da domare non solo dà forma – estetica – alla mancanza e alle difficoltà attraverso cui ogni donna deve superare i propri limiti, ma è soprattutto elemento altro che ripristina e alimenta il conflitto.
Una Natura diversa, e per la prima volta umanizzata, è quella di Sinfonia per un’esecuzione, opera realizzata per il MART di Rovereto (visibile sino al 14 febbraio 2016), una video-audio-installazione a tre canali, che si compone anche di un atto performativo (durante la vernice), che ha dato vita a Esecuzione, seconda parte dell’opera, esposta sempre nel Museo. Il progetto, complesso e articolato, nasce dall’interesse degli artisti per la Valle di Fiemme e dalla foresta degli alberi di risonanza, da cui si ricavano da oltre cento anni vari strumenti a corde. L’immersione nella natura è totale, tanto per il fruitore quanto per il protagonista del video, un uomo intento a lavorare scientemente nel bosco. E sebbene la natura sia elemento passivo, nei gesti del boscaiolo non appare l’intenzionalità del domino e della distruzione radicale. Tuttavia l’esecuzione – di quegli alberi – viene messa in atto, ma alla pars destruens si accompagna immediatamente la pars costruens, poiché il fruitore prefigura immediatamente la costruzione di qualcos’altro, degli strumenti musicali pregiati che si ricaveranno da quel legno. La musica, ancora una volta, acquista un valore fondamentale, poiché accompagna nello spazio dell’opera, differenzianone le due parti: la video-audio-installazione è musicata dal compositore Carlo Boccadoro, mentre la performance è un vero e propro atto sinfonico, nel quale gli artisti scelgono di sonorizzare delle immagini di esodi ed esili, create sul momento, avvalendosi della collaborazione dei Marlene Kuntz.
Uno dei problemi più delicati del nostro tempo, come quello dell’immigrazione, analizzato da entrambi i punti di vista, quello di chi fugge dalla propria terra e quello di chi accoglie o riceve questa umanità migrante, diventa momento di rilfessione nel lavoro del duo milanese. E tuttavia ogni opera dei Masbedo non si esaurisce nell’oggettività del reale. La realtà è sempre un appiglio, una parte, mai il tutto: un espediente che permette di divagare e ampliare lo scenario onirico dell’inconscio e dell’immaginazione. Mai esenti da poeticità e lirismo, nei loro lavori si evidenzia il potere delle immagini, che pur inglobate in un’unica narrazione, godono tutte di una irriducibile autonomia, potentissime nella proria forza espressiva, ognuna delle quali appare un mondo-altro, nel quale il fruitore può deliberatamente scegliere di immergersi ed immedesimarsi.
MASBEDO, Sinfonia di un’esecuzione, 2015, courtesy MART Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. 10.10.2015 – 14.02.2016
immagini (all) MASBEDO, Sinfonia di un’esecuzione, 2015, courtesy MART Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto