Nel tracciare una storia della media art, il giovane studioso Valentino Catricalà compie un viaggio indietro nel tempo, attraversa gli antecedenti delle avanguardie del primo novecento soffermandosi, nello specifico, su alcuni autori e lavori, spunti non scontatamente ricollegati alla media art per quanto ormai popolari e assimilati nella cultura contemporanea. Entrano così in scena i Complessi Plastici di Fortunato Depero (1919 – 1925) con i quali l’artista Futurista fuggiva i confini del teatro e del quadro, il Meccano (1921) di Willi Baumeister, pensato come composizione modellata sul rapporto tra movimento e tempo, i prouns di El Lissistzky, spazi di convergenza tra pittura e architettura creati per diversi e ambiti e contesti (teatro, museo, etc.), e l’Optofono di Raoul Hausmann per una pittura elettronica espansa, variante della macchina che traduce l’ottica in suoni.
Il viaggio nella media art prosegue e si sofferma su un altro importante antecedente, l’arte cinetica e programmata, anticamera del consolidarsi di queste sperimentazioni nel termine arbitrario di new media art, o media art. Catricalà attraversa, poi, il periodo che dalla scomposizione del mezzo arriva a produzioni che navigano all’interno di contenuti preesistenti, li compongono e li decompongono con attitudine da vij. Questo momento storico, ormai in corso da più di un decennio, è così accelerato da rendere difficile la sua attribuzione a termini adatti, altri da quelli generici e arbitrari di «post internet», «post digitale», etc. In questo ambito si accenna anche a discipline in Italia ancora poco coltivate, come la «media archeology».
Correndo lungo i binari delle media art, impossibile non soffermarsi sui processi di istituzionalizzazione ai quali Catricalà dedica un intero capitolo. Anche qui, nell’ormai già ampiamente trattata continuità tra istituzionalizzazione e conservazione si aggiungono alcuni riferimenti specifici alle teorie del restauro di Cesare Brandi e di Roberto Pane il quale, in relazione alla conservazione di edifici (Carta del Restauro di Venezia, 1964) pone l’attenzione all’ambiente circostante, al contesto. Da queste teorie Catricalà trae spunti importanti da applicare alla new media, in particolare la conservazione del contesto che in questi nuovi tempi e ambiti può concretizzarsi nella conservazione della memoria di una società che che sta cambiando ad ritmo sempre più celere.
«La ricerca, dunque – chiarisce Catricalà – deve riuscire a cogliere l’ambiente – storico, filosofico, filologico, culturale, fruitivo, tecnologico e pratico – nel quale l’opera ha trovato la sua dimora e dalla quale partire per operare una ricostruzione – o reinterpretazione – scrupolosamente documentata» (p. 119).
Il saggio del giovane studioso viaggia ad un ritmo frenetico, corre contro il tempo che sfugge già all’istante in cui si scrive, attraversa l’argomento toccando punti diversi, oscillando dalla teoria alle produzioni pratiche, creando un continuum con il più ampio spettro dell’arte e della cultura contemporanee. Nelle argomentazioni di Catricalà si estrapolano punti e aspetti peculiari trattati ad un ritmo altrettanto originale, ora correndo e comprimendo grandi quantità di informazioni, ora rallentando per soffermarsi su alcune specificità di produzioni che illustrano la continuità degli eventi e offrono ispirazione per immaginare la continuazione futura.