All’Arter – Space for Art di Istanbul, tra il piano terra e il secondo piano dell’edificio, una grande mostra curata da Eda Berkmen, rende omaggio al lavoro pionieristico di Nil Yalter (Il Cairo, 1938 – vive dal 1965 a Parigi) che, sin dai primissimi anni Settanta del secolo scorso, ha rotto i confini tra i vari linguaggi dell’arte per produrre dispositivi polifonici, transculturali, intrecci e intersezioni che si evolvono in fusioni, in transfusioni, in fonti multietniche e multicentriche. Off The Record rappresenta, accanto all’importante retrospettiva organizzata al 49 Nord 6 Est – FRAC Loranne (05/02–05/06/2016), un ulteriore momento di concentrazione sul lavoro di Nil Yalter, un focus che chiarifica il suo vivace itinerario intellettuale (un suo straordinario video del 1974, La Femme sans Tête ou La Danse du Ventre, è tra l’altro dal 2008 nella collezione dell’Istanbul Modern), il suo elegante progetto che coniuga l’etico all’estetico, il politico all’ontologico, il fenomenologico al patosofico, l’ospitalità a ogni forma di diversità, i saperi sociologici a quelli antropologici e etnografici, la vita personale alle trame della interpersonalità.
Una struttura di dieci monitor è, appena entrati nello spazio, inciampo visivo che investe lo sguardo e marca immediatamente un territorio riflessivo che fa i conti con alcune tematiche di oggi, di eri, di domani. Immigrants (1976-2016) non è infatti soltanto un lavoro quarantennale, ma anche una radicale analisi sulle incertezze, sulle preoccupazioni, sui turbamenti della cultura umana e della sua storia.
Dal video all pittura, dal disegno alla fotografia, dal collage alla performance e all’installazione, il suo lavoro elabora un potente mixaggio mediale, una poliglottia linguistica che nasce da un mondo meticcio, da una condizione umana dove l’uomo non è mera onticità, ma complessa storicità.
Sempre a piano terra, una serie di carte – il titolo generale delle opere è Deniz Gezmiş (1972) – racconta la storia toccante di alcuni giovani rivoluzionari della Turchia che dedicarono le proprie vite alla causa socialista (tra questi spiccano Deniz Gezmiş, Yusuf Aslan e Huseyin Inan) che furono impiccati ad Ankara il 6 Maggio 1972. Seguono, poi, il progetto Orient Express (1976) – dove il viaggio si fa terreno di esperienza e conoscenza e scoperta –, la riflessione estetica di Pixelismus (1996) e il video Shaman (1979), videoperformance realizzata al Museé de l’Homme di Parigi. Tra i vari lavori che costellano il secondo piano – ci sono, ad esempio, Temporary Dwellings (1974), Family Album (1977), Le Chevalier d’Éon (1978), Harem (1979-1980) e Exile in A Hard Job (1983) – La Roquette, Women’s Prison (1974) è un lavoro sulla storia di Mimi, sulla sua vita in una istituzione totale, sul suo pensiero e sul suo percorso.
C’è un’opera in mostra, Circular Rituals (1992), che buca lo sguardo dello spettatore e rivela la poetica sfuggente dell’artista. Si tratta di un testo in doppia lingua, francese e inglese, che racconta la storia di un viaggio, di un nomadismo, di un esilio, di una vita vissuta studiando il mondo in cui le persone scrivono la loro storia nell’imprevedibile visione di un futuro da fare.
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immagini (all) Nil Yalter, Off The Record, 2016, exhibition view, ARTER – Space for Art (Istanbul), photo by Aras Selim Bankoǧlu.