Prosegue l’intervista di Angelo di Bello al collettivo NONE, che oggi si addentra nel delicato rapporto tra creatività e mercato.
…Angelo di Bello: Parlando proprio del lavoro su commissione che differente tipo di approccio avete fra un lavoro su commissione e un lavoro libero?
NONE: A volte se c’è un committente illuminato e che è in grado di delegare, prendendosi le responsabilità della delega, se hai di fronte un committente del genere va bene, ma spesso capita di trovare persone che non sono in grado di affidarsi e quindi il processo si fa molto più complicato perché si passa in mezzo a dinamiche interne di approvazione e di verifica che un po’ snaturano tutto sia l’entusiasmo che il progetto…
…un esempio opposto a quello di Cannes è il progetto che abbiamo fatto per una azienda committente dove all’inizio ci hanno detto: «noi vogliamo un qualcosa di totalmente artistico, abbiamo visto i vostri lavori, ripetiamo quella roba nel nostro spazio». In teoria eravamo liberi però poi alla fine ogni minimo passaggio aveva bisogno di un’approvazione ed è stato un continuo: «eh ma questa musica è troppo inquietante, eh ma qua dobbiamo far vedere che facciamo questa cosa». A quel punto, ti cala completamente l’entusiasmo che puoi avere e quindi alla fine non vuoi nemmeno che spunti il tuo nome, perché noi avevamo proposto un’altra cosa…
…d’altra parte anche le autoproduzioni hanno mille difficoltà. Innanzitutto devi confrontarti con te stesso, devi fare delle scelte che proprio perché non sono conseguenze dirette di richieste da parte del committente risultano più difficili da prendere. Quindi sono lavori molto più profondi, volendo più lenti, però portano poi a una soddisfazione maggiore quando li chiudi. Eppure quando riusciamo a intercettare il business, il mondo del lavoro, le aziende e portiamo all’interno di quei contesti una nostra ricerca, un nostro lavoro, un nostro messaggio, ci da anche più soddisfazione paradossalmente, quando ci riusciamo…
…è il discorso che si diceva, dipende da chi è il tuo interlocutore…
Quindi se facciamo un lavoro per un’azienda, proviamo a portarci dentro una visione critica, una ricerca artistica e estetica, ci possiamo riuscire come non riuscire dipende, però poi quei ricavi li utilizziamo in parte per le autoproduzioni e progetti come Simposio, la nostra soddisfazione è maggiore. Questo spazio è così, funziona al cento per cento così. Non abbiamo mai seguito un modello di business per fare soldi e basta perché probabilmente avremmo fatto altre scelte…
…in fondo la domanda che ci poniamo è: è più libero produrre una tua opera con soldi che hai guadagnato facendo altri lavori o produrre per l’arte perché sai che il mercato vuole quella cosa lì? Non lo so!
Quindi giustamente dite: è più anche gratificante lavorare in maniera seria e rigorosa, con un’idea, per una grande azienda, e non mettersi in quella sorta di magma che è il mercato dell’arte che tende a soffocare tutto. Immagino che questo vi abbia portato anche un po’ a subire un certo ostracismo da parte del mercato.
Per il mercato dell’arte non esistiamo…
…perché le installazioni immersive non entrano nelle gallerie…
…ci proviamo a dire noi esistiamo però se lavori con un’azienda rischi di essere considerato “impuro”…
È un discorso, il vostro, molto rigoroso. Ricorda quello di Gunther Anders nel suo non accettare mai o quasi i premi letterari, per non cadere nella spirale del fare ciò che chi ti ha premiato si aspetta da te. In questo senso vi mantenete liberi e, nonostante le critiche che potreste incontrare dal mondo ufficiale dell’arte, vi permette anche di fare dei progetti coraggiosi.
…noi però non ci chiudiamo al mondo dell’arte nel senso che c’è un discorso anche di applicazione: un mondo in cui puoi sviluppare delle cose su scala minore, andare a definire l’oggetto. In fondo la forza dei lavori è dirompente, nel senso che se c’è roba c’è ascolto, c’è interesse. Noi andiamo avanti anche perché è un modo per portare avanti concept che altrimenti verrebbero persi anche perché le opere immersive hanno una vita brevissima…
…si! È effimero…
…giusto il tempo dell’allestimento poi chissà: Deep Dream fatto una sola volta, No Strata chissà se lo rifaremo; invece J3rr1 è a dimensione di opera d’arte, oggetto da museo, da galleria e sta girando il mondo.
…to be continued…
(Prossimo e ultimo appuntamento con Angelo di Bello in casa NONE, giovedi 14 febbraio, 2019)
NONE è un collettivo italiano di architetti estremamente poliedrico, interessato a ricercare i confini dell’identità, il rapporto uomo-macchina, quello tra cinema e arte, e tutto quanto i cambiamenti della storia e delle tecnologie che le danno forma si presti al loro sguardo. Operano in una varietà di campi, dalle installazioni immersive all’organizzazione di simposi con professionisti di diversi ambiti, critici, artisti, produttori, organizzatori, pensatori. Guidati da spirito di ricerca e di sperimentazione la loro identità di dispiega man mano che il lavoro va avanti e che la loro creatività è chiamata ad entrare in diversi ambiti e discipline. Angelo Di Bello li ha intervistati nel loro studio. La loro conversazione è pubblicata su Arshake in 4 puntate di cui questa è la terza. Nella prima parte (Quattro Chiacchiere in Casa NONE. Part ) il collettivo ha raccontato del suo modo di operare e ha introdotto due importanti progetti: Hybrid Space, realizzato per Toyota e No Strata, concepito per lo spazio Farol Santader a San Paolo del Brasile. Nella seconda parte (Quattro chiacchiere in casa NONE. Part II)ha raccontato del suo rapporto con la materia, e della ricerca di equilibrio tra racconto e i mezzi di fruizione, in particolare attraverso Lo Specchio della Nostra Natura, opera operazione per il Padiglione Italiano di Cannes (2017).
immagini: (cover 1) NONE collective, «J3RR1 una tortura programmata», photo: NONE collective (2) NONE, Simposio, photo: Cristina Vatielli (3) Simposio, Ultravioletto. photo: Cristina Vatielli (4) Simposio, Luciano Lamanna. photo: Cristina Vatielli ( (5) Simposio, Otolab. photo: Cristina Vatielli (6) Simposio, Quiet Ensemble, photo: Cristina Vatielli (7) NONE, Deep Dream, ACT II. Digitalife, Romaeuropa Festival. photo: Cristina Vatielli