Prosegue conversazione tra Angelo di Bello e il collettivo NONE. Il gruppo di architetti si racconta, questa volta, attraverso il loro rapporto con la materia, e la loro ricerca di equilibrio tra racconto e i mezzi di fruizione. Il racconto arriva ai retroscena di Lo Specchio della Nostra Natura, opera operazione per il Padiglione Italiano di Cannes (2017) che ha portato assieme cinema e arti visive.
…Angelo di Bello: Luci suono e materia per voi sono la base, come vivete il rapporto con luci suono materia e tecnologia?
NONE: Sicuramente non siamo i feticisti della tecnologia che devono assolutamente lavorare sul limite di una tecnologia o sull’errore, questo no. Usiamo la tecnologia ma in modo più libero; infatti sicuramente facciamo cose molto futuristiche ma con una tecnologia antichissima. Effettivamente sentiamo sempre il bisogno di avere qualcosa di fisico, non facciamo mai ad esempio solo una proiezione, però questo studio della forma che si dirige verso una fisicità non è obbligatorio, ci viene abbastanza naturale nel combinare la parte più materica con la tecnologia…
…Cerchiamo di trovare un equilibrio fra quello che vogliamo raccontare e i mezzi di fruizione Quali sono i mezzi? I sensi percettivi dell’uomo, quindi è su quello che si lavora e su stimolare nuove percezioni. Il fatto è che noi ci poniamo in un ambito (quello della categoria arte immersiva) che è quello delle tecnologie e dell’arte, dell’opera d’arte utilizzata per stimolare esperienze. Esperienza è una parola che è stata fagocitata dal marketing che ne fa un racconto molto di consumo dell’esperienza. Ciò che noi facciamo è provare a creare degli ambienti in cui vengono stimolate le percezioni al fine di riprodurre una esperienza soggettiva. Ciò che per me ha un significato può essere diverso per un’altra persona…
…un riflesso o piuttosto un video o un materiale, è strettamente legato alla percezione che vogliamo esprimere…
…fin qui è abbastanza universale e forse anche simile al marketing pubblicitario; il fatto è dare a quelle esperienze un senso un po’ più profondo e critico, cercare di creare una connessione fra l’esperienza estetica che ho in quel momento e l’esperienza cinestetica che ho ogni giorno mentre cammino per le strade o per casa mia. Il rischio che cerchiamo di evitare è quello per cui arrivi a ricreare il momento percettivo attraverso gli effetti speciali, le persone ammirano e contemplano l’effetto speciale però questo effetto speciale non ci soddisfa perché non ha un collegamento con un contenuto concreto e reale.
Ma non avete lavori che rimangono legati solo all’effetto speciale. Non mi sembra proprio.
Un esempio. Abbiamo fatto per tanti anni Italian Pavilion di Cannes; l’anno scorso, nell’edizione del 2017, Lo Specchio della Nostra Natura è stato molto apprezzato come lavoro, anzi è stato anche pubblicato a livello internazionale, abbiamo avuto la copertina di Frame…
…articoli su tutte le riviste online…
…è uno di quei cavalli di battaglia per cui alla fine ci chiamano, quell’effetto speciale lì. Noi abbiamo terminato l’installazione, parlando del cinema ma anche del nostro lavoro, mettendoci alla fine la frase «in fondo è solo un trucco» con la voce di…
…Jep Gambardella…
…il punto è lo stupore che comunque tu hai davanti a un ambiente. Aggiungo che tu spettatore riconosci sempre degli elementi cioè una superfice riflessa, il mylar piuttosto che gli schermi piuttosto che il suono ma tutto ti rimanda a altre cose. Il rapporto con l’opera parte proprio da quello, dall’esperienza e da un ricordo che uno può aver avuto. Noi la enfatizziamo, la aumentiamo talmente tanto questa percezione che poi ti disorienta, infatti gli spazi perdono la loro riconoscibilità, messo lì tu non capisci più dove sei, è un luogo ma è anche un non luogo. A quel punto il visitatore si ritrova in delle situazioni che lo fanno esclamare: «wow! Bellissimo!». Questo determina un limite, un limite in cui la forza dell’estetica di quel luogo supera molto spesso, purtroppo, la forza espressiva, di concetto e di messaggio che vuoi dare al luogo; è per questa disarmonia che l’opera può diventare l’ennesima macchina da selfie: lo spettatore, il visitatore non sta più attento a quello che magari può dire l’installazione, a quello che magari è il messaggio piuttosto che esclamare: «wow! Bellissimo!». A Cannes abbiamo lavorato tanto nel trovare delle forme di espressione non legate soltanto allo show, comunque non legate soltanto all’effetto speciale. Siamo partiti da un altro processo, cioè un processo di ricerca, legato appunto al sociale, alla politica e allo stato attuale dell’uomo. Solo quando questo funziona, quando riesci cioè a costruire un oggetto o un elemento che sta all’interno di uno spazio e che dialoga così bene con chi ce l’ha davanti che permette una decodifica o una partecipazione o un legame, quando si stabilisce un legame con questo oggetto, quello soltanto è un progetto riuscito…
…possiamo dire che la nostra installazione di Cannes ci è servita tantissimo a sperimentare, con tutta la fantasia possibile, nuove tecniche. È stata una bella palestra tecnica, di produzione, che ci ha fatto capire diverse cose…
…e non solo tecnica. quello che abbiamo messo a fuoco è il rapporto tra il percorso artistico e il percorso professionale che spesso si sovrappongono. Insomma ci vuole un po’ di consapevolezza in più su questo rapporto, consapevolezza che noi non avevamo. L’avevamo intuito appunto essendoci chiamati NONE, volendo evitare il «none of your business».
In effetti proprio Lo Specchio della Nostra Natura, non è poi semplicemente un effetto. Vedere la magnificazione dei gesti del cinema italiano mi ha stimolato diverse riflessioni: sul guardare, sul comunicare, sul corpo e di conseguenza anche sull’identità. Direi che è un lavoro non solo spettacolare e bello, la componente politica è presente.
Fa piacere sentirlo perché noi siamo decisamente critici verso noi stessi. Abbiamo cercato di parlare dell’italianità vista dall’estero, della capacità di esprimere dei sentimenti con il linguaggio del corpo e al contempo di fare anche una critica interna, è il motivo per cui finisce con «è solo un trucco». Volevamo raccontare anche la vanità dello spettacolo: volutamente una macchina da selfie!
… to be continued …
(il prossimo appuntamento con la conversazione in casa NONE è per martedi 12 febbraio, 2019)
NONE è un collettivo italiano di architetti estremamente poliedrico, interessato a ricercare i confini dell’identità, il rapporto uomo-macchina, quello tra cinema e arte, e tutto quanto i cambiamenti della storia e delle tecnologie che le danno forma si presti al loro sguardo. Operano in una varietà di campi, dalle installazioni immersive all’organizzazione di simposi con professionisti di diversi ambiti, critici, artisti, produttori, organizzatori, pensatori. Guidati da spirito di ricerca e di sperimentazione la loro identità di dispiega man mano che il lavoro va avanti e che la loro creatività è chiamata ad entrare in diversi ambiti e discipline. Angelo Di Bello li ha intervistati nel loro studio. La loro conversazione è pubblicata su Arshake in 4 puntate di cui questa è la seconda. Nella prima parte (Quattro Chiacchiere in Casa NONE. Part I), il collettivo ha raccontato del suo modo di operare e ha introdotto due importanti progetti: Hybrid Space, realizzato per Toyota e No Strata, concepito per lo spazio Farol Santader a San Paolo del Brasile.
immagini: (cover 1,2,4,5,6) NONE, «Lo specchio della nostra natura», 2017, preview studio visit (3,7) NONE – Italian Pavilion, «Lo Specchio della nostra natura», installazione site-specific, Cannes 2017, credits NONE collective