«I templi di Paestum non sono facilmente visibili». E non perché «siano piccoli o» perché «sia complicato arrivarci». Ma perché «sono troppo spesso riprodotti su foto, quadri, filmati». A ricordarlo è Gabriel Zuchtriegel, il nuovo direttore del Parco Archeologico di Paestum che, lo scorso 19 dicembre, assieme a Andrea Viliani, direttore del Madre di Napoli, ha presentato – e proprio a Napoli, nella Sala biblioteca del Museo Madre – Archè di Alessandra Franco (Napoli, 1974), un progetto luminoso che non solo coniuga l’arcaico all’attuale mediante una potente videoinstallazione, ma mira anche a riattivare la percezione dello spettatore, a creare un effetto immersivo, fatto di luci, di immagini pulsanti, di visioni notturne che ridisegnano l’architettura del Tempio di Ἥρα (detto anche tempio di Nettuno).
Dal forte impatto emotivo, l’opera fa brillare la fantasia dello spettatore rendendolo parte di uno spettacolo che allunga la materia immateriale dell’arte contemporanea sulla facciata massiccia del tempio, sulle sei colonne doriche, sull’architrave, sulle metope e i triglifi del fregio, sul timpano contornato dalla sima, per dar vita a un movimento, a un gioco luminoso e cromatico in divenire in grado di trasformare l’immobilità in fluida azione e astrazione, la contemplazione dell’antico in vivace, efficace metamorfosi. «Si tratta di un’esperienza sorprendente», suggerisce Adriana Rispoli, curatrice dell’evento. «Il video coinvolge tutti i sensi e attiva un’architettura silenziosa. Ci sono vari temi narrativi, come la pietra dei templi, il mito di Hera: è una rappresentazione, una performance vera e propria. La pelle del tempio diventa il supporto del racconto, ma è anche lo spazio nel quale lo spettatore deve abbandonarsi».
Con Archè, Alessandra Franco succhia lo sguardo del pubblico in un ambiente fluido e disarmante che ripensa – e invita tutti a ripensare – un documento del passato in chiave contemporanea per prendersi cura, seppur momentaneamente, di un monumento magico che diventa atmosfera, gioco, festa, preambolo felice di un incantesimo ad arte, visione fantastica, stupefacente (e l’arte ha l’esigenza di stupire) formalizzazione emotiva. Decisamente imperdibile, questa sua nuova azione luminocinetica rivisita l’idea del tempo e della durata per smaterializzare l’ambiente e offrire una nuova prospettiva, un nuovo – inedito – disegno che trasforma l’opera in evento, in situazione sociale reale, in luogo dell’apparizione, dove lo spettatore vive consapevolmente la propria presenza.
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