Roma, 25 Novembre 2023. artQ13, spazio indipendente dedicato alla ricerca e alla sperimentazione artistica, presenta la performance Parallel Perspectives. Seen/Unseen. Operazione artistica sfaccettata e caleidoscopica ideata da Britta Lenk, a cura di Angelica Gatto, con i danzatori Luca della Corte e Valentina Sansone e i fotografi Sebastiano Luciano e Giorgio Benni.
Della Corte e Sansone sono centro pratico dell’evento. I loro gesti, i loro movimenti, le loro pause, sono l’alpha e l’omega dell’azione. Raccontano due corpi e la loro relazione, nello spazio, nel tempo e oltre essi. Sempre eleganti nelle movenze e quasi mai sincronizzati, la loro danza essenziale che ondeggia tra la leggerezza dell’esito e la drammaticità della tesi, ci proietta nel vortice umano, tra l’eros e il thanatos dell’esistenza. Forza uguale e contraria, straniamento che rafforza la struttura totale, sono le loro caratteristiche fuori dall’umano, automatiche, marionettistiche. L’essere tutto e il loro contrario li rende espedienti narrativi assoluti, elementi immateriali che acquistano corpo solo quando le loro movenze si avvicinano al pubblico disordinato, concreto per antonomasia.
Il commento sonoro, ideato da Carlo Carolo, elettronico e extra-naturalistico, ricalca la danza (o si potrebbe dire viceversa). È puntuale nella sua asincronicità, resta fondo dell’azione caratterizzandola, anche grazie all’afflusso dell’IA, il suono della parola artificiale, la traduzione cyborg della realtà.
I due danzatori si relazionano, poi, con lo spazio, un interno equilibrato e stupefacente, speculare nelle coordinate longitudinali dello sguardo e altero in quelle latitudinali, con i suoi due piani, la scalinata che si apre sul fondo, il ballatoio a ferro di cavallo, il tavolo di vetro che si trasforma in oblò verso l’alto. Un candore razionalista che si scioglie nel cul de sac postmoderno, che si fa scenografia assolutamente non scontata. Spazio altro che accoglie l’azione scomparendo nel suo senso.
Ma soprattutto, della Corte e Sansone, si relazionano con i fotografi e con l’essenza percettiva dell’immagine. Sebastiano Luciano e Giorgio Benni, occhi tecnici e tecnologici, con le loro protesi fotografiche sempre a censurarne il volto, sono parte dell’azione, nei loro movimenti ellittici ai bordi della danza, a crearne un’altra, di danza, silenziosa e austera. La macchina fotografica di Luciano, chirurgica sui danzatori, è collegata ad un computer che trasmette in tempo reale i dati delle fotografie, proiettate immediatamente sul muro bianco. Benni invece allarga il campo, fotografando l’intera azione e consegnando al pubblico i suoi scatti, alla fine della performance.
Lo sguardo, del pubblico e dei fotografi, sono, in fin dei conti, il centro essenziale dell’evento. Il doppio fuoco (i danzatori da una parte e le fotografie proiettate dall’altra) che a volte diviene triplo (con i danzatori che si allontanano l’uno dall’altro) porta lo sguardo a muoversi tra i diversi punti in maniera repentina, un insieme di meccaniche anatomiche, da quelle dell’occhio a quelle del collo, collaborano nella presa diretta dell’evento, continuamente e senza alcuna pausa.
Ma il centro teorico della performance non può che puntare sulle caratteristiche contemporanee dell’immagine riprodotta. Se guardiamo l’azione effettiva dei danzatori e contemporaneamente la loro traduzione fotografica proiettata sulla parete, di certo ci accorgiamo di star vedendo due cose estremamente diverse. Lo specchio tecnologico trasforma l’aura dei danzatori in frame cristallizzato, trasforma la realtà effettiva in qualcosa di molto diverso, ne muta i parametri esistenziali. E allora il rimbalzare dei nostri occhi tra i fuochi diversi dell’azione – un po’ come nell’ultima scena di quel trattato sulla percezione della fotografia che è Blow Up di Michelangelo Antonioni, quando il protagonista, Thomas, guarda una partita di tennis fatta da due mimi, senza racchette e senza pallina – è metafora di un passaggio di stato impercettibile, è l’entrare e l’uscire da una dimensione all’altra, in quell’universo analogicodigitale in cui esistiamo ma che ancora ci crea, ovviamente, perturbamento.
La bellezza dei movimenti dei danzatori, reale, è solo un eco nelle fotografie, che invece nella loro finzione bidimensionale privilegiano la composizione, il rapporto corpo-contesto. Ma come scrive Angelica Gatto: “nella relazione tra realtà e finzione, azione dal vivo e riproducibilità tecnica, si stabilisce una sovra-dimensione in cui a dominare è la percezione, fittizia o meno, di ciò che si svolge davanti agli occhi del pubblico. Questo corpo collettivo […] si attiva nello scambio silenzioso che stravolge qualsiasi certezza sensoriale”. Dove per “corpo collettivo” intende l’hic et nunc dello scambio relazionale tra tutti gli attori in gioco nella performance. “Un corpo collettivo che entra in cortocircuito con le sue stesse facoltà percettive, iper-sollecitato e incerto su dove si orienterà il proprio sguardo”.
La performance ci mostra con una certa gentilezza una non indifferente complessità della realtà e dell’umano, sempre più in bilico sulla soglia del reale-virtuale, basandosi sull’essenzialità criptica dello sguardo (del pubblico, dei fotografi, dello strumento tecnico). L’ansia della percezione di, come scriveva Georg Simmel un secolo fa, “quell’essere senza confini che vive di confini”.
Immagini (cover – 1) Parallel Perspectives – Seen Unseen, Luca Della Corte e Valentina Sansone (2) Parallel Perspectives – Seen Unseen, locandina (3) Parallel Perspectives – Seen Unseen, Luca Della Corte e Valentina Sansone (4) Parallel Perspectives – Seen Unseen, Luca Della Corte e Valentina Sansone (5) Parallel Perspectives – Seen Unseen, Valentina Sansone