Valentina Gioia Levy ha intervistato Václav Janoščík, curatore ceco, professore di Filosofia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti, Architettura e Design di Praga. Václav Janoščík ha recentemente curato « Return of the object + The Disorder of Things»(Galleria Galerie | Kvalitář, Praga) interessante lettura e teoria sul post internet e sul suo ritorno alla centralità dell’oggetto (artisti: Marisa Olson, Annabelle Arlie, Iain Ball, Delong, Constant Dullaart, Tereza Fišerová, Annabelle Arlie– Evžen Šimera, Martin Kohout, Martin Kolarov – Filip Dvořák, Kristýna Lutzová, Štěpán Marko, Richard Nikl – Jan Brož, Nik Timková – Jakub Hošek, Magdaléna Vojteková, Ted Whitaker)
Valentina Gioia Levy: Secondo il curatore americano Steve Dietz, che nel 1996 fondò il programma di new media art del Walker Art Center, la New Media Art prevede interattività, creazione di reti e calcolo, e spesso ruota intorno al processo più che all’oggetto. La mostra che lei ha curato per la Kvalitar Gallery sfida l’idea di Dietz e si focalizza sul rinnovato interesse negli oggetti che ci circondano, diffusosi in questi ultimi anni. Il nuovo materialismo è sintomatico dell’attuale attenzione che le scienze sociali e le arti visive hanno iniziato a rivolgere alla relazione tra virtuale e reale, tra umano e non umano. L’idea della mostra è influenzata da quella tendenza filosofica chiamata Object Oriented Ontology, secondo cui le cose sono al centro dell’essere. In che modo è riuscito a collegarla all’idea di post-internet?
Vàclav Janoscik: Credo che tra questi due concetti vi sia una correlazione. Per quanto riguarda il pensiero object-oriented (orientato all’oggetto) e il nuovo materialismo, li ho considerati una potenziale risorsa per riflettere sulla nostra esperienza in relazione agli attuali mezzi di comunicazione e Internet. Ovviamente ciò va ben oltre e, in realtà, va contro qualsiasi genere di entusiasmo nei confronti dei media stessi ed esprime piuttosto una certa disillusione nei loro confronti, rappresentata dal concetto di post-internet.
Dal punto di vista della produzione artistica notiamo una grande riluttanza e un rifiuto del concetto di post-internet che è stato utilizzato nel tempo per perseguire strategie piuttosto formali e superficiali. Ho cercato di ritornare all’interpretazione originale del concetto e di garantirgli qualche solida fonte e un valore teorico, provando a collegarlo a questo indiretto, periferico e al contempo infinito dinamismo che ci riporta al materialismo e all’oggetto. Il post-internet segna un certo distacco dal virtuale e un reinserimento fisico nel mondo che ci circonda.
Parlando in termini più specifici del mio progetto, il mio scopo era di presentare le dinamiche di un «ritorno all’oggetto», sia nel pensiero teorico filosofico che nelle pratiche artistiche, suggerendo la possibilità di un loro dialogo. Entrambe le tendenze condividono simili ragioni e, aldilà di questo, oggi, la nostra esperienza in relazione ai mezzi e alle forme di comunicazione attuali apre una crisi che è principalmente spaziale. Questo è il mio alquanto positivo approccio o anche una rilettura del problema del post-internet, che ormai sembra essere stato abbandonato da gran parte del mondo artistico.
La mostra è profondamente collegata al suo libro, OBJEKT, potrebbe dirci qualcosa in più?
Il libro Object, e in realtà gli oggetti in generale, implicano una storia lunga e complessa. Normalmente la mia ambizione è di riuscire a collegare in qualche modo il mondo dell’arte con la sfera della filosofia e degli studi umanistici. Per questo motivo è stato davvero affascinante non solo ricondurre la mostra entro una cornice composta da alcune teorie, ma anche sfruttare l’occasione per incoraggiare il dialogo fornendo alcune infrastrutture iniziali nella forma di libro. A tal riguardo, è sintomatico che il primo testo disponibile in ceco che gravita attorno al realismo speculativo, alle ontologie object-oriented o al nuovo materialismo provenga in realtà dalla sfera artistica. Ad ogni modo, ci sono voluti solo tre mesi per organizzare, tradurre e revisionare l’intero libro, che è un tempo straordinariamente breve. Ci sono riuscito eludendo l’infrastruttura accademica ed editoriale e svolgendo gran parte del lavoro da solo. In un certo senso aderisce alle diverse epoche degli oggetti. Scopo del libro è tuttavia quello di avviare un dibattito sull’Ontologia Object Oriented, sul Realismo Speculativo e sul nuovo materialismo nell’ambiente ceco, pertanto esso presenta alcuni testi introduttivi e alcuni concetti fondamentali; come la «corsa» all’oggetto, la vera genealogia del Realismo Speculativo, i fondamenti di un computer multimediale, la specificità del nostro agire online o il genere della teoria narrativa.
La prima parte del progetto intitolato The Return of the Object consiste in un’installazione di Marisa Olson composta da una serie di computer e laptop dipinti d’oro. È stato lei a selezionare questa installazione per la mostra? O è stata una scelta di Marisa?
Tutto è iniziato con una conversazione tra me, Marisa Olson e Martin Kohout diverso tempo fa. Quando si è presentata l’occasione di organizzare una mostra a Praga, mi sono impegnato a cercare una cornice solida per esplorare la questione del post-internet allo scopo di evitare una mera ripetizione di suoi presunti aspetti. Dal mio punto di vista, quindi, l’ho ricondotto esattamente nell’ambito di quel particolare movimento che si pone piuttosto al di fuori Internet, come ho spiegato prima, e che prevede un recupero del materiale o di quel che ‘assomiglia ad un oggetto’. Questo ritmo di «ritorno all’oggetto» risponde perfettamente all’opera di Marisa Olson o di altri artisti e credo che esso rappresenti una certa tendenza all’interno dell’arte contemporanea.
La seconda parte del progetto consiste in una mostra collettiva – dal titolo The Disorder of Things – che vede la partecipazione di giovani artisti cechi così come di artisti conosciuti su scala internazionale, tra cui Constant Dullart, Annabelle Arlie, Ted Whitaker. Il titolo suggerisce l’idea che alcuni artisti oggi condividano un approccio «caotico» verso l’oggetto. Qual è secondo lei la ragione di questa confusione?
Non direi che vi è qualcosa di particolarmente confuso intorno all’oggetto in generale, sebbene l’opera Skinsmooth di Martin Kohout affronti questo tema. Il mio obiettivo era mettere in scena diversi approcci adottati oggi dagli artisti nei confronti dell’oggetto. A tal proposito, il titolo fa in un certo senso riferimento al celebre libro di Michel Foucault «Le parole e le Cose, Les Mots et les Choses» in francese; The Order of Things, in inglese. Mentre forse la più grande ossessione del XX secolo, con la sua predilezione per la linguistica o la semiotica, era di comprendere la relazione delle parole e dei concetti con le cose o con gli oggetti d’arte. Viviamo in un momento in cui si tende sempre più a lasciare che l’oggetto mostri la sua espressività «non umana». Probabilmente è questo elemento che trasmette un’impressione di confusione.
Potrebbe infine dirci qualcosa su Balcony, l’opera di Constant Dullart, presentata in «The Disorder of Things»?
Quest’opera in particolare è significativa per la sua acuta articolazione dello spazio virtuale. Quando accediamo ad Internet siamo contemporaneamente nella nostra sfera pubblica e privata; è come indossare un comodo paio di pantofole mentre siamo sul balcone, uno spazio privato dove siamo potenzialmente esposti agli sguardi di chiunque. Ma aldilà di questo, l’opera, e la sua collocazione in mostra, richiamano l’attenzione sul discorso della gerarchia che è presente online, nonostante nell’opinione popolare Internet appaia una sorta di democratica e livellata autostrada dell’informazione. Lo spazio di visibilità e potere – lo spazio sul balcone – può essere sostanzialmente occupato da chiunque, tuttavia esso mantiene inalterate le sue dinamiche di potere che contrappone un soggetto attivo oppressivo e un consumatore passivo. Il vero dialogo invece richiede un certo equilibrio tra l’essere attivo e passivo, tra il parlare e l’ascoltare. Questo, grossomodo, era l’obiettivo della mostra, ovvero, rovesciare il regolare corso delle azioni ed aprire la strada a nuove opportunità di conversazione in cui è l’oggetto a parlare e noi ad ascoltare.
Immagini (cover 1) Installation view (2) Annabelle Aarlie, mixed media installation, courtesy the Artist (3) Marisa Olson, The Return of the Object, installation view (4) Constant Dullaart, Balcony, mixed media installation, courtesy of the Artist, (4) Marisa Olson, The Return of the Object, detail