La galleria Bitforms presenta PostPictures, un evento che re-interpreta la mostra rivoluzionaria Pictures di Douglas Crimp. Riflettendo sull’eredità di Crimp, PostPictures riunisce sette artisti statunitensi che lavorano con le più innovative tecnologie dei mezzi di comunicazione e metodologie contemporanee di creazione dell’immagine. L’evento presenta una serie di opere d’arte che generano spazi bidimensionali onirici e fantasmagorici, al contempo sintetizzando impeccabilmente elementi della cultura pop, del pensiero surrealista e del pittorialismo. Il lavoro è una risposta al linguaggio visivo della vita quotidiana, e realizza una frattura con i sistemi di rappresentazione tradizionale attraverso pastiche e appropriazione. Come spiegava Crimp nel 1977, in un contributo per Artists Space, «il regno della fantasia è riapparso per scardinare le modalità analitiche e percettive del nostro recente passato». Crimp cita un cambiamento nelle modalità di rappresentazione, che libera l’immagine fotografica dal suo significato tradizionale. Ad esempio, l’uso che Jack Goldstein fa della fotografia viene definito freudiano e paragonabile «all’immagine conservata nella memoria.»
La mostra PostPictures presentata alla galleria Bitforms propone un approccio innovativo alle arti visive, guidato dalla continua immersione nel mondo di internet, al quale ci si affida quotidianamente, per costruire illusioni della realtà. Si tratta dell’obiettivo ingrandito di una macchina fotografica, attivato dall’informatica e dalla rete, che fornisce informazioni ad una nuova, complessa generazione di artisti. Nel loro lavoro, l’accesso immediato alle immagini può essere percepito nella modalità in cui la narrativa viene suggerita e rappresentata. Allo stesso modo in cui la generazione dei protagonisti di Pictures si confrontava con giornali, riviste e televisione, oggi un nuovo gruppo di artisti emerge dal mondo dei dispositivi mobili e dei computer. Il lavoro creato dagli artisti con questa impostazione mentale implica la rappresentazione del regno di internet e dei videogiochi, con anche il contributo dei mass media più tradizionali.
Le opere in mostra evidenziano una tensione tra reale e virtuale. Il video Mothership di Jonathan Monaghan si appropria di personaggi ed oggetti provenienti dal mondo della fantascienza, della pubblicità, dei videogiochi e della storia dell’arte. Divertente e colorato, il lavoro di Monaghan è un viaggio attraverso lo spazio, tra la Pista Arcobaleno di Super Mario, il paesaggio della pittura romantica tedesca, e il Tecnodromo nel Teenage Mutant Ninja Turtles. Snow White di Katie Torn presenta una natura morta ispirata al corpo femminile, con richiami alle forme del cubismo e del futurismo. Questa scultura virtuale gioca con un approccio atmosferico alla luce, che evoca i dipinti nordeuropei dei bouquet di fiori del XVII secolo. Il videogioco artistico interattivo di Shane Mecklenburger, Fortress of Solitude Tilted, scardina il formato dello «spara-tutto in prima persona». Invece di presentare i consueti obiettivi che contraddistinguono i videogiochi commerciali, quest’opera d’arte offre ai giocatori la possibilità di cimentarsi nella creazione o distruzione del tesoro. Utilizzando il diamante come motivo simboleggiante un valore generato da una scarsità controllata, il tesoro può essere ingrandito o distrutto a discrezione del giocatore.
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Per alcuni artisti, il corpo e il concetto di post-umano sono elementi centrali nell’ambito dei loro sistemi di rappresentazione. Dark kNight è la risposta di Claudia Hart al film blockbuster di Christopher Nolan The Dark Knight Rises(2012); nell’opera della Hart, uno degli avatar dell’artista cerca di fuggire da un mondo simulato dietro lo schermo. Nell’animazione, l’avatar si scaglia contro lo schermo nel tentativo di evadere dalla sua prigione virtuale. In Belly Wallpaper: Rollin, di Rollin Leonard, un’unica immagine del busto dell’artista viene ripetuta continuamente. In una spirale di nove piedi (due metri e mezzo), l’installazione modifica il suo corpo in modo improbabile, forgiando una narcisistica, seppur bellissima, superficie toroide. La serie fotografica di Leonard, intitolata Crash Kiss, unisce algoritmicamente due volti umani ritratti di profilo, suggerendo una narrativa romantica simile a quella proposta da Sherrie Levine nel 1977 con la serie Sons and Lovers, presentata per la prima volta alla mostra originale di Crimp, Pictures.
Nei lavori di Sara Ludy e Clement Valla, il piano pittorico attivato dai nuovi media è contraddistinto da punti di vista fluttuanti. I montaggi video di Ludy propongono l’esperienza della luce secondo l’ottica dell’architettura modernista. Evocando il minimalismo, questi luoghi sono trattati con un approccio freddo, svuotati della presenza di persone o simboli riconoscibili. Transom è ambientato in un centro commerciale della Virginia; Otha esplora una casa prefabbricata nel mondo virtuale di Second Life, mentre Niodrara mostra un residence a Glendale, in California. La serie di Clement Valla, The Universal Texture, si basa su immagini catturate dallo schermo durante la navigazione dell’interfaccia Google Earth. Lo spettro di immagini geo-spaziali selezionato da Valla enfatizza condizioni limite, risultato di un processo automatizzato che fonde fotografia aerea e dati cartografici. Con un repertorio originale tratto da periodi e punti di osservazione diversi, la trasposizione secondo il modello 3D evidenzia anomalie dell’immagine. Vengono svelati i limiti degli algoritmi, e si crea una forma di geografia ibrida. Contestando in modo giocoso la rappresentazione fotografica, i piani pittorici piatti di Valla vengono restituiti alla realtà tridimensionale.
dal comunicato stampa della mostra
immagini
(1 cover) Rollin Leonard Crash Kiss: Guthrie & Ellis c-print – framed, 2013 (2) Rollin Leonard Belly Chain on a Donut Shaped Universe, 2013 (3) Installation View, photo by John Berens (4) Mothership di Jonathan Monaghan, still-frame (5) Clement Valla, “The Universal Texture” series, 2012-13, photo by John Berens.