Fondata nel 2010 come organizzazione no profit da Nimrod Vardi e Hajni Semsei e supportata grazie ai fondi pubblici dell’Art Council England, Are Byte si configura come uno spazio di interscambio nel quale far dialogare l’esperienza umana con la New-Media art. Accertata la relazione esistente tra corpo e tecnologia, questa galleria d’arte, situata nell’East London, opera sia on-line che on-site con eventi e attività culturali, diventando in pochi anni un punto di riferimento culturale importante nella comunità locale.
Il lavoro di Arebyte è scandito da moltissimi progetti, che si sono susseguiti a partire dal 2011. Seeing-I 1 è uno di questi. Si tratta di un esperimento socio-artistico, nel quale l’artista Mark Freid vivrà per 28 giorni ininterrottamente all’interno di una stanza dotata di letto e servizi, senza alcun contatto umano. Per tutto questo periodo indosserà un Virtual Reality Headset, che gli trasmetterà suoni e immagini provenienti dalla vita di una persona sconosciuta, l’«altro», tramite speciali occhiali trasmettitori che questi indossa sempre. Quanto impiegherà Freid prima di perdere la coscienza del sé, per ‘diventare’ l’altro? E quali dati fornirà l’esperimento per gli studi di scienziati, psichiatri, filosofi e artisti?
Il progetto Superposition 2 di Marios Athanasiou si è concluso recentemente, e si basava sul fenomeno relativo alla fisica quantistica per il quale una particella può esserci in diversi stati, finché la sua esistenza si stabilizza in un solo di questi. Ciò contrariamente a quanto avviene nel nostro mondo sensibile, nel quale conosciamo gli oggetti esclusivamente come solidi, esistenti in un solo momento e in un solo spazio alla volta. L’installazione audio/video di Superposition poneva in essere un particolare sistema per cui l’energia dell’acqua veniva trasformata in un codice che il computer visualizzava. L’osmosi di questa energia tra reale e virtuale aveva luogo non solo nella galleria ma era poi condivisa sul web, resa fruibile simultaneamente in diversi momenti e spazi, da diverse persone.
E’ invece in corso fino al 6 giugno 2015 la mostra «The Microbial Verdict : You Live Until You Die» 3 di Zoë Hough. Lo scenario di partenza è quello della scoperta da parte di alcuni scienziati di Harvard di una proteina sintetica capace di tracciare l’attività neuronale umana. Quello proposto dalla Hough ai visitatori invece ne prefigura un possibile scenario: l’utilizzo di questa scoperta da parte del governo UK per stabilire se un individuo oltre i 65 anni può essere considerato vivo o morto. Lo scopo è invitare al dibattito i cittadini per capire quale futuro è probabile e auspicabile.
Questo il tenore delle sperimentazioni di Arebytes, che, grazie alla curiosità dei suoi artisti, sembra non porre limiti, ne di medium tecnologici ne di ambiti del sapere, alla propria ricerca, così fortemente improntata sull’esigenza di dibattere quei problemi che riguardano l’essere umano in primis. Un coinvolgimento che va spesso oltre la virtualità, ma ripropone con forza l’esperienza viva del contatto, della corporeità, della situazione immersiva, spingendo l’individuo a misurare la propria immensità o finitezza con quelle della realtà tecnologica contemporanea. Recuperando forse il valore aggiunto dell’invito al ragionamento critico che contraddistingue da sempre – ma non sempre – l’espressione artistica.
«Zoë Hough, The Microbial Verdict: You Live Until You Die»
Arebyte Gallery, London, fino al 6 giugno, 2015
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immagini
(cover 1) Zoe Hough, Microbial Verdict. Exhibition Close, 2015 (2) Marios Athanasiou, Superposition, 2015 (3) Mark Freid, Seeing-I, 2015 (4) Zoe Hough – Microbial Verdict. Header, 2015 (5) Zoe Hough – Microbial Verdict, 2015, Film Still