Viviamo in un’ era in cui naturale e artificiale esistono in un continuo scambio osmotico, in cui arte e tecnica sono coinvolte in un processo di «crossing over» culturale. Spesso si pensa che la tecnologia sia semplicemente uno strumento di cui ci serviamo per semplificare il quotidiano ed agevolare il movimento «liquido» della società contemporanea, senza accorgersi che essa costituisce la struttura portante dell’intero ambiente in cui viviamo e ne determina la percezione. A tal proposito Paolo Rosa, artista del gruppo Studio Azzurro scomparso di recente, dichiarava: «Credo che i nuovi mezzi a nostra disposizione costituiscano proprio un sistema di pensiero in grado di indicare gli attuali modi utilizzati dagli uomini per vedere il mondo: oggi vediamo in una nuova maniera. Probabilmente è proprio per tale motivo che risulta giusto ed utile coniugare l’esperienza artistica con le nuove tecnologie: l’arte e la poesia possono trarre numerosi orientamenti dal suddetto “sistema di pensiero”( pensiero visivo).»
Oggi più che mai la tecnologia non solo influenza la creazione artistica contribuendo alla nascita di nuove pratiche, ma ne determina anche le diverse funzioni e le modalità di fruizione. Il digitale ha prodotto nuovi linguaggi artistici operando una rivoluzione dei mezzi espressivi di portata epocale e favorendo la nascita della Digital Art, della Net. Art, della Cyborg Art e della Sound Art. Pratiche artistiche che si servono delle tecnologie contemporanee per descrivere ed analizzare il presente, che attuano contaminazioni culturali e formali tra linguaggi diversi, capaci di interagire in maniera sempre più intima ed intensa con il pubblico.
Da diverso tempo il giovane artista italiano Roberto Pugliese, che ha recentemente presentato un suo lavoro al Romaeuropa Festival a Roma, incentra la sua ricerca sul rapporto tra uomo e tecnologia e tra tecnologia e arte. Le sue opere, in cui non è mai accessorio l’aspetto estetico, tendono ad esaminare principalmente le capacità di percezione e di distinzione da parte della psiche umana dei dati naturali ed artificiali. L’artista realizza delle sculture sonore interattive che attraggono lo spettatore in un’esperienza sensoriale immersiva. Per comprendere la complessità del suo lavoro gli abbiamo rivolto alcune domande:
Qual’ è il motivo per cui hai eletto il suono a linguaggio ufficiale della tua arte?
Nasco come musicista, diplomato al Conservatorio di Napoli: mi sono sempre occupato di musica elettronica, guidato dal mio Maestro, Agostino di Scipio, uno dei migliori esperti di elettroacustica, musica elettronica e grande ricercatore in materia di suono digitale. Ho poi lavorato a diversi video d’arte occupandomi dell’aspetto sonoro ed ho frequentato molto L’Accademia di Belle Arti coniugando le diverse esperienze formative ai miei moltissimi campi di interesse, giungendo così alla creazione delle prime installazioni sonore.
Come nasce una composizione sonora? cosa determina la scelta dei suoni e l’aspetto estetico dell’installazione?
Quando penso ad un lavoro lo immagino allo stesso tempo sia visivamente che sonoramente, le due parti sono inscindibili e simultanee. Tendo a miscelare suoni naturali e artificiali e alcune volte produco dei suoni sintetici che l’orecchio percepisce come naturali. I due aspetti, estetico e sonoro, convivono anche nella forma dell’opera, costituita per lo più da cavi e speaker , materiale assolutamente artificiale, che spesso assume forme naturali ,come quella di piante o di alberi, ad esempio.
Nella tua ricerca è evidente e molto forte il rapporto biunivoco tra naturale e artificiale…
Il rapporto tra naturale ed artificiale è un parametro costante negli studi di psicoacustica; mi interessa particolarmente analizzare i processi di percezione sonora, studio come il cervello umano distingue e riconosce i suoni artificiali e quelli naturali partendo da software realizzati con algoritmi genetici o funzioni matematiche che si ispirano ad eventi naturali e che, una volta compiuti, “vivono” di vita propria diventando a tutti gli effetti degli organismi bio-elettronici autonomi.
Quale e quanta importanza ha lo spettatore nell’elaborazione dei tuoi lavori?
Sono convinto che l’arte abbia innanzitutto la funzione di comunicare, che si tratti di una riflessione, di un concetto o di una sensazione. Nel mio lavoro è fondamentale la presenza dello spettatore poiché le opere nascono per far sì che il fruitore, colpito dai numerosi stimoli sonori possa immergersi nel lavoro. Creando una condizione alienante, infatti, faccio in modo che il fruitore si distacchi dall’ambiente reale e possa soffermarsi a riflettere, a porsi delle domande; credo che in fondo sia questo il ruolo principale dell’arte, riuscire a creare dei momenti di riflessione, producendo così diversi punti di vista sul tema proposto.
Che rapporto hanno le tue sculture sonore con lo spazio? Nascono con l’intenzione di trasformarlo?
Di solito l’opera dialoga con lo spazio, cercando di sottolinearne le particolarità architettoniche. Mi piace creare ambienti in cui il pubblico entri naturalmente in contatto con l’opera, in cui sia anche il suono a muoversi creando diverse prospettive sonore.
Anche l’installazione che hai recentemente presentato per Digital Life ha seguito questi parametri?
L’opera presentata in mostra non è un’ opera site-specific ma si è perfettamente inserita nell’ambiente. E’ stata voluta fortemente da Daniele Spanò che conosce il mio lavoro e che sapeva che si sarebbe assolutamente integrata. E’ stata realizzata nel 2011 con cavi elettrici, speaker e sensori che rilevano i cambiamenti climatici dell’ambiente come la temperatura, la luce e l’umidità e li inviano ad un computer in cui un software creato ad hoc trasforma queste informazioni in suoni, producendo delle sinusoidi, grandezze minime sonore, che si distribuiscono nell’ambiente avvolgendo completamente lo spettatore.
L’installazione con gli speaker che scendono dal soffitto sostenuti da lunghi cavi assemblati sembra assumere la forma di un grande salice piangente che emana input sonori capaci di sollecitare i sensi del pubblico: quest’opera, a mio parere, particolarmente emblematica della tua ricerca, sottolinea la consueta relazione tra estetica e percezione. Si può dunque affermare che il tuo è un lavoro di estetica emozionale?
Anche quella di non curare l’ estetica del proprio lavoro è una scelta estetica e molto decisa. Non credo si possa parlare di estetica a prescindere dalle emozioni. Per quanto mi riguarda, nello spazio delle opere si creano micro-mondi, strutture nelle quali esiste un aspetto sonoro e visivo. Cerco di creare ambienti in cui il fruitore possa innanzitutto porsi delle domande ma allo stesso tempo provo a regalare delle emozioni.
Immagini
(1 cover) Roberto Pugliese, Acustiche tensioni matematiche, speakers, cavi audio, cavi in metallo, composizione audio, 2013, photo Donatella Lombardo; (2) Roberto Pugliese, Possibili riflessioni, speaker, cavi audio, ferro, plexiglass, composizione audio , 50 X 50 X 30 cm, 2013; (3) Roberto Pugliese, Sinestetiche visioni spettrali, stampa digitale su alluminio, 120 X 40 cm, 2013; (4) Roberto Pugliese, A voice in the desert, ferro, cavi in metallo, computer, software, 2012, courtesy Studio la Città; (5) Roberto Pugliese, Emergenze acustiche, plexiglass, speakers, cavi audio, cavi in metallo, composizione audio, computer, software, 2013, photo by Donatella Lombardo.