L’8 Settembre ha inaugurato, alla Cavea dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, la XXXVII edizione di Romaeuropa Festival con lo spettacolo teatrale in prima nazionale We Want It All della compagnia olandese Ick Dans Amsterdam diretta da Emio Greco e Pieter Scholten.
Un’edizione che, dopo due anni di restrizioni dovute alla pandemia, torna a “capienza piena”, offrendo, come sempre ha fatto, spettacoli teatrali, danza, musica e arte digitale in continuo dialogo e confronto con la cittadinanza romana, in generale, e con il pubblico dei numerosi spettacoli proposti da oltre 400 artisti provenienti da tutto il mondo, in particolare, agganciandosi alla tendenza moderna di un’arte etica che si relazione ben più alla percezione che alla scienza del sensibile.
Tra i tanti, eterogenei, eventi che affollano i mesi del festival, lo spettacolo inaugurale di Greco e Scholten è il contrappunto perfetto per una concezione della cultura, a maggior ragione in questa realtà analogicodigitale in cui siamo immersi oggi, opposta e controcorrente a quella generalmente intesa addirittura dai partner e da chi ha offerto il patrocinio a questo evento.
Lorenzo Tagliavanti, presidente della Camera di Commercio di Roma, partner imprescindibile dell’evento, alla presentazione del festival ha sostenuto che la cultura si pone al confine delle nostre vite e ha una funzione consolatoria nei periodi duri e cupi, com’è stato quello delle chiusure generalizzate conseguenti alla pandemia, e ora quello della guerra russo-ucraina, sottolineando anche come dove c’è cultura non può esserci guerra perché c’è comprensione e conoscenza.
Filippo Tommaso Marinetti, e non solo lui, non sarebbe d’accordo. Questa concezione “rassicurante” dell’arte è presa in fallo a partire dal titolo dello spettacolo di danza moderna di Greco-Scholten: We Want It All (riprendendo la famosa canzone dei Queen, di cui però non c’è neppure una nota nello spettacolo), un grido di battaglia che alla banale consolazione sostituisce una fiammeggiante rivendicazione e che pone l’arte al centro del corpo, e quindi dell’esistenza. Certo, questo grido di battaglia è positivo e pone il suo focus sul rapporto tra l’Io e l’altro, tra il me e il fuori di me, nell’esagerazione del gesto coreografico che si fa strumento oppositivo anche all’autocensura.
L’opera coreografica, apparentemente in modo involontario, ha tanto a che fare con lo spazio immateriale cibernetico del digitale. È la somma di 12 finali tra le oltre 60 opere prodotte dal duo italo-olandese, posti non cronologicamente, ma con un ordine significativo. Una serie di finali che, quindi, annullano il tempo non solo in quanto rappresentazione del già rappresentato, come qualunque spettacolo dal vivo, ma anche come rappresentazione di frammenti che con forza riemergono dal passato per risignificarsi nel presente in qualcosa di nuovo, divenendo vettori estetico-sociali della contemporaneità, e non a caso l’ideazione dello spettacolo risale al 2020.
Senso di riuscita e accettazione dello sbaglio, con le loro infinite “variazioni sul tema”, rintoccano in una danza che accompagna passaggi musicali arditi (ad esempio da Bach a Marylin Manson) e fondamentali per intervenire sul gesto artistico e metterlo in discussione, un gesto di danza che si diffonde in modo esistenziale nella sinestesia di uno spettacolo che parla della profondità di ognuno di noi.
Il duo, che in quest’opera in qualche modo ripercorre la propria carriera, torna all’essenza, la stessa già tratteggiata nel loro manifesto del 1996, in cui tra le prime frasi appare una tanto poetica quanto dirompente riflessione sull’essere curiosi, l’essere e seguire il cuore e contemporaneamente l’essere e seguire il corpo: un passaggio dal cervello al corpo, passando per il cuore, che pone l’immaterialità e la materialità sullo stesso piano, in cui svetta il corpo che si fa agente di pensiero in una realtà sempre più complessa e sfaccettata, quasi glitchata, tanto digitale quanto analogica.
Romaeuropa Festival, Roma (sedi varie), 08.09 – 20.11.2022
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immagini (tutte) ICK Dans Amsterdam / Emio Greco – Pieter C. Scholten, We Want It All, 2022