“Vieni, c’è una strada nel bosco,
il suo nome conosco,
vuoi conoscerlo tu?
Vieni, è la strada del cuore,
dove nasce l’amore
che non muore mai più…”
Nisa – Bixio
Fra un giorno e l’altro
Danzavano benissimo, erano davvero vive, riempivano lo spazio e pulsavano come corpi di ballerini veri, ed erano solo lampade. È la seconda volta che mi fregano i Quiet Ensamble… inizio a vedere delle lampade tecniche che si muovono e poi dopo qualche istante non ci sono più le lampade ma ci sono ballerini, cantanti, corpi. Installazione incredibile. Fa freddo però! Ah grazie, mi è caduta la coperta, brrr.
Secondo Giorno
Assi di legno, la capanna. Si, è tutto vero, sono davvero in un campeggio utopico sulle Dolomiti. Letti vuoti: uno e due… Daniele dorme. Beh dai non sono l’ultimo ad essersi svegliato. Le gambe, le braccia, le vedo e le sento… prendo le misure dello spazio. Sento soprattutto una testa che pulsa e che fa male. Mal di testa: un dolore che è l’attestazione del mio corpo e della mia età. Ho cambiato troppi spicci e li ho utilizzati!
Paesaggio decisamente ondulato, a tratti ripido. Camminare, un passo dopo l’altro. Guardo le mie gambe che si muovono stranamente sicure nel cinguettare di tutti gli uccelli del mondo! Quanti sono? Tantissimi in un bosco!
Ciao! Se ci siamo mai conosciuti? Può darsi. È Alice che mi sorride (un po’ beffarda a dire la verità, sentirà anche lei le pulsazioni della mia testa??!) e iniziamo a parlare: che fai? Chi sei? Come mai sei qui? Ad essere sincero scendevo verso la mensa per un caffè! Ci si saluta, io fiducioso di rivederla dopo, dopo il caffè.
Un po’ di moto mi farà bene, cammino dal Villaggio Eni per arrivare alla Colonia attraverso il bosco; pensavo fosse più veloce però ne vale la pena. Oggi mi spettano i talk, seguirò quelli per tutta la mattina.
La sala è grande e illuminata dalle vetrate da cui entra il paesaggio della montagna.
Per primo c’è Andrea Natella (uno dei letti vuoti in capanna). Inizia a raccontare la storia dell’Isola di Utopia, per me Taranto. Ma il discorso è ben più complesso. L’utopia inizia con la sospensione dell’incredulità, nella fantascienza e non solo, magari attraverso un oggetto o un materiale che possa risultare verosimile: l’unobtanium, ad esempio. Ma nella realtà, in assenza di un tale escamotage, come faccio? In che modo posso rendere la sospensione dell’incredulità in maniera più immediata e semplice? Un mondo alternativo lo creo sempre e solo con il corpo, con la mia fisicità: che sia questo il punto? Cercare di non rimanere increduli di fronte ai corpi. Come il patto di fede fra l’Unicorno e Alice, al di là dello specchio? O come il saluto fra Alice e me di qualche riga fa? In fondo per rendere reale una utopia i None hanno organizzato tutto questo: 180 persone che si incontrano in uno spazio dove necessariamente si comunica, si parla e si condivide. Seguendo una strada nel bosco, ché nel bosco una volta che ci sei dentro non puoi non considerare lo spazio che in quel momento stai abitando e non puoi evitare di sentire che quello stesso spazio è contemporaneamente abitato da altri che siano alberi, piante, uomini o insetti.
Tocca a Tatiana Bazzicchelli. Il suo progetto Disruption Network Lab esamina le intersezioni fra politica, tecnologia e società: l’importanza dell’arte che svela i processi, che rivela informazioni smascherando sistemi che si vogliono nascosti. C’è della politica in tutto ciò, finalmente. I due talk sono conseguenti: dalla riappropriazione del corpo al corpo che agisce sfruttando proprio la tecnologia che potrebbe escluderlo; il corpo come attore politico che ribalta l’uso che il sistema fa della tecnologia, senza demonizzarla.
L’artificio di per sé non è intelligente, non ha etica, pensiero ma, creato con intelligenza, con etica, si può credere tale. Alessia Zarzani, dell’Università di Montréal, punta il dito proprio sulla creazione di una intelligenza artificiale responsabile.
Eppure l’espressione intelligenza artificiale mi fa ridere, per una semplice ragione: ciò che rende intelligente l’essere umano è sicuramente l’imparare dai propri errori, e questo una macchina potrebbe anche farlo, ma ancor di più di quegli errori saperne ridere, e qui per le macchine la vedo dura.
Lo ha detto veramente? Ha detto deficienza artificiale? Donato Piccolo mi viene in aiuto con la teorizzazione del suo processo creativo: nel rapporto fra artificio e natura lui indaga l’errore della macchina, il suo malfunzionamento che inevitabilmente sovverte la realtà di questo rapporto ordinato e crea una nuova realtà alternativa, dove la macchina non è più perfetta ma diventa opera d’arte, imperfetta come l’uomo. Questa nuova realtà restituisce all’oggetto macchina/opera d’arte/artificio una fisicità maldestra (gli oggetti che camminano, inciampano, rotolano di Donato Piccolo ricordano il corpo sovversivo di Buster Keaton).
E qui rischio di andare a sbattere anche io, è buio pesto! A parte i lampi emessi dalle bobine tesla poste su dei tronchi di legno. Cantano questi tronchi elettrici, suonano come fossero gnomi meccanici. Una sinfonia divertente che segue un ritmo imposto e scandito da onde elettromagnetiche che diventano onde sonore.
Non so se ascolto i lampi e vedo il canto o viceversa. Anche qui, come nei sogni, le leggi del sistema si scambiano e si confondono, ed è un sollievo che ci si possa rifugiare in questo mondo psichico e onirico per conoscere e comprendere meglio il reale e i suoi sviluppi tecnologici. Più o meno quello che espone lo psicologo Federico De Luca Comandini.
Pausa, arrivo sulla terrazza, sempre accompagnato dall’emicrania.
Non stai bene? – No, sto impazzendo per il mal di testa. – Prendi questa, non è roba italiana, viene dal UK, in barba alla brexit. È portentosa.
Grazie, grazie e ancora grazie Valentina. Mi hai salvato il resto della giornata.
Anche perché inizia il Simposio vero e proprio. Tutti in cerchio, nessuna cattedra (come insegnano i ragazzi di Scuola Open Source), una comunità che si riunisce e comincia a discutere, a fare domande, a bere, a provare a dare risposte che generano altre domande. Tante voci, non per forza concordi, anzi per questo ancora più potenti nel cercare di diventare una voce comune. Ci si confronta e ci si scontra. Si ascolta e si interviene.
Nessuno insegna a nessuno e tutti imparano. Se non è una utopia già questo! Come dice Gregorio dei None nell’aprire il Simposio, questo non vuole essere un evento volatile ma “si vorrebbe provare a strutturare una serie di proposte” in modo che Simposio sia qualcosa che duri anche al termine di questi tre giorni. La conversazione diventa un flusso che trascina i partecipanti. Fino al suono della campanella (che in realtà è un rumore che ricorda il game over dei videogiochi di quando ero giovane) che ci spinge a sederci tutti a terra in una stanza buia. Si muove qualcosa sul palco? Boh!? Sembra di si…
Un corpo. Segnato dai tatuaggi, segnante lo spazio. Si muove, si contorce e genera suono, rumore, musica. Genera con i muscoli, con i nervi con l’elettricità che scorre sottopelle. Ipnotico, diventa un alieno. Inevitabile pensare a eXistenZ di Cronenberg. Sembra un corpo nuovo, senza organi. Una macchina organica, un bambino robot. Come se Pinocchio ci avesse ripensato, volesse tornare indietro. Ma non può tornare ad essere un burattino e si sforza di evolversi in qualcosa di più: un robot organico, un bambino robot. Ma non ti confondere, Angelo, ciò che osservi con tanto trasporto è un corpo umano! Il corpo è centrale e la tecnologia usata è solo una espansione energetica del corpo. Da quella pelle che vela i muscoli e le ossa che vibrano si riversa su di me una consapevolezza di fisicità e una critica che non è didattica, è corpo tangibile. Il corpo politico. Il riassunto migliore di questa giornata.
Grazie Marco Donnarumma.
E la serata comincia grazie a Ovidio che fa su e giù con la navetta. Ricomincia a girare lo spiccio, la musica, i discorsi, le parole, i confronti. Di nuovo arriva la notte. Torno in capanna.
… to be continued…
Il racconto di Angelo di Bello si riferisce a SIMPOSIO, progetto-evento di NONE, giovane collettivo italiano di architetti, interessato a ricercare i confini dell’identità, il rapporto uomo-macchina, quello tra cinema e arte, e tutto quanto i cambiamenti della storia e delle tecnologie che le danno forma si presti al loro sguardo. Quest’anno si è svolto nel Villaggio ENI a Borca di Cadore (4-7 luglio, 2019), nel paesaggio e nello spirito delle Dolomiti con l’intenzione di creare una community genuina stimolando la percezione, la facoltà critica e il pensiero profondo per provare a creare nuovi modelli per la comprensione della contemporaneità e per formulare nuovi mondi. Angelo di Bello racconta i i tre giorni attraverso la sua esperienza e cogliendone lo spirito che lo ha animato. Questa è la la seconda di tre giornate (Visitate qui il racconto della prima giornata).
immagini: (cover 1-2) Quiet Ensemble, «Mecanical Ballet», SIMPOSIO 2019. photo credits Cristina Vatielli – NONE collective (3-10) photo credits Cristina Vatielli – NONE collective (4) Andrea Natella – speech. photo credits Cristina Vatielli – NONE collective (5) Tatiana Bazzicchelli – speech. photo credits Cristina Vatielli – NONE collective (6) Donato Piccolo – speech. photo credits Cristina Vatielli – NONE collective (7-8) Donato-Piccolo, I would liked to be a singer but didn’t know Tesla, 2019; Celia Noemi Rucci – Nebulosa Aequisinata, SIMPOSIO 2019, photo credits Cristina Vatielli – NONE collective (9) Federico De Luca Comandini – speech. photo credits Cristina Vatielli – NONE collective (11) Marco Donnarumma – Performance. SIMPOSIO 2019, photo credits Cristina Vatielli – NONE collective