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Home Special Project

Special Project #17 – Antonio Della Guardia. For a Forthcoming Reality

Arshake by Arshake
14/06/2020
in Special Project
Arshake è lieta di presentare For a Forthcoming reality di Antonio della Guardia, special project # 17 per il banner di Arshake, a cura di Gianpaolo Cacciottolo*. Durante la settimana dal 15 al 21 giugno, da lunedi a domenica, ogni giorno i disegni di Della Guardia, prenderanno vita sul banner di Arshake ed entreranno in contatto con gli utenti con l’appropriazione di una serie di esercizi formulati da William Horatio Bates nei primi decenni del Novecento, utilizzati come processo possibile di riconquista della vista e quindi di svincolo dalla sottomissione al lavoro e alle sue tempistiche, come spiega il curatore in un passo del saggio che segue.
Clicca qui per scaricare la scheda informativa degli esercizi: (Lunedi – Domenica)

* Il progetto si evolve da una sua prima fase nata a Kiev per la mostra “The Corrosion of Charachter / L’uomo flessibile”, realizzato nell’ambito del progetto Q-International della Quadriennale di Roma, alla Fondazione Izolyatsia, con la cura di Alessandra Troncone e Kateryna Filyuk. Tutti i video sono courtesy dell’Artista e della Galleria Tiziana Di Caro, Napoli.

 

Bates Model. Un vademecum per smart workers
di Gianpaolo Cacciottolo

 

In primo luogo direi di essere una persona che vede.
Faccio esperienza coi miei occhi e mai o solo raramente con le mie orecchie –
con mio costante rammarico.[1]

Fritz Lang

 

I lavoratori della città sotterranea completano il protocollo sincronizzato del cambio turno con lo sguardo rivolto rigorosamente verso il basso. In questa fase la camera di Lang in Metropolis (1927) mai indugia sui loro occhi, che tuttavia si rialzano presto, costretti a movimenti continui, incessanti, nervosi; operai schiavi dei riti danzerecci del lavoro imposto, responsabili di congegni e meccanismi a cui sono assoggettati. I ritmi sono forsennati, le condizioni sono aberranti, la distrazione non è ammessa. La morte è dietro l’angolo. La rivolta, spinta avanti da pseudo-profeti e capi poco lucidi, assume tratti fallimentari e le forme di un’autodistruzione sventata solo da un finale volutamente edulcorato (non da Lang). Gli operai di Metropolis inscenano una condizione che è propria delle foucaultiane società disciplinari, che vedono nei grandi ambienti di reclusione, in questo caso la fabbrica, lo spazio di realizzazione di regimi imposti di produzione, da un lato, e di sorveglianza, coercizione e condizionamento della vita umana dall’altro. Quasi un secolo dopo Metropolis, probabilmente, le condizioni sono mutate nella forma e negli spazi dove queste dinamiche di lavoro e ribellione si concretizzano: Qohen Leth, hacker/programmatore al servizio della multinazionale Mancom si fa sindacalista di se stesso per portarsi a casa il lavoro con la scusa di una maggiore produttività, finendo, tra incubi e ossessioni, col ribellarsi e distruggere a martellate il supercomputer, simulacro di un reale che ormai coincide col virtuale (The Zero Theorem, regia di Terry Gilliam, 2013).

Questi sono alcuni degli esiti del passaggio alle società del controllo, registrato da Deleuze nel 1990[2], che è quindi anche e soprattutto passaggio dalla modernità industriale alla rete globale, una svolta inevitabilmente favorita da processi accelerati di innovazione tecnologica, che hanno diffuso un’automazione pervasiva anche di comportamenti, oltre che di meccanismi. Una svolta che “Bifo” esamina anche in relazione al concetto di tempo lavorativo:

Lavoro, scienza e tecnologia hanno cooperato nell’espandere l’automazione a un punto tale da intensificare enormemente la produttività del lavoro, aprendo la strada a una riduzione massiccia del tempo di lavoro necessario; ma questo non ha prodotto una riduzione delle ore che le persone dedicano al lavoro salariato. Al contrario: rispetto agli anni Sessanta e Settanta, quel tempo è addirittura aumentato.[3]

Se nelle società disciplinari esistevano ancora dei relativi spazi interstiziali di libertà, questi si potevano rintracciare in alcuni frangenti della vita privata; nella società del controllo deleuziana, “sono rimasti davvero pochi gli intervalli significativi dell’esistenza umana – con l’enorme eccezione del sonno – che non siano stati assoggettati e annessi al tempo lavorativo, al tempo dedicato ai consumi o a quello impegnato da operazioni di acquisto o di vendita” e “l’individuo è stato ridefinito come agente economico a tempo pieno” all’interno del “sistema mondo del capitalismo” in cui il “passaggio dall’economia produttiva a quella finanziaria” si è compiuto anche grazie a “neoliberismo, commercializzazione del personal computer, smantellamento dei sistemi di protezione sociale e feroce attacco alla vita quotidiana”[4], e dove anche “lo spazio privato è stato invaso e sminuzzato dalla realtà tecnologica”.[5] Come pure Mark Fisher aveva notato:

Deleuze osserva che la società del controllo immaginata non solo da Kafka, ma anche da Foucault e Burroughs, opera facendo leva su una posticipazione indefinita: l’istruzione è un processo continuo, l’intera vita lavorativa è segnata da una successione di aggiornamenti, il lavoro te lo porti a casa, lavori da casa e sei a casa al lavoro.[6]

Oggi nuovi schemi sociali e lavorativi disegnano il percorso di vita dell’essere umano: il ritmo circadiano è ritmo lavorativo, la sovrapposizione dello spazio privato a quello lavorativo è compiuta, il requisito della presenza è l’iperconnessione. Ma, visto il fallimento della rivolta, sia individuale (violenta) che collettiva, stando ancora a Deleuze, “non è il caso né di piangere né di sperare, si tratta piuttosto di cercare nuove armi.[7]

Questi temi rappresentano un approdo per la ricerca artistica di Antonio Della Guardia (Salerno 1990), che negli ultimi anni si è concentrata in particolare sui vincoli imposti da schemi lavorativi continuamente trasformati sotto il segno della flessibilità. La sua è una pratica che mira a tracciare dei percorsi di emancipazione da questa condizione di dominio che il lavoro/Capitale esercita sull’uomo.

Nello specifico, questa volta, ha orientato la sua bussola in direzione di quella fascia sempre più ampia di lavoratori quotidianamente costretti, come il gilliamiano Qohen Leth, a una prolungata esposizione alla luce artificiale dei monitor digitali. Se è innegabile che l’incidenza delle trasformazioni tecnologiche abbia influito sul sapere[8], è altrettanto inconfutabile che le stesse abbiano e stiano avendo delle ripercussioni notevoli sulla salute di chi ne fruisce, o meglio di chi ne è asservito.

L’interesse di Della Guardia è perciò rivolto alla vista: “Gli occhi, continuamente affaticati da visione prolungata e ravvicinata, vengono privati della loro vera natura di guardare a lunghe distanze in presenza di luce solare. Un fattore che provoca stress ossidativo della pigmentazione retinica, in conseguenza del quale il numero degli ammiccamenti diminuisce da novecento a poco meno di cento all’ora, inibendo inevitabilmente la secrezione di melatonina e comportando la conseguente riduzione della capacità di messa a fuoco a lunghe distanze”.[9] Non è un caso che Eric Schmidt, ex amministratore delegato di Google, abbia dichiarato già alla fine degli anni Novanta, che l’obiettivo delle aziende dominanti nel secolo dell’economia dell’attenzione, il Ventunesimo, avrebbe dovuto essere conquistare il controllo di quanti più “bulbi oculari” possibili.[10] Questo vale per il mercato globale, sia nella logica delle vendite e dei consumi che in quella del reclutamento di nuovi lavoratori.

La riflessione che trova in For a Forthcoming Reality un esito necessariamente virtuale per il banner di Arshake – spazio espositivo/luogo di cura – si pone come l’appropriazione di una serie di esercizi formulati da William Horatio Bates nei primi decenni del Novecento[11], utilizzati come processo possibile di riconquista della vista e quindi di svincolo dalla sottomissione al lavoro e alle sue tempistiche. Quello che sembra oggi a tutti gli effetti un puntuale vademecum per smart workers comprende sette animazioni di sette semplici esercizi, calibrati sui sette giorni della settimana, che intervengono sull’utilizzo standardizzato della vista come delle vere e proprie tecniche di evasione, dei brevi momenti di liberazione quotidiana dalla dittatura dello schermo e della luce artificiale. Un vaccino non sperimentato, o meglio, non scientificamente riconosciuto, che si tramuta in atto politico di disobbedienza civile che al tempo del distanziamento sociale rinuncia alla dimensione pubblica della protesta di matrice arendtiana, per concretizzarsi in scrittura privata di intervalli atti a (ri)conquistare infine istanti di tempo, di vita e forse anche di buona salute; è creazione autonoma di dispositivi d’innesco per l’emancipazione, per distrazione, dalla prevaricazione di un regime lavorativo imposto dalla odierna società della servitù volontaria, di cui siamo tutti inevitabilmente complici.

Post scriptum:

“Noi viviamo e moriamo in modo razionale e produttivo. Noi sappiamo che la distruzione è il prezzo del progresso, così come la morte è il prezzo della vita; che rinuncia e fatica sono condizioni necessarie del piacere e della gioia; che l’attività economica deve proseguire, e che le alternative sono utopiche”.[12]

 

[1] Da Giorgio Moroder presents Metropolis del 1984.
[2] Gilles Deleuze, La società del controllo, pubblicato in “l’autre journal”, maggio 1990.
[3] Franco Berardi, Futurabilità, NERO, 2018, p. 177
[4] Jonathan Crary, 24/7, Einaudi, pp. 17-18, 75-76.
[5] Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, 1967, p. 30.
[6] Mark Fisher, Realismo capitalista, NERO, 2018, p. 60.
[7] Gilles Deleuze, Op. cit.
[8] Jean-François Lyotard, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, 1979.
[9] Intervista all’artista.
[10] Jonathan Crary, Op. cit., p. 79.
[11] Il metodo Bates è un metodo di medicina alternativa elaborato da William Horatio Bates nel 1919, nel libro autoprodotto The Cure of Imperfect Sight by Treatment Without Glasses. Le teorie di Bates sono prive del supporto di studi scientifici[1] e sono state tacciate di andar contro tutti i più evidenti principi dell’anatomia oculare, già ben noti all’epoca in cui Bates pubblicò il suo libro. A causa di questo e della mancanza di benefici scientificamente accertati nell’uso della tecnica proposta, Bates fu espulso dalla American Optometric Association. (da Wikipedia)
[12] Herbert Marcuse, Op. cit., p. 159.

Antonio Della Guardia
Nato a Salerno nel 1990, vive e lavora a Napoli. La sua ricerca si sviluppa attraverso diversi linguaggi espressivi focalizzandosi sui meccanismi di potere insiti nelle dinamiche lavorative e sociali e nelle gerarchie che influenzano le condizioni personali di vita dell’essere umano. Attualmente sta lavorando alla preparazione di una mostra personale presso l’Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, a cura di Vasco Forconi.
MOSTRE PERSONALI (selezione): 2018, La luce dell’inchiostro ottenebra, Galleria Tiziana Di Caro, Napoli.
MOSTRE COLLETTIVE (selezione): 2019, The Corrosion of Character, l’uomo flessibile, a cura di Alessandra Troncone e Kateryna Filyuk, Fondazione Izolyatsia, Kiev, Ucraina; 2018, Mind the gap, a cura di Emanuele Riccomi, Associazione Barriera, Torino; 2018, Samoupravna interesna zajednica u galeriji waldinger, a cura di Nemanja Cvijanovic, Wladinger Gallery, Osijek, Croazia; 2017, Disio, nostalgia del futuro, a cura di Antonello Tolve, La Caja, Caracas, Venezuela; 2017, Sensibile comune, le opere vive, a cura di Ilaria Bussoni, Nicolas Martino e Cesare Pietroiusti, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma.
Gianpaolo Cacciottolo
È dottorando in Metodi e Metodologie della Ricerca Storico-Artistica presso l’Università di Salerno, Italia. La sua ricerca si concentra sugli sviluppi delle pratiche curatoriali in Italia dopo il 2000 nel campo dell’arte contemporanea. È curatore indipendente, critico d’arte e collabora con alcune riviste italiane di arte contemporanea. Nel 2017 ha lavorato presso l’Ufficio Mostre del Museo Madre di Napoli. Nel 2015 è stato selezionato dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino per “Campo. Corso per giovani curatori italiani”, dove ha curato insieme ad altri “Piigs. Una geografia alternativa della curatela”.
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