Dal concetto di trasformazione deriva la visione di un processo che nell’ambito artistico attiene alle potenzialità di ri-creazione di strutture formali, estetiche e spaziali. Ma oltre la forma, l’azione si riverbera nella condizione concettuale e relazionale che ne deriva. Molti di questi temi sono centrati nella mostra Transformers al MAXXI, a cura di Hou Hanru e Anne Palopoli, che include ampie sfere di attualità politica e sociale; con una ricaduta sulla condizione umana e la ricerca artistico-architettonica. Arrivando sul piazzale intitolato ad Alighiero Boetti, del Museo delle Arti del XXI secolo, un grande fiore li Loto, mobile e dorato, respira nel contesto, dando una forte impressione di serenità. L’apparenza, aiutata da colori vivaci, linee morbide e zoomorfe, simula una sostanza celata. Se si guarda nel particolare la superficie di Golden Lotus di Choi Jeong-hwa la materia che la compone è un insieme di teli termici utilizzati per scaldare i naufraghi delle «carrette» del mare. La condizione umana è osservata da più punti di vista, sollecitando il respiro e il dialogo fra arte e design, nella convinzione che molto può essere cambiato e riutilizzato con la collaborazione e partecipazione di tutti.
In un’epoca di profonde trasformazioni Choi Jeong-hwa (Seoul, Corea 1961), Didier Fiuza Faustino (Chennevières-sur-Marne, Francia 1968), Martino Gamper (Merano, Italia 1971) e Pedro Reyes (Mexico City, Messico 1972) hanno in comune il legame con l’arte, il design e l’attivismo politico. Dai lavori in mostra molte di queste espressioni creative e sociali si evidenziano in una relazione di intenti, rimandate da tecniche e materiali in evidente stato di trasformazione. Proprio sulla soglia del museo Golden Lotus direziona il pensiero da un’immagine aurea e dal suono soave, con profondi e costanti respiri, ai contenuti di realtà, del quotidiano. Oggetti semplici per utilità e valore sono elementi dai colori vivaci e dalle forme morbide e gradevoli, che Choi Jeong-hwa colleziona e riassembla con una nuova apparenza. Immense installazioni che abitano spazi e divengono esse stesse luoghi, intorno a cui stazionare e osservare.
Tematiche avvicinate con emergenza sono anche nell’opera di Didier Fuiza Faustino. L’architetto e artista franco portoghese sostiene la gravità dell’apparenza della normalità, nella certezza di vivere un’epoca che richiede di ritrovare un territorio, un luogo che sia di nuovo spazio ospitale e vitale dell’uomo nel rapporto tra arte e architettura. Nel suo lavoro incentra la volontà di portare a nuova libertà gli spazi sottratti dal potere, come in Exploring dead buildings 2.0, in cui giovani cubani con le telecamere vivono e amplificano l’abbandono di un luogo, la scuola di Ballo, progettata da Vittorio Garatti e mai portata a compimento. Con il tema forte dell’immigrazione, che oggi a gran voce viene rimandato dai media in una contestualizzazione arbitraria della condizione di umanità, Body in transit e Lampedusa vivono fisicamente lo spazio del museo con l’urgenza della realtà tangibile. Una ricostruzione di una cassa usata dagli immigrati clandestini per essere trasportata, appesa al carrello degli aerei e una grande boa sono nello spazio museale, quest’ultima come contraltare contemporaneo della Zattera della Medura di Théodore Géricault, riprodotta in dimensioni giganteggianti sulla parete vicina.
Transformers si inserisce nei temi geopolitici portando molte considerazioni alternative. Anche attraverso il lavoro di Pedro Reyes, fortemente interessato alle comunità indigene e agli elementi di innovazione popolare, si rimandano riflessi della cronaca internazionale, riassumendo con energia l’impotenza di una dimensione alienata sulla realtà creativa. Con Disarm postula la necessità di rivedere l’ingente uso delle armi, trasformando il potenziale violento in magnetico strumento di armonia e di ascolto. Le opere sculture di Reyes, composte da un gran numero di armi – rese inutilizzabili da una distruzione pubblica dell’Agenzia per la Prevenzione dei Delitti Sociali messicana – divengono strumenti musicali che con meccanismi elettronici automaticamente innescano e diffondono suoni. Proprio la sera dell’opening il senso della possibilità di cambiamento si è reso evidente con la performance realizzata con violino, basso, glockenspiel, bastone della pioggia e flauto di pan, suonati da musicisti che ne hanno attivato la traccia melodica.
Le trasformazioni meccaniche consentono di avvicinare condizioni altrimenti non percorribili, pure con il lavoro di Martino Gamper dove nel cambiamento di oggetti d’uso si richiede anche la partecipazione dello spettatore. L’opera Post Forma rimanda al senso di riutilizzo attivo dell’artista nell’azione sui materiali e la forma, e da parte dello spettatore nel rapporto di visione e relazione diretta.
Come procedere per rivitalizzare le relazioni tra l’individuo e la contingenza, con il vissuto di progresso, nella relazione sociale? Negli ultimi decenni è sempre più chiaro che la risposta è rimandata alla creatività, lo stesso Hou Hanru lo sottolinea nel testo in catalogo. Nel sostegno alla partecipazione delle persone, della collettività – nella volontà di metamorfosi e ricostruzione – il mezzo creativo si dimostra il valido dispositivo di trasformazione.
Transformers, a cura di Hou Hanru e Anne Paolopoli, Museo MAXXI, Roma, 11.11.2015 – 28.03.2016
immagini (cover 1) MAXXI – TRASFORMERS. Choi Jeong Hwa. ph: Musacchio Ianniello (2) MAXXI – TRASFORMERS. Pedro Reyes – Capula Dodecahedron. ph: Fredrik Nilsen (3) MAXXI – TRASFORMERS. Pedro Reyes. ph: Musacchio Ianniello (4) MAXXI – TRASFORMERS. Didier Faustino, 2014. This is not a Love Song