Alla Sala Mendoza di Caracas (ubicata nell’Edificio Eugenio Mendoza, presso l’Universidad Metropolitana) la mostra Piel de Selva elabora un discorso di antropologia dell’arte che illumina la piattaforma riflessiva con una luce geometrica, con un discorso la cui pulizia rimanda a quella stagione cinetica i cui massimi rappresentanti sono ancora oggi figure luminose e indiscusse, ripercorre un gusto atavico che fa della chiave optical lo spazio di una riflessione in cui antico e nuovo si compenetrano per tracciare un percorso luminoso in cui simbolo e schema si allineano alla storia dell’uomo e delle sue idee.
Accanto ad una serie di impareggiabili manufatti – un’arma rituale suwi realizzata nel 2007 da Germán Rodríguez, una serie di maschere (quella di Daniel Torres del 2015 incute rispetto e timore) o ad alcuni animali (il giaguaro, la scimmia) che popolano le foreste sudamericane – in cui la magia e la vita quotidiana vivono un forte rapporto di compenetrazione, sfilano sedioline, nasse e meravigliose ceste accompagnate da un doppio racconto fotografico che mette in vista il divenire delle società e le sue metamorfosi interne. Se, infatti, una serie di scatti realizzati nel 1964-1965 da Barbara Brändli (Schaffausen, 1932) offrono uno scenario incontaminato e un uomo adornato dei pochi abiti realizzati in dialogo con la natura, un ventaglio di immagini recenti, realizzate da Mariapia Bevilacqua (suo tra l’altro il volume L’arte yekuana.
Patrimonio mitologico, innovazione e talento creativo), mostrano le metamorfosi della società Ye’Kwana (Patricia Velasco Barbieri, direttrice della Sala Mendoza, ci informa che alcune delle persone ritratte hanno anche un profilo Facebook), le inevitabili alterazioni, le acquisizioni tecnologiche, le leggere cadute nello stile occidentale. Ma anche le forme creative che resistono e mostrano le calde radici della geometria. La cesta kanwa (2012) di José Martínez Gómez, quella jööjö (2013) di Cecilia Garcia, quella wüwa tumenukato (2012) di Zenaida Díaz Velásquez o quelle waja (2009-2012) di Roberto Domínguez, di Francisco Rodríguez e di Ernesto Guevara, mostrano favolose geometrizzazioni della natura, vivaci e felici composizioni che stordiscono e rimandano alle pulizie cinetiche di un Jesús Rafael Soto o di un Carlos Cruz-Diez.
Seppure legati alle sperimentazioni di Getulio Alviani, Enrico Castellani, Gianni Colombo (a tutto uno schieramento che in Italia guarda a Lucio Fontana), ad alcuni fenomeni prodotti dal Futurismo e ad alcune analisi messe in campo da Duchamp, gli artisti dell’arte cinético mostrano, a ben vedere, un’attitudine particolare, un particolare furor mathematicus, un sapore visivo che affonda il proprio gusto nel passato e si riversa elegantemente nel presente dell’arte e della vita.
immagini (tutte) Piel de Selva, 2016, exhibition view, Sala Mendoza, Caracas.