L’arte del ‘900 è stata, da un punto di vista critico, suddivisa in due filoni primari: l’avanguardia e la tradizione. Alla luce delle grandi trasformazioni avvenute è però forse più ragionevole distinguere tra arte sperimentale, che fa ricerca di materiali, di tecniche, di processi, di metodi, di idee, ed arte che non possiede al contrario alcun elemento di progettualità sperimentale. Proviamo ora a raccontare alcune storie esemplari offrendo al lettore, attraverso una breve descrizione delle motivazioni dei protagonisti, una serie di esempi di arte prevalentemente sperimentale, certamente meritevoli di ulteriori e più dettagliati approfondimenti.
Il grande Big-Bang futurista (1909-1944)
Il fondatore del movimento futurista Filippo Tommaso Marinetti è una figura complessa e sfaccettata di artista, poeta, pensatore, editore, agitatore, mecenate. Una figura con idee ed abilità decisamente in anticipo rispetto ai suoi tempi, come, ad esempio, la capacità di usare i mass-media riuscendo a trasformare l’informazione in realtà (Marinetti pubblica il manifesto che dà origine al futurismo prima ancora della creazione di alcun quadro da parte di qualunque futurista); è in grado di generare scandalo facendo parlare di sé e del movimento con slogan che si fissano indelebili nella mente («Uccidiamo il Chiaro di Luna!», «La guerra, sola igiene del mondo»); è organizzatore tenace di spettacoli che diventano azioni dimostrative e performance, che poi si trasformano in scazzottate e notizia per i giornali; è in contatto con tutti i massimi esponenti della cultura europea e mondiale che in varie occasioni ambiscono ad incontrarlo (da Ezra Pound a Picasso, da Majakovskij a Stravinsky, da Apollinaire a Borges).
Il futurismo ha una pars destruens – certamente la più nota – il cui obiettivo è rovesciare la cultura passatista incapace di dare forma e visione alle grandi trasformazioni che si preannunciano. La stessa adorazione per la violenza ha per lo più lo scopo di scandalizzare, di fare tabula rasa del passato. La pars costruens invece si concretizza in un insieme straripante di invenzioni che si sviluppano in ogni ambito artistico: la poesia, la pittura, la scultura, l’architettura, le arti applicate, la musica, il cinema, la fotografia, la cucina, il volo, l’editoria, il teatro e molto altro ancora. Un’immagine stereotipata tende a ridurre il futurismo a semplice apologia del «movimento», del «dinamismo» e della «velocità», proprio perché i fondamenti della sua poetica rispecchiano la meccanizzazione del mondo operata dalla rivoluzione industriale. Una diversa interpretazione della poetica futurista è invece centrata sulla instabilità e sulla tensione del divenire di forme in movimento. I pittori futuristi cercano di dimostrare che la vita è una continua evoluzione, un continuo divenire, e che «non esiste forma, in quanto la forma attiene a ciò che è immobile, mentre la realtà è movimento…ecco perché reale è soltanto il cambiamento continuo di forma».
Simultaneità, frammentazione del reale, dinamismo sono oggi concetti che rientrano nel patrimonio della nostra cultura visiva. Giacomo Balla, recentemente protagonista a New York nelle aste serali di Christie’s e Sotheby’s con un record milionario per il dipinto Automobile in corsa del 1912, ha dedicato uno studio pignolo, metodico e razionale, proprio come quello di uno scienziato naturalista, alle macchine transitanti in via Veneto a Roma. Le automobili nei suoi studi, studi che per certi versi sono riconducibili ai disegni leonardeschi, diventano sempre più astratte fino a scomparire definitivamente per lasciare il posto alle linee di fuga del movimento di penetrazione nello spazio del mezzo. Il metodo è quello dell’indagine e della sperimentazione, finalizzata a dar forma pittorica (o scultorea, in altri casi) ad un concetto, la mutevolezza della forma del mondo, offrendo al linguaggio stesso soluzioni estetiche che diventano poi, con il tempo, patrimonio consolidato della nostra cultura visiva.
Se il cubismo ci spinge a considerare la visione di una scena da molti punti di vista contemporaneamente, suggerendoci che non esiste una realtà, ma una molteplicità di realtà che dipendono solo dai punti di osservazione, il futurismo – in modo più avanzato – ci fa osservare che la realtà è in costante mutamento ed è descrivibile solo come processo dinamico nello spazio-tempo, come sistema complesso costituito da una frammentazione di immagini che rappresentano la granularità stessa di questa complessità. Balla e Depero nel 1915 firmano il famoso manifesto Ricostruzione futurista dell’Universo, che fornisce anche il nome alla mostra del Guggenheim, e si spingono ancora più avanti. Immaginando complessi plastici da mettere in moto che girano su un perno, su più perni, complessi plastici che si scompongono, a volumi, a strati, per trasformazioni successive, gettano le basi di un’arte che abbandona definitivamente la forma tradizionale del quadro per smaterializzarsi nello spazio. «Daremo scheletro e carne all’invisibile, all’impalpabile, all’imponderabile, all’impercettibile», scrivono i firmatari del manifesto. Purtroppo un difetto noto del futurismo sta proprio nella contraddizione tra una elevata capacità teorica e una incapacità, altrettanto elevata, di dar forma visiva alle proprie teorizzazioni. Questo è il motivo principale per il quale molte delle idee futuriste trovano applicazione concreta solo nei decenni successivi, spesso ad esperienza futurista conclusa, e proprio grazie a quegli artisti che nel futurismo si sono formati e sono maturati. È un po’ come se il futurismo fosse stato parzialmente più teorico che applicativo. Ma come si può ben immaginare prima dell’azione viene il tempo della teoria e della progettazione.
Questa è la seconda di quattro parti di un articolo di Luca Zaffarano orginariamente apparso in italiano sulla rivista «Ithaca.Viaggio nella Scienza», n. III, Febbraio 2014, http://ithaca.unisalento.it/nr-03_04_14/Ithaca_III_2014.pdf (titolo: Arte e Scienza. Dal Futurismo all’arte Moltiplicata). La rivista nasce da un’iniziativa del Dipartimento di Matematica e Fisica dell’Università del Salento e si apre all’intreccio tra discipline diverse. La prima parte dell’articolo è stata pubblicata su Arshake il 22 aprile 2014. L’articolo si muove in Arshake tra presente e passato in quanto ripercorre le radici storiche di un movimento ora molto attuale e protagonista della grande mostra al Guggenheim di New York ,«Italian Futurism, 1909–1944: Reconstructing the Universe», Guggenheim Museum, New York, 21.02.2014– 09.0 1.2014.
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(cover e 1) Futuristi. Da sinistra: Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Gino Severini (2) Giacomo Balla, Disgregazione x velocità, Penetrazioni dinamiche di un automobile , 1912, courtesy Sonia e Massimo Cirulli Archive / Christie’s (3) Filippo Tommaso Marinetti, Il Poema del Vestito di Latte, Snia Viscosa (1937), grafica di Bruno Munari, collezione Nicoletta Gradella, Brescia.